lavoroprevidenza

mercoledì 29 aprile 2009

QUALE LA NORMATIVA DI RIFERIMENTO PER LA DIRIGENZA DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE?

La disciplina riguardante la dirigenza del Servizio Sanitario Nazionale è stata sostanzialmente modificata alla luce di vere e proprie rivoluzioni normative che hanno visto la professionalità dirigenziale assumere nuovi contorni e connotati in un sistema in cui, accanto alla necessità di favorire l’acquisizione, da parte di coloro che si trovano in posizioni apicali, delle abilità manageriali, divenute essenziali in relazione alla nuova struttura aziendalistica della sanità pubblica, si affiancano le necessità proprie connesse all’impegno e all’aggiornamento tecnico-professionale dei singoli.

L’art. 26 del D.Lgs. 165/01 contiene le regole generali di costituzione del rapporto di lavoro tra il soggetto cui è attribuito l’incarico dirigenziale e l’Ente sanitario datoriale. L’articolo in questione si compone di tre commi, il primo stabilisce le modalità di accesso alla dirigenza dei ruoli non medici del S.s.n., fissando la necessità della previa partecipazione al superamento della pubblica selezione concorsuale ed individuando le categorie di coloro che possono aspirare ad essere ammessi; il secondo comma si preoccupa di mantenere inalterata e senza rischio di compromissione la posizione privilegiata dei dirigenti che provengono dai livelli più elevati, nell’ottica della previsione di garanzie già accordate ad altri settori della dirigenza pubblica. Infine, il terzo comma, continua a prevedere il blocco delle dotazioni organiche delle posizioni dirigenziali che coinvolge non solo i ruoli professionali, tecnico e amministrativo, ma anche quello medico-sanitario .
Il legislatore nazionale ha affidato al settore dirigenziale del servizio sanitario nazionale, un ruolo importante che ruota attorno alla figura del direttore generale, del direttore amministrativo e di quello sanitario nella nuova accezione clinico-manageriale.
Oggi la dirigenza che opera nel servizio sanitario nazionale è così organizzata:
1. dirigenza medica disciplinata dal D.Lgs. 30 dicembre 1992 n. 502, modificato ed integrato dalle disposizioni del D.Lgs. n. 229/99;
2. dirigenza dei ruoli professionale, tecnico, amministrativo disciplinata dall’art. 26 del D.Lgs. 165/01;
3. l’area del cd. top management, in cui trovano collocazione il direttore generale, il direttore sanitario ed il direttore amministrativo.
Nell’ambito della dirigenza medica sono sussumibili quattro categorie;
a) dirigenti con incarico di struttura complessa;
b) dirigenti con incarico di struttura semplice;
c) dirigenti con incarichi di natura professionale anche di alta specializzazione, di consulenza, di studio e di ricerca, di ispezione, di verifica e di controllo;
d) dirigenti con meno di 5 anni di attività (neoassunti) con incarico di natura professionale.
Ai soggetti su elencati il legislatore ha affidato non solo l’articolazione del sistema sanitario, il relazione ai compiti professionali dell’arte medica, ma anche e soprattutto l’efficacia e l’efficienza delle strutture operative dotate di autonomia gestionale e soggette a rendicontazione analitica che ciascuna Ausl, con atto aziendale di diritto privato, deve individuare la proprio interno.
A differenza di quanto avveniva in riferimento alle norme previste dal D.P.R. n. 128/69 (attribuzioni primariati) la dirigenza medica ha visto la riduzione dei compiti prettamente sanitari rimessi alle figure dei dirigenti sanitari di secondo livello, con l’implementazione delle funzioni manageriali, in relazione all’esigenza di modellare i singoli plessi sanitari sulla falsariga delle amministrazioni centrali dello Stato. In tal modo si è verificata una osmosi tra capacità e conoscenze gestionali e abilità tecniche proprie della dirigenza sanitaria.
L’obiettivo del legislatore delegato del 1992 è stato quello di istituire una superdirigenza sanitaria che, accanto alle conoscenze e capacità proprie degli uffici e all’utilizzo di elementi appartenenti alla figura del datore di lavoro privato, fosse in grado di garantire una profonda conoscenza delle competenze cliniche in modo da poter coniugare le esigenze proprie di un centro di costo, quale è l’Azienda sanitaria locale (con assegnazione di un budget di spesa), con le necessità operative delle strutture che a livello territoriale pongono in essere l’intervento sanitario.
La vera riforma nell’ambito delle norme sulla dirigenza sanitaria del S.s.n, è avvenuta nel 1999 con il D.Lgs. 229/99 che ha definito con esatti contorni il processo il privatizzazione delle strutture sanitarie e ha reso ancor più indissolubile il collegamento tra attività clinica e manageriale per quel che concerne la componente dirigenziale del personale sanitario. In tale ottica di riforma ha assunto principale rilievo la previsione di affidare i compiti prettamente gestionali e direzionali degli uffici ai dirigenti sanitari che in passato erano definiti dirigenti di “secondo livello” e che, in seguito alla riforma, hanno acquisito la denominazione di responsabili di struttura complessa.

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note a piè di pagina:

Art. 26 D.Lgs. 165/01 “ [1] Alla qualifica di dirigente dei ruoli professionale, tecnico ed amministrativo del Servizio sanitario nazionale si accede mediante concorso pubblico per titoli ed esami, al quale sono ammessi candidati in possesso del relativo diploma di laurea, con cinque anni di servizio effettivo corrispondente alla medesima professionalità prestata in Enti del Servizio Sanitario nazionale nelle posizione funzionale di settimo e dotavo livello, ovvero in qualifiche funzionali di settimo, ottavo e nono livello di altre pubbliche amministrazioni. Relativamente al personale del ruolo tecnico e professionale, l’ammissione è altresì consenta ai candidati in possesso di esperienze lavorative con il rapporto di lavorolibero-professioanle o di attività coordinata e continuata presso Enti o pubbliche amministrazioni, ovvero di attività documentate presso studi professionali privati, società o istituti di ricerca, aventi contenuto analogo a quello previsto per corrispondenti profili del ruolo medesimo. [2] Nell’attribuzione degli incarichi determinanti in relazione alla struttura organizzativa derivante dalle leggi regionali di cui all’art. 3 del D.Lgs. 30 dicembre 1992 n. 502, si deve tener conto della posizione funzionale posseduta da relativo personale all’atto dell’inquadramento nella qualifica di dirigente. E’ assicurata la corrispondenza di funzioni, a parità di struttura organizzativa, dei dirigenti di più elevato livello dei ruoli di cui al comma 1con i dirigenti di secondo livello del ruolo sanitario. [3] Fino alla ridefinizione delle piante organiche non può essere disposto alcun incremento delle dotazioni organiche per ciascuna delle attuali posizioni funzionali dirigenziali del ruolo sanitario,professionale, tecnico e d amministrativo”.
Stefano Toschei, L’impiego pubblico, Commenti a prima lettura coordinati da Vittorio Italia, Giuffré, 2003, p. 557.
Le diverse tipologie di incarichi dirigenziali per i medici sono elencate nell’art. 27 del Contratto collettivo nazionale di lavoro, quadriennio 1998- 2001 dell’area relativa alla dirigenza medica e veterinaria del Servizio sanitario nazionale, stipulato tra le organizzazioni sindacali e l’Aran l’8 giugno 2000 che traghetta la configurazione organizzativa delle articolazioni sanitarie disegnata dal D.Lgs. 502 del 1992 verso le definizioni aziendalistiche attribuite ai vari segmenti in cui si sviluppa il Servizio sanitario nazionale dopo il D.Lgs. 229/99.
Ai dirigenti neoassunti, al fine di consentire loro di partecipare ad un programma di crescita professionale, che si sviluppa anche attraverso un percorso formativo obbligatorio, è richiesto un impegno professionale di esclusiva natura clinico-diagnostica, essendo esentati dalla dimostrazione di possedere capacità manageriali, posto che a costoro non è consentito, sino la compimento del quanto anno di esperienza professionale alle dipendenze della struttura sanitaria, di assumere incarichi di struttura semplice e neanche di consulenza, studio e ricerca, ispettive, di verifica e di controllo, con conseguente perimetrazione dell’ambito dell’oggetto di verifica dell’attività svolta. Per Ravera, in La dirigenza medica dopo il D.Lgs. 19 giugno 1999, n. 229, (cosiddetto decreto Bindi), in LPA, 2000, pp.85 e ss. la circostanza che ai dirigenti medici neoassunti non siano affidati compiti di natura gestionale confliggerebbe, in linea di principi con le direttive tracciate in via generale per l’area dirigenziale dal D.Lgs. 29 del 1993, tuttavia tale eccezione sarebbe giustificata dalla peculiarità delle mansioni mediche e dalla necessità che in un settore particolarmente delicato come quello della cura della salute pubblica i medici con mansioni dirigenziali siano “in numero inferiore rispetti a quelli che svolgono esclusivamente mansioni di diagnosi e terapia”.


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