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mercoledì 28 maggio 2008

PROCEDIMENTO DISCIPLINARE E SOTTUFFICIALE DELLA GUARDIA DI FINANZA

Cons. Stato, Sez. IV, 10 agosto 2007, n. 4393 - “PROCEDIMENTO DISCIPLINARE E SOTTUFFICIALE DELLA GUARDIA DI FINANZA”
In materia di procedimenti disciplinari nei confronti di sottufficiali della Guardia di Finanza il Ministro (ora il Comandante generale), in casi di particolari gravità, può discostarsi dal parere della Commissione di disciplina, anche a sfavore dell´incolpato.
nota di Rocchina Staiano

Fatto. - Il m.llo capo ( ora in congedo) del Corpo della Guardia di Finanza F. è stato sottoposto ad indagini penali perché accusato di aver fornito ad alcuni partecipanti ad un concorso per il reclutamenti di allievi sottufficiali le soluzioni dei test psico-attitudinali nonché altra documentazione.
Con sentenza n. 3087 del 2003 il G.I.P. presso il Tribunale di Roma ha dichiarato il non luogo a procedere per intervenuta prescrizione.
Il sottufficiale è stato quindi sottoposto ad un procedimento disciplinare, all’esito del quale la Commissione di disciplina lo ha ritenuto meritevole di conservare il grado.
Il Comandante in seconda del Corpo tuttavia ha ritenuto di discostarsi da tale parere e con decreto del 23 luglio 2004 ha irrogato all’interessato la sanzione della perdita del grado per rimozione.
Con la sentenza in epigrafe indicata il T.A.R. del Lazio, adito dal m.llo F., ha annullato il provvedimento espulsivo.
A sostegno del decisum il Tribunale ha rilevato per un verso che la sanzione risultava motivata in riferimento a comportamenti non considerati in sede di contestazione degli addebiti; dall’altro che il decidente – invece di limitarsi a scrutinare la congruità della sanzione proposta dalla Commissione - aveva in realtà apoditticamente disatteso le risultanze dell’istruttoria, ritenendo per veridici episodi che invece la Commissione aveva giudicato non provati.
La sentenza è impugnata dall’Amministrazione che ne chiede l’integrale riforma deducendo un unico articolato motivo d’appello.
Si è costituito il m.llo F., insistendo per il rigetto del gravame.
Lo stesso ha presentato una memoria e documenti.
All’udienza dell’8 maggio 2007 il ricorso è stato spedito in decisione.

Diritto. - L’appello è fondato e va pertanto accolto.
Con il primo motivo d’appello l’Amministrazione deduce che – diversamente da come ritenuto dal Tribunale – il provvedimento sanzionatorio fonda in realtà sugli stessi fatti considerati nella contestazione di addebiti.
Il mezzo è fondato.
Come è noto il principio di corrispondenza tra i fatti contestati e quelli sanzionati riveste – come giustamente rilevato dalla sentenza impugnata - rilievo primario nel procedimento disciplinare e comporta, a garanzia del diritto dell’incolpato al contraddittorio difensivo, che questi non possa essere punito per mancanze non previamente contestate.
E tuttavia l’eventuale difformità tra i rilievi contenuti nella contestazione e quelli addotti a sostegno della sanzione non comporta – di per sè sola – l’illegittimità di quest’ultima.
Per un verso deve infatti ricordarsi che il principio di corrispondenza investe solo il quadro fattuale, in quanto per costante giurisprudenza si esclude che l’Autorità disciplinare sia vincolata dalla qualificazione giuridica degli addebiti operata in sede istruttoria.
Per altro verso va pure rilevato che non sussiste violazione del principio di corrispondenza allorché tra il fatto contestato e quello accertato intercorra un rapporto di continenza, ben potendo la sanzione essere inflitta in relazione ad alcuno soltanto dei molteplici comportamenti richiamati in sede di contestazione.
Ciò premesso, dal raffronto tra la parte motiva del decreto impugnato in prime cure e gli analitici addebiti contenuti nell’atto di contestazione si evince come la sanzione espulsiva sia stata irrogata in puntuale connessione con il nucleo degli illeciti disciplinari a suo tempo contestati al m.llo Ferraro, il quale in sostanza è stato perseguito in relazione ad un comportamento materiale ab origine ben individuato per come già fatto oggetto di indagini penali e per quello stesso specifico comportamento è stato punito.
In conclusione, deve obiettivamente escludersi che la sanzione fondi su circostanze e condotte del militare estranee a quelle prese in considerazione in fase di addebito.
Ulteriormente l’Amministrazione deduce che ha errato il Tribunale nel ritenere che nel caso in esame il Comandante generale si sia illegittimamente discostato dal giudizio formulato dalla Commissione di disciplina.
Anche questo mezzo risulta fondato.
In virtù del combinato disposto dell’art. 75 della legge n. 599 del 1954 e dell’art. 1 della legge n. 260 del 1954, nei procedimenti disciplinari a carico dei sottufficiali di Finanza il Ministro ( ora il Comandante generale) può discostarsi dal parere della Commissione di disciplina, in casi di particolare gravità, anche a sfavore dell’incolpato.
Dal punto di vista strutturale tale previsione – che non trova riscontro nell’ordinamento disciplinare del pubblico impiego civile e dei militari di truppa del Corpo – incide sulla qualificazione procedimentale del suddetto parere.
Infatti in presenza della facoltà di dissenso attribuita all’Organo decidente il verdetto della Commissione – che nel procedimento disciplinare paradigmatico assume valenza sostanzialmente costitutiva o co-determinativa, dovendo soltanto essere recepito in un provvedimento formale – degrada a parere obbligatorio ma non vincolante.
Ne consegue in generale, sotto il profilo funzionale, che l’Autorità deliberante da esso può discrezionalmente discostarsi in fase costitutiva col solo onere – secondo costrutti acquisiti in giurisprudenza – di evidenziare con completezza le ragioni logiche e giuridiche che la inducono a disattendere il giudizio formulato dall’organo collegiale al termine del segmento procedimentale istruttorio.
In questo quadro di riferimento, in sede disciplinare il dissenso del decidente – investendo la valutazione sulla congruità della sanzione proposta - può dunque legittimamente relazionarsi anche ad un diverso apprezzamento delle risultanze istruttorie, essendo evidente che il giudizio finale circa la gravità dell’illecito non può essere formulato se non mediante contestuale individuazione e qualificazione delle condotte materiali effettivamente ascrivibili al militare in base al materiale probatorio acquisito nel procedimento.
Tanto premesso in generale, la giurisprudenza della Sezione ha peraltro da tempo posto in luce per un verso che, come sopra ricordato, la previsione di cui si discute non trova riscontro nell’ordinamento disciplinare del pubblico impiego civile e dei militari di truppa dello stesso Corpo ed ha dunque valenza chiaramente derogatoria; per altro verso che la facoltà di dissenso attribuita all’Autorità disciplinare comporta nei fatti la possibile sconfessione di una proposta formulata dall’organo collegiale competente all’esito del giusto procedimento e con la garanzia del contraddittorio.
In un’ottica costituzionalmente orientata è stato pertanto statuito che allorquando fa uso di tale facoltà l’Autorità deliberante non può limitarsi semplicemente a sostituire la propria valutazione di merito a quella espressa dalla Commissione di disciplina ma deve individuare i presupposti straordinari che impongono di disattendere il giudizio della commissione.
In altri termini, la reformatio in peius si giustifica – e la questione di legittimità costituzionale all’uopo dedotta dall’appellato è manifestamente infondata - se supportata dall’individuazione di elementi prospettici o di sistema che in precedenza non sono stati tenuti adeguatamente presenti e che vanno invece ragionevolmente valorizzati in rapporto ad esigenze ordinamentali di settore.
Applicando queste coordinate ermeneutiche, ritiene il Collegio che tali presupposti di straordinarietà non possano disconoscersi nel caso all’esame, in cui l’aggravamento della sanzione si correla secondo il provvedimento impugnato all’incidenza degli illeciti ascritti al dipendente nella materia del reclutamento del personale, e dunque in un ambito che riveste importanza obiettivamente nevralgica – come già rilevato dalla Sezione in riferimento a fattispecie analoga: cfr. ord.za n. 2248 del 2004 – sia in vista dell’espletamento della missione che l’ordinamento affida al Corpo sia per quanto attiene la credibilità agli occhi dei giovani aspiranti delle procedure di selezione e di arruolamento.
Detto questo sul punto nodale della controversia, la stessa si avvia ad una soluzione obbligata, risultando in realtà infondate tutte le ulteriori censure – di difetto di istruttoria e di travisamento nonché di sproporzionalità - dedotte in primo grado dal ricorrente e qui pur suggestivamente riproposte nel controricorso.
Al riguardo, basta infatti osservare che il provvedimento è stato adottato in prevalenza sulla base del materiale probatorio acquisito nel procedimento penale, la cui valutazione ha indotto il Comando a ritenere l’effettiva sussistenza dei gravi fatti addebitati al sottufficiale.
Al riguardo è appena da osservare che la P.A. in sede disciplinare ben può tenere conto delle risultanze emerse nelle varie fasi del pregresso procedimento penale, sì da evitare ulteriori accertamenti istruttori alla luce del principio di economicità del procedimento: ciò che conta, infatti, è che di tali risultanze sia autonomamente valutata la rilevanza in chiave disciplinare.
Nel caso in esame tale valutazione di merito – rapportandosi alle dichiarazioni accusatorie spontaneamente rese da un militare appartenente al Nucleo reclutamento, all’esito delle perquisizioni disposte nei confronti del F. e al contenuto delle intercettazioni telefoniche disposte dall’A.G. sulle utenze in disponibilità dell’inquisito – non esibisce alcuno di quei profili di illogicità che l’appellato mira a lumeggiare e resta dunque insindacabile in questa sede di legittimità.
E’ noto infatti che, secondo consolidati principi, nel procedimento disciplinare a carico del pubblico dipendente l’apprezzamento dei fatti e la valutazione delle prove costituiscono espressione di attività di pieno merito e si sottraggono dunque al sindacato di legittimità, salva l’ipotesi della manifesta irragionevolezza che nel caso all’esame, come si è detto, non ricorre.
A fronte del tentativo del ricorrente di depotenziare sul piano analitico le richiamate risultanze istruttorie, resta infatti che le stesse ove obiettivamente e contestualmente considerate contribuiscono in modo preciso e concordante a delineare un quadro di riferimento comportamentale che non illogicamente l’autorità disciplinare ha ritenuto in irrimediabile contrasto con i vincoli di lealtà e correttezza esigibili da un graduato appartenente al Corpo da lunga data e per di più inserito in un settore funzionale di particolare delicatezza.
Per contro, a fronte di un contesto probatorio così orientato riesce arduo comprendere in base a quale iter logico motivazionale la Commissione di disciplina possa aver degradato al rango di meri indizi una serie di fatti e circostanze tanto concludenti e spiegabili solo nell’ottica di un purtroppo sistematico tentativo di alterare l’obiettività delle procedure concorsuali.
Quanto alle dichiarazioni rese in sede di indagini di P.G. dagli ufficiali preposti al servizio di reclutamento, il fatto che gli stessi abbiano attestato di non essere a conoscenza di taluni dei comportamenti addebitati al ricorrente non sembra significativo ai fini in specifica controversia.
E ciò sia perchè in parte gli episodi censurati si svolsero prevalentemente fuori della sede di servizio, sia perché la mancata soggettiva percezione dell’illecito da parte dei superiori – seppur ammanta di qualche opacità il contesto ambientale, come sembra implicitamente sostenere l’appellato - non basta di per sè sola a sminuire un quadro probatorio che il Comando generale ha insidacabilmente ritenuto sintomatico di responsabilità individuali così gravi da giustificare un intervento sanzionatorio radicale.
Da ultimo l’appellato deduce la contraddittorietà del comportamento dell’Amministrazione, la quale lo ha sempre valutato in termini di eccellenza in tutto l’arco della carriera.
La censura è infondata, in quanto le valutazioni caratteristiche espresse nel tempo dall’Amministrazione afferiscono ad un genus di attività profondamente diversa da quella che costituisce espressione della potestà disciplinare e quindi con quella non confrontabile.
Né i positivi precedenti di carriera possono rilevare ai fini della individuazione in concreto della sanzione da comminare ove questa si rapporti ad una soglia di illecito – la violazione del giuramento – che impone secondo il discrezionale giudizio dell’Amministrazione l’allontanamento definitivo del dipendente dal Corpo.
Infatti, in ambito disciplinare, mentre per le condotte connotate da minore gravità è possibile operare una graduazione della sanzione tenendo anche conto della personalità professionale del dipendente, ciò risulta impossibile allorché il comportamento da questi posto in essere sia giudicato incompatibile col mantenimento del precedente status civile o militare.
Sulla scorta delle considerazioni che precedono l’appello va quindi accolto, con integrale riforma della sentenza impugnata e rigetto del ricorso originario.
Sussistono peraltro motivi per disporre l’integrale compensazione tra le Parti delle spese del giudizio.

P.Q.M. - Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando, accoglie l’appello, riforma la sentenza impugnata e respinge il ricorso di primo grado. Le spese del giudizio sono integralmente compensate. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall´Autorità amministrativa.


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