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La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza 7 dicembre 2007, n. 25666, ritorna sulla la problematica della distinzione tra lavoro autonomo e subordinato.
Al riguardo, sottolineando che ogni attività lavorativa può essere espletata sia in regime di subordinazione che in forma autonoma, per cui ai fini della qualificazione del rapporto vanno esaminati tutti gli elementi disponibili, il Collegio fornisce i criteri distintivi in base ad un principio condiviso dalla giurisprudenza (Cass. n. 13884/04; Cass. n. 4948/96; Cass. n.. 12364/03; Cass. n. 4308/00) che di seguito si riassume.
Ai fini della distinzione tra lavoro autonomo e subordinato, deve tenersi conto:
1) dalla volontà delle parti contraenti, tenendo presente il "nomen juris" utilizzato;
2) del comportamento complessivo delle medesime, anche posteriore alla conclusione del contratto;
In caso di contrasto fra dati formali e dati fattuali relativi alle caratteristiche e modalità della prestazione è necessario dare prevalente rilievo ai secondi.
Tuttavia, quando sia proprio la conformazione fattuale del rapporto ad apparire dubbia, non ben definita o non decisiva, l'indagine deve essere svolta in modo tanto più accurato sulla volontà espressa in sede di costituzione del rapporto.
Gesuele Bellini
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
SENTENZA N. 25666 DEL 7 DICEMBRE 2007
Presidente De Luca – Relatore Maiorano
Pm Sepe –Ricorrente Crs Analisi Srl – Controricorrente Russo
Svolgimento del processo
Con ricorso alla Corte d'Appello di Roma la Crs Analisi Srl proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma con la quale era stata accolta la domanda di Russo Patrizia e
dichiarata la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato e la illegittimità del licenziamento
intimatole in data 26/2/97, con condanna alla reintegra e al pagamento delle retribuzioni. L'appellata contrastava il gravame e la Corte d'Appello lo rigettava sulla base delle seguenti considerazioni: infondata era la prima censura sulla pretesa nullità della domanda per mancata indicazione del contratto applicabile, in quanto la domanda era compiutamente formulata in
modo da individuare petitum e causa petendi e tutti gli elementi di fatto e diritto posti a fondamento delle pretesa. Nel merito, dalla prova era emerso che la Russo era adibita
all'analisi di campioni di laboratorio in vari settori, eseguiva i prelievi, analizzava i campioni e
redigeva i referti; tempi di lavoro e modalità di esecuzione erano determinati dal direttore
tecnico e dall'Amministratore della società che predisponevano i turni; anche nello svolgimento dell'attività di analisi le direttive sulle priorità dell'una rispetto all'altra erano date dal direttore, che autorizzava ferie e permessi (testi Casagrande e Picozzi), mentre le assenze giornaliere
dovevano essere segnalate perché la direzione provvedesse all'eventuale sostituzione
(Casagrande); in caso di assenza la Russo veniva comunque retribuita con il compenso mensile percepito (teste Mezzo). Sussisteva quindi una eterodirezione, il controllo sul lavoro svolto e l'inserimento in una organizzazione prefissata da altri, il rispetto di un orario di lavoro, la necessità di segnalare le assenze e di concordare le ferie; ciò escludeva ogni ipotesi di
autonomia e poneva in luce un rapporto di lavoro subordinato: il carattere distintivo di questo era dato dal vincolo di soggezione del lavoratore al potere organizzativo e disciplinare del
datore di lavoro che si estrinsecava nell'emanazione di ordini specifici, oltre che nell'attività di vigilanza e controllo, anche se si atteggiava diversamente in relazione alla peculiarità delle
prestazioni lavorative (Cass. n. 3745/95). Accanto a questo criterio di qualificazione c'erano poi
quelli complementari e sussidiari utili ai fini di tale riconoscimento (orario predeterminato, retribuzione a scadenze fisse, lo svolgimento del lavoro in sede aziendale e con strumenti
messi a disposizione del datore) (Cass. n. 3853/95; 3745/95), Questi parametri sussistevano nel caso di specie e deponevano per un chiaro rapporto di lavoro subordinato. L'appello quindi
doveva essere rigettato.
Motivi della decisione
È domandata ora la cassazione di questa pronuncia con un solo complesso motivo, col quale si lamenta violazione dell'art. 2094 e vizio di motivazione, per non avere tenuto presente il
giudice d'appello che ogni attività umana può essere espletata in maniera autonoma o subordinata e trascurato i principi fissati dalla Suprema Corte con varie sentenze (n.
13884/04; 17459/03) con particolare riferimento alla grande considerazione che deve essere
attribuita all'elemento volontaristico (Cass. n. 4308/00; 4948/96); così come ha trascurato
altri elementi che avrebbero dovuto portare ad una diversa decisione: che le direttive impartite dal datore di lavoro, o committente sono compatibili con entrambi i rapporti di lavoro
subordinato autonomo (Cass. n. 12364/03); che non è stata dimostrata la sussistenza del criterio principale della subordinazione, esclusa peraltro per espressa volontà delle parti con la
scrittura privata del 28/12/95 con la quale la ricorrente ha riconosciuto di avere espletato nel passato "attività libero professionale" e dal suo successivo rifiuto di essere assunta come
dipendente al fine di poter continuare l'attività libero professionale in favore anche di altri soggetti per i quali lavorava. Tale espresso rifiuto doveva necessariamente portare al
ribaltamento della prima sentenza in quanto la Russo si garantiva il tal modo da ogni contestazione per la mancata presenza, l'abbandono del posto, l'assenza ingiustificata, ecc.;
ciò è sufficiente per dimostrare l'insussistenza del vincolo di subordinazione (cui sarebbe stata
soggetta in caso di accettazione del rapporto di lavoro subordinato) confermata dal pagamento
delle competenza previo rilascio di fattura. Tutte queste circostanze sono state poste in evidenza in sede di merito, ma il giudice d'appello le ha ignorate.
Solo in assenza degli elementi essenziali della subordinazione il giudice può ricorrere ai criteri
sussidiari (Cass. n. 849/04); il Tribunale invece ha confuso il primo con i secondi, rendendo in tal modo difficile la difesa; in ogni caso l'uso congiunto del criterio principale e di quello sussidiario genera “un error decidendi di per sé assorbente”.
Sotto altro profilo la sentenza è censurabile per non avere il giudice correttamente valutato l'attendibilità del testi Mezzo e Casagrande. La prima è una teste "de relato", che nella sua
“foga difensiva” nega persino che la Russo lavorasse per altri centri di analisi “mentre la circostanza era emersa pacificamente in sede di libero interrogatorio”; anche la seconda era
una teste "de relato actoris" e per di più aveva una causa pendente con la società. Anche su tali rilievi essenziali il giudice d'appello non ha risposto e quindi la sentenza deve essere
cassata.
Resiste la Russo con controricorso. Entrambe le parti hanno presentato memorie illustrative.
Il ricorso è infondato.
La Corte ha già avuto modo di affermare il principio di diritto secondo cui "ai fini della
distinzione tra lavoro autonomo e subordinato (per quest'ultimo il fondamentale requisito della subordinazione configurandosi come vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, estrinsecantesi nell'emanazione di ordini specifici, oltre che nell'esercizio di un'assidua attività di vigilanza e controllo nell'esecuzione
delle prestazioni lavorative, da apprezzarsi concretamente con riguardo alla specificità dell'incarico conferito al lavoratore e al modo della sua attuazione) non deve prescindersi dalla
volontà delle parti contraenti e, sotto questo profilo, va tenuto presente il "nomen juris"
utilizzato, il quale però non ha un rilievo assorbente, poiché deve tenersi altresì conto, sul piano della interpretazione della volontà delle stesse parti, del comportamento complessivo delle medesime, anche posteriore alla conclusione del contratto, ai sensi dell'art. 1362, secondo comma, cod. civ., e, in caso di contrasto fra dati formali e dati fattuali relativi alle caratteristiche e modalità della prestazione, è necessario dare prevalente rilievo ai secondi. Tuttavia, quando sia proprio la conformazione fattuale del rapporto ad apparire dubbia, non ben definita o non decisiva, l'indagine deve essere svolta in modo tanto più accurato sulla
volontà espressa in sede di costituzione del rapporto" (Cass. n. 13884/04; conf. n. 4948/96;
12364/03; 4308/00).
La Corte condivide questo principio sul rilievo essenziale che ogni attività umana può essere espletata sia in regime di subordinazione che in forma autonoma, per cui ai fini della qualificazione del rapporto vanno esaminati tutti gli elementi disponibili. Nella specie, sentenza impugnata ha qualificato il rapporto come subordinato sulla base del rilievo che "i tempi e le modalità di esecuzione della prestazione erano determinati dal direttore tecnico e dall'Amministratore della società, che predisponevano i turni di servizio", davano direttive sulla priorità di un'attività d'analisi rispetto ad altre, autorizzavano ferie e permessi; dovevano
inoltre essere segnalate le assenze per eventuale sostituzione, per cui sussisteva
l'eterodirezione, il controllo sul lavoro svolto, il rispetto di un orario di lavoro e l'inserimento in una organizzazione aziendale. Richiama poi genericamente la Corte d'Appello i principi
enunciato da questa Corte in ordine al carattere distintivo del rapporto di lavoro subordinato ed
ai criteri sussidiari utili ai fini del suo riconoscimento e conclude affermando che l'appello deve essere rigettato.
Si osserva in proposito che la "eterodirezione" è in linea di principio sufficiente per la qualificazione del rapporto come lavoro subordinato, per cui l'accertamento compiuto dal
giudice di merito in ordine alla sussistenza di tale requisito fondamentale è sufficiente per
superare l'autoqualificazione fatta dalle parti, fatta peraltro non all'inizio ma nel corso del rapporto di lavoro, della natura autonoma del rapporto medesimo. Quanto all'altro elemento, addotto dal ricorrente come determinante a sostegno della autonomia, il rifiuto cioè espresso dalla lavoratrice di essere assunta come dipendente, basta rilevare che la società ricorrente
non precisa in che modo abbia provato tale circostanza e non riporta gli elementi di prova
addotti in sede di merito e che sarebbero stati ingiustamente trascurati dal giudice, in modo da
consentire alla Corte la valutazione in ordine alla decisività degli stessi, alle condizioni che sarebbero state offerte per la costituzione del rapporto subordinato ed alle ragioni del rifiuto.
Sotto questo profilo il ricorso difetta di autosufficienza, perché si dilunga a spiegare le ragioni
della difesa, ma non offre i necessari elementi di valutazione.
Per il resto il ricorso si risolve in censure relative all'attendibilità dei testi (cioè in valutazioni di merito contrarie a quelle fatte dal giudice di merito) e nella enunciazione di principi di diritto, in
astratto condivisibili ma non sufficienti a contrastare validamente le ragioni della decisione e
tutto il complesso degli accertamenti di fatto su cui la stessa si regge.
Quanto all'espletamento di attività libero professionale a favore di terzi, che sarebbe stata ammessa dalla lavoratrice in sede di interrogatorio libero, il ricorrente non spiega le ragioni di fatto e diritto per cui sarebbe errata l'affermazione della sentenza impugnata, che ai fini del riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato "non è necessaria la esclusività della prestazione" e sarebbe contraddittoria la giustificazione che "non risulta (che) tale attività
(abbia) in alcun modo precluso alla Russo quella continua dedizione delle energie lavorative
agli obiettivi della società Crs Analisi Srl, che ...è postulata dalla subordinazione"; non specifica
il ricorrente quali siano state le concrete modalità di espletamento di incarichi in favore di terzi
e le ragioni per cui tale attività abbia interferito con la prestazione lavorativa resa in suo favore.
Tutte le censure sono quindi infondate ed il ricorso va rigettato. Le spese vanno poste a carico del ricorrente e liquidate come in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese che liquida in euro 19,00 oltre ad euro 2000,00 per onorario, nonché alle spese generali Iva e Cpa.