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venerdì 5 giugno 2009

Il diritto all’immagine degli sportivi professionisti

Il diritto all’immagine trova il suo fondamento nell’art. 10 cod.civ. e negli artt. 96 e 97 della legge n. 633 del 1941 (così detta legge sul diritto d’autore) e, al pari di tanti altri diritti fondamentali della persona, può essere visto in positivo e/o in negativo, vale a dire da un lato come concreta possibilità o potenzialità dello sfruttamento della propria immagine per le più svariate ragioni, ivi compresa quella di trarne un utile economico, dall’altro come pretesa alla non ingerenza da parte di terzi nella propria sfera privata, con conseguente tutela contro usi impropri o abusi della propria immagine.


Sotto questo ultimo profilo si parla più propriamente di diritto alla riservatezza (o come oggi è di moda) alla privacy. Ma il diritto alla riservatezza (che ha un contenuto più ampio rispetto al diritto all’immagine, perché tutela anche il nome e tutto ciò che concerne la sfera privata dell’individuo) è comunque collegato al tema in questione.
L´articolo 10 del codice civile disciplina l´abuso dell´immagine altrui, imponendo il risarcimento dei danni e la cessazione dell´abuso da parte di colui che espone o pubblica l´immagine, fuori dei casi in cui l´esposizione o la pubblicazione sono consentite dalla legge o con pregiudizio al decoro e alla reputazione della persona stessa o dei congiunti.
La legge sulla protezione del diritto di autore all´articolo 96 individua nel consenso dell´interessato, l´elemento che esime dalla responsabilità civile il soggetto che espone, riproduce o mette in commercio l´immagine altrui. Un´analisi approfondita della materia del diritto all´immagine, non può prescindere dalla considerazione del successivo articolo 97, il quale così recita: "Non occorre il consenso della persona ritratta, quando la riproduzione dell´immagine è giustificata dalla notorietà o dall´ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, o quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico.
Il ritratto non può tuttavia essere esposto o messo in commercio, quando l´esposizione o messa in commercio rechi pregiudizio all´onore, alla reputazione od anche al decoro della persona ritratta".
La riproduzione dell´immagine del soggetto famoso è lecita esclusivamente, quando la sua diffusione intenda soddisfare l´interesse pubblico all´informazione o alla conoscenza della sua immagine e non certo quando sia finalizzata all´esclusivo o prevalente scopo della commercializzazione della stessa; nel qual caso ciò formerà oggetto di un apposito accordo negoziale tra le parti, che può assumere varie forme, la più diffusa delle quali oggi è quella del contratto di sponsorizzazione.
D’altra parte il discorso in esame rientra pienamente in una logica strettamente commerciale, nel presupposto che il prezzo della propria immagine è direttamente proporzionale al grado di notorietà.
In proposito è bene precisare che il negozio con il quale si consente l’utilizzazione della propria immagine a fini commerciali non ha ad oggetto il diritto in sé che è un diritto personalissimo e come tale inalienabile, ma più semplicemente il suo esercizio.
Ora, parlando del diritto d’immagine degli sportivi professionisti, dobbiamo preliminarmente distinguere gli sport di squadra da quelli che si praticano individualmente: è evidente, infatti, che negli sport individuali il margine di manovra del campione sportivo circa l’utilizzazione economica della propria immagine è molto maggiore, mentre negli sport di squadra bisognerà considerare le obbligazioni contrattuali assunte dal singolo giocatore al momento del suo ingresso nella società e le clausole del suo contratto di ingaggio.
La distinzione è ancora più complessa di quanto possa apparire a prima vista: infatti, vi sono sport individuali che in talune occasioni si trasformano in sport di squadra: esempio tipico è il tennis, dove il tennista si presenta e si gestisce come campione singolo, ma in determinate occasioni ( esempio: Coppa Davis) entra a far parte di una squadra nazionale e quindi deve sottostare alle regole di squadra.
In questa sede, non ci occuperemo delle questioni attinenti alla titolarità dei diritti spettanti agli enti organizzatori di eventi e manifestazioni sportive, sia a partecipazione individuale (esempi: meeting di atletica o tornei di tennis), sia a partecipazione a squadre, in cui comunque la questione è più complessa, poiché la titolarità di questi diritti viene rivendicata sia dalla singola società che dall’ente organizzatore (federazione o lega: Tim Cup e Uefa Champions League), e alla connessa vendita dei diritti Tv delle partite del campionato di calcio dopo l’avvento della televisione criptata; in quest’ultimo caso bisogna fare riferimento alla legge 106/2007, relativa alla regolamentazione del mercato dei diritti di distribuzione delle immagini sugli eventi sportivi dei campionati professionistici nonché ai tornei o manifestazioni sportive legate a feste locali in cui normalmente lo sponsor è unico promotore della manifestazione, per lo più caratterizzata dalla finalità di conquistare la benevolenza di un pubblico locale ed eterogeneo, mentre in caso di manifestazione sportiva di rilevanza notevole sono necessari più sponsors, che beneficeranno del maggior ritorno di immagine determinato dall’importanza dell’evento sponsorizzato.
Gli strumenti più comuni attraverso i quali lo sportivo professionista può sfruttare economicamente la propria immagine sono il contratto di pubblicità e quello di sponsorizzazione. Il secondo può essere considerato una species del più ampio genus della famiglia dei contratti pubblicitari, con la differenza che nella pubblicità si reclamizza il prodotto, l’articolo, mentre nella sponsorizzazione si punta alla diffusione del nomen dell’azienda, dell’impresa. Il secondo, comunque, si va diffondendo sempre di più, anche perché generalmente non comporta l’abbinamento servile dell’immagine dello sportivo a un determinato prodotto, ma, spesso, le differenze sono più formali che sostanziali. Oggi infatti si parla di testimonial., termine ambiguo, in quanto riferibile tanto all’una quanto all’altra.
Naturalmente lo sport è uno scenario perfetto per le imprese, perché interessa davvero i consumatori, li diverte, suscita emozioni uniche ed abbraccia un pubblico molto vasto e trasversale. E’unico, universale, colpisce un target molto ampio. Con una sponsorizzazione sportiva l’azienda cerca di allargare il più possibile la portata del contatto con il pubblico. La sponsorizzazione sportiva, a differenza della pubblicità classica, non è visione passiva, ma veicola il messaggio in maniera molto più profonda e penetrante, grazie al coinvolgimento emozionale in un ambito di interesse.
Il termine “sponsorizzazione”, che traduce il vocabolo inglese sponsoring, discende dal latino spondeo (“prometto”), utilizzato per indicare la responsabilità che il promittente assumeva a favore di un terzo, di cui garantiva in via sussidiaria l’adempimento, “abbinando” così le proprie sorti a quelle del debitore principale. Tale nozione può dirsi tramandata sino ai giorni nostri, laddove si configuri la sponsorizzazione come il contratto con cui si dà luogo all’abbinamento fra la notorietà commerciale di un soggetto e quella di altro soggetto noto nel campo della cultura, dei mass media o dello sport, realizzandosi così uno “scambio di notorietà”, in forza del quale la fama dello sponsee gioverà allo sponsor e viceversa . In particolare, il fenomeno individua un soggetto, lo sponsee, che si obbliga verso corrispettivo ad associare alla propria persona o attività il nome o il segno distintivo di un altro soggetto, lo sponsor, il quale mira ad incrementare la propria popolarità presso il pubblico. L’effetto promozionale di tale “veicolazione” commerciale fa sì che i contratti di sponsorizzazione vengano collocati nella categoria dei contratti pubblicitari, riconoscendosene al contempo la natura atipica rispetto alle figure codificate. Secondo la definizione fornitane dalla giurisprudenza, infatti, “il cosiddetto contratto di “sponsorizzazione” – figura non specificamente disciplinata dalla legge – comprende una serie di ipotesi nelle quali si ha che un soggetto...si obbliga a consentire ad altri l’uso della propria immagine pubblica e del proprio nome, per promuovere un marchio o un prodotto specificamente marcato, dietro corrispettivo; tale uso dell’immagine pubblica può prevedere anche che lo sponsee tenga determinati comportamenti di testimonianza in favore del marchio o del prodotto oggetto della veicolazione commerciale cosi che l’obbligazione assunta dallo sponsorizzato ha piena natura patrimoniale ai sensi dell’art.1174 c.c... La differenza fra la pubblicità tradizionale e quella che si realizza nella sponsorizzazione viene tratteggiata in dottrina in base ad una molteplicità di aspetti. Quanto al contenuto ed alle modalità di diffusione del messaggio pubblicitario, si rileva che in caso di pubblicità tradizionale gli stessi sono determinati più compiutamente e direttamente dal promotore della pubblicità, che fissa infatti nel dettaglio gli slogans, l’ubicazione, l’estensione, la frequenza e la durata di annunci ed inserzioni su giornali, riviste, mezzi audiovisivi e cartelloni pubblicitari, laddove invece nello sponsoring il messaggio raramente consiste nella illustrazione delle qualità di un prodotto o dell’attività di un’impresa, manifestandosi piuttosto nella promozione di un marchio o di una immagine attraverso l’abbinamento degli stessi con l’attività o l’immagine di altro soggetto noto al pubblico. Ed è appunto detta modalità di veicolazione del messaggio promozionale, che caratterizza la sponsorizzazione, in cui la reiterazione, l’estensione, la durata del messaggio, dipendono strettamente dal collegamento con l’attività o l’immagine del soggetto sponsorizzato, e quindi in definitiva prevalentemente dallo sponsee e dall’audience da questi conseguita, piuttosto che dall’impresa promotrice della pubblicità. Ancora, mentre nella pubblicità l’impresa promotrice ha un più diretto controllo del messaggio veicolato, nello sponsoring questo è essenzialmente rimesso alla casualità, anche con riguardo alla maggiore o minore frequenza ed incisività delle riprese o delle inquadrature radio-televisive, alle performances dello sponsee, od all’interesse dei mass media per l’attività dello sponsee. Ultimo profilo evidenziato concerne, nella pubblicità tradizionale, la possibilità per il pubblico di sottrarsi al messaggio pubblicitario, a differenza di quanto si verifica nella sponsorizzazione, dove sono notevolmente più elevate le potenzialità di coinvolgimento dell’attenzione del pubblico, che infatti può sottrarsi all’assorbimento del messaggio promozionale soltanto scegliendo di non seguire o di non assistere all’evento culturale o sportivo. Lo sponsoring si è affermato essenzialmente nei settori radiotelevisivo, scientifico, sociale, musicale e culturale in genere, ma soprattutto sportivo. In Italia la sponsorizzazione è nata all’incirca negli anni ’50 con particolare riguardo al ciclismo, tipico caso di propaganda diretta: la scritta Bianchi sulla maglia di Bartali o di Coppi pubblicizzava la merce su cui correvano e non un prodotto qualsiasi. Poi a causa di un periodo di crisi del ciclismo entrarono nel settore le industrie extrasettoriali. Negli anni settanta si diffuse sempre più nell’ambito dello sport calcistico (può sembrare strano, ma fino al 1978 era proibito apporre una qualsivoglia scritta sulle maglie dei giocatori). Ci volle l’affronto al regolamento federale dell’allora presidente dell’Udinese che venne multato in seguito all’applicazione della scritta pubblicitaria sui pantaloncini, per togliere il divieto: infatti ha inizio ufficialmente nel 1981 il flusso di investimenti in sponsorizzazioni per le squadre di serie A. Negli anni ’80, con il progressivo affermarsi delle televisioni commerciali, la sponsorizzazione diventò autonoma forma di comunicazione pubblicitaria. Sotto il profilo strutturale, si è assistito al passaggio da una sponsorizzazione come negozio unilaterale, avente ad oggetto un atto di liberalità effettuato dallo sponsor per mecenatismo, ad un fenomeno caratterizzato da corrispettività, con particolare riguardo ai comportamenti di volta in volta richiesti allo sponsee. Lo sponsee, infatti, nello svolgimento della propria attività, di per sé non connotata da finalità pubblicitarie, si impegna ad assumere determinati comportamenti diretti a promuovere o accrescere la notorietà commerciale dello sponsor. Quest’ultimo, dal canto suo, sceglie lo sponsee in base alle caratteristiche essenziali dei propri prodotti, servizi o marchi, che si propone di valorizzare appunto mediante il veicolo promozionale prescelto. Lo sponsor pertanto opterà, ad esempio, per una determinata attività sportiva, in considerazione del tipo di messaggio che intende veicolare al pubblico come ad esempio le compagnie Red Bull, produttrice di bevande “energizers” destinate ai giovani, e Sector, produttrice di orologi, le quali hanno abbinato i propri segni distintivi a sports estremi, quali l’automobilismo, il mountain bike, il canyoning, lo snowboard, il windsurf, il parapendio, il bongee jumping, al fine di conseguire nel pubblico la subconscia identificazione fra i prodotti dello sponsor e valori quali dinamismo, velocità, rischio ed eccentricità e quindi coinvolgere il pubblico giovanile, evidente target di tale campagna pubblicitaria.
Ritornando alla sponsorizzazione del singolo atleta, si reputa necessario operare una distinzione, a seconda che quest’ultimo sia tenuto a pubblicizzare i segni distintivi dello sponsor anche mediante l’uso dei prodotti dallo stesso forniti, ovvero pubblicizzi - normalmente attraverso uno slogan - un determinato prodotto, nel quale ultimo caso si ritiene che non si tratti di sponsorizzazione, bensì, come accennato prima, di pubblicità testimoniale.
Diversi sono stati i tentativi di ricondurre la sponsorizzazione nell’ambito di uno schema contrattuale tipico, tutti peraltro non appaganti, ma dettati dall’esigenza di trovare punti di riferimento per disciplinare una fattispecie contrattuale variegata e complessa come quella in rassegna . Secondo un orientamento, il contratto di sponsorizzazione avrebbe la natura di un appalto di servizi, dove il servizio reso dallo sponsee sarebbe rappresentato dall’apparato organizzativo e logistico offerto allo sponsor per la promozione e diffusione della sua immagine commerciale. La tesi si presta tuttavia al rilievo, per cui lo sponsee si obbliga soltanto ad una diligente esecuzione e non ad assicurare un risultato, cosa che invece caratterizza le obbligazioni dell’appaltatore; per di più, l’obiettivo perseguito dallo sponsorizzato nell’espletamento della propria attività sportiva è del tutto indipendente da quello avuto di mira dallo sponsor quale oggetto dell’ipotetico appalto. Inoltre, mentre l’appaltatore è necessariamente organizzato in forma d’impresa, lo sponsorizzato può non esserlo. Ulteriore prospettazione è quella della natura associativa dello sponsoring, in cui la stretta interdipendenza fra l’immagine economica dello sponsor e l’attività dello sponsee attribuirebbe caratteristiche di fiduciarietà al rapporto, determinando la comunanza di interessi fra le parti, avvalorata dalla pressochè costante presenza di un patto di esclusiva. L’opinione è tuttavia criticata da chi ritiene che il più delle volte sponsor e sponsee perseguano interessi diversi, e precisamente, quanto allo sponsor, l’obiettivo di conseguire la più ampia diffusione dei segni distintivi della propria impresa, mentre quanto allo sponsee, attraverso l’utilizzazione dei mezzi economici e materiali messi a sua disposizione dallo sponsor, l’obiettivo di sviluppare e diffondere la propria attività sportiva, culturale o artistica. La natura associativa della sponsorizzazione viene sostanzialmente negata anche dalla giurisprudenza, che infatti afferma che tale contratto “non ha ad oggetto lo svolgimento di un’attività in comune e, dunque, non assume le caratteristiche di un contratto associativo, ma ha ad oggetto lo scambio di prestazioni”, per escludere conseguentemente che lo sponsor possa essere considerato alla stregua di un organizzatore, ed esimendolo quindi da responsabilità per le conseguenze pregiudizievoli derivate ad uno spettatore a causa di un incidente verificatosi nel corso dell’evento sponsorizzato. Altri tentativi di inquadramento fanno leva sulla vendita o sulla locazione allo sponsor di spazi pubblicitari sulla divisa dello sponsee o su cartelloni disposti all’interno dell’impianto sportivo, nonché sul contratto atipico c.d. di merchandising, ma non appaiono idonei a sussumere tutte le caratteristiche del fenomeno. Con riferimento a quella che è stata individuata come la prima manifestazione del fenomeno, vale a dire la sponsorizzazione c.d. interna - attuata attraverso la fornitura allo sponsee di abbigliamento ed attrezzature inerenti la particolare attività dallo stesso esercitata, al fine di enfatizzare uno stretto collegamento fra il successo conseguito dallo sponsee e l’utilizzo di quanto fornitogli dallo sponsor - , è stato altresì prospettato l’inquadramento nell’ambito della donazione modale, laddove sia riscontrabile nell’attribuzione patrimoniale dello sponsor lo spirito di liberalità, mitigato dall’impegno dello sponsee di utilizzare nella propria attività le attrezzature ed i prodotti messigli a disposizione dallo sponsor. Per tale ipotesi si è ipotizzata la non necessità della forma solenne richiesta dalle donazioni, attraverso l’inquadramento della sponsorizzazione interna nell’ambito di operatività dell’art.770, 2 comma, c.c., quale liberalità d’uso diversa dalla donazione, “gravata da un onere a carico del beneficiario quale elemento accidentale dell’atto gratuito”. Diversamente, in relazione alla forma più evoluta di sponsorizzazione, in cui, da un lato, l’attribuzione patrimoniale da parte dello sponsor consista in una somma di denaro e non nella messa a disposizione di beni strumentali all’attività dello sponsee, e dall’altro, non sia ravvisabile un collegamento fra il contenuto del messaggio pubblicitario e l’attività dello sponsorizzato (ad esempio, lo sponsee, soggetto sportivo, pubblicizzi il marchio di una impresa produttrice di bevande), si ritiene che l’operazione sia caratterizzata da una finalità strettamente commerciale, piuttosto che dallo spirito di liberalità. Cosicchè, in tal caso, l’indirizzo predominante qualifica il contratto di sponsorizzazione come contratto atipico a titolo oneroso a prestazioni corrispettive, la cui causa risiederebbe nello sfruttamento pubblicitario dello sponsorizzato verso corrispettivo. In particolare, la causa dello sponsoring viene individuata nella “utilizzazione a fini direttamente o indirettamente pubblicitari dell’attività, del nome o dell’immagine altrui verso un corrispettivo che può consistere in un finanziamento in denaro o nella fornitura di materiale o di altri beni”.
Le prestazioni dello sponsorizzato si presentano certamente più variegate e spesso indicate in maniera generica, di talché sono state sollevate perplessità in relazione al necessario requisito della determinabilità dell’oggetto. Si è peraltro osservato che il contratto di sponsorizzazione soffre inevitabilmente di taluni margini di aleatorietà, dovuta alla impossibilità di prevedere con certezza l’andamento degli eventi sportivi; cosicché, si afferma che l’obbligazione dello sponsee ha ad oggetto una prestazione di mezzi e non di risultato, e che quindi il mancato conseguimento degli obiettivi dello sponsor in tema di ritorno d’immagine non legittima la risoluzione del contratto né tantomeno il risarcimento dei danni . Quanto ai soggetti che possono diventare sponsee, sponsorizzato può essere l’atleta stesso, ovvero una o più società, che si occupano della gestione dell’immagine dei personaggi sportivi, a cui gli atleti spesso cedono il diritto di sfruttamento commerciale della propria immagine. Fra le prestazioni che nella maggior parte dei casi si prevedono a carico dello sponsee, si segnala innanzitutto l’obbligo di sopportare l’affissione del marchio dello sponsor sul materiale portato o utilizzato dallo sponsorizzato, come ad esempio il marchio apposto sull’abbigliamento indossato durante le competizioni, ovvero ancora sui più svariati strumenti utilizzati nella gara, quali ad esempio gli sci. L’obbligo di affissione si estrinseca frequentemente anche nell’imposizione allo sponsee della partecipazione ad un determinato numero di eventi sportivi, nonché in minuziose previsioni riguardanti la posizione e la dimensione degli spazi destinati a portare il marchio dello sponsor, nonché le modalità di visualizzazione di quest’ultimo. Normalmente connessa alla prestazione di affissione è l’ulteriore prestazione consistente nella concessione allo sponsor della licenza d’uso del nome o della immagine dello sponsee (c.d. licensing), secondo modalità variamente determinate. I diritti concessi allo sponsor possono riguardare sia l’immagine statica (fotografia) che quella mobile (film, video), la voce, la firma dello sponsee. Con particolare riguardo allo sfruttamento, da parte dello sponsor, dell’immagine dello sponsorizzato, occorre premettere che la semplice riproduzione fotografica della squadra o dell’atleta durante una pubblica competizione sportiva non richiede il consenso degli interessati, sempre che avvenga senza pregiudizio all’onore, alla reputazione e al decoro della persona interessata, e ciò, in ragione della notorietà della persona o della squadra, e comunque del ricorrere di un interesse pubblico in relazione all’evento sportivo di cui trattasi, alla stregua del citato art. 97, 1 comma, della legge sul diritto d’autore, in combinazione con l’art.10 c.c., che tutela il diritto all’immagine. Quando invece l’immagine venga riprodotta in contesti diversi da pubbliche manifestazioni sportive, lo sponsor deve ottenere il consenso della società sportiva ad utilizzare l’immagine collettiva della squadra per finalità commerciali. A tale riguardo, si discute se il singolo atleta abbia il diritto di opporsi alla riproduzione collettiva in cui figura. Si registra sul punto un orientamento che propenderebbe per l’affermativa, riconoscendo altresì all’atleta la facoltà di pretendere la ripartizione dei proventi derivanti da contratti di sponsorizzazione. Altra opinione distingue invece a seconda che l’atleta svolga la propria attività alle dipendenze di una società sportiva professionistica, nel qual caso non avrebbe la facoltà di opporsi allo sfruttamento commerciale da parte della stessa dell’immagine di gruppo, ovvero lo stesso presti la propria attività sportiva a favore di società a carattere dilettantistico, nel qual caso invece resterebbe unico titolare della propria immagine, e potrebbe, in tale veste, da un lato, opporsi allo sfruttamento commerciale della stessa, e dall’altro, rivendicare un diritto alla ripartizione dei proventi delle eventuali sponsorizzazioni. Questione diversa è quella dell’utilizzazione, da parte del singolo atleta, della propria immagine per finalità pubblicitarie, che resterebbe infatti del tutto libera, fatta salva la necessità, per l’atleta, di ottenere il consenso della squadra ove l’immagine porti i simboli o i marchi del proprio club di appartenenza. In caso di sponsorizzazione del singolo atleta, la maggiore o minore notorietà dello stesso influisce in maniera determinante, sia sull’entità del contributo finanziario dello sponsor, che dovrà essere infatti più rilevante in caso di sponsee di elevata notorietà, che, correlativamente, sulle prestazioni richieste allo sponsee, che saranno senz’altro maggiormente articolate ed incisive in caso di maggiore notorietà, ricomprendendo l’obbligo di usare le attrezzature, l’abbigliamento, i prodotti dello sponsor in tutte le apparizioni al pubblico, e frequentemente l’obbligo di “dichiarare, ad ogni occasione possibile, di fare uso di certi prodotti e di esserne soddisfatto” . Lo sponsee, sempre in misura strettamente correlata alla propria notorietà, è tenuto spesso anche a prestazioni di vario genere, quali partecipazioni a ricevimenti, fiere e conferenze stampa, esibizioni sotto i colori ed il marchio dello sponsor, partecipazione a manifestazioni promozionali dei prodotti dello sponsor, a volte persino nella veste di public relation man dell’azienda, concessione dell’uso del proprio nome e del proprio autografo come marchi da apporre sui prodotti. Talvolta si richiede l’astensione da altri sports o da attività pericolose e comunque da comportamenti che possano mettere a rischio l’integrità psico-fisica dell’atleta e conseguentemente la sua capacità di incrementare la notorietà dello sponsor. In molti casi si prevede anche un divieto di concorrenza, che impone allo sponsorizzato di non accettare altri incarichi da parte di operatori commerciali che intendano promuovere servizi o prodotti suscettibili di entrare in conflitto con quelli dello sponsor. La prestazione di non concorrenza può appunto essere limitata al settore merceologico in cui opera lo sponsor (c.d. esclusiva “relativa”), ma può anche riguardare qualsiasi tipo di contratto di sponsorizzazione (c.d. esclusiva “assoluta”). A carico dello sponsorizzato vengono individuati ulteriori obblighi anche in mancanza di espressa previsione delle parti, quale ad esempio l’obbligo di fedeltà e diligenza, considerato implicito e strettamente connesso alle caratteristiche fiduciarie del rapporto. Detto obbligo comporterebbe per lo sponsee, fra l’altro, il divieto di manifestare gusti personali in contrasto con l’attività od i prodotti dello sponsor od a favore di imprese concorrenziali rispetto allo sponsor, il divieto di pubblicizzare, prima della scadenza del contratto di sponsorizzazione, i meriti dello sponsor successivo, concorrente di quello attuale, nonchè – a maggior ragione – il divieto di rilasciare dichiarazioni denigratorie dell’immagine dello sponsor. Ulteriore importante obbligo implicito viene ravvisato nel rispetto di tutte le normative applicabili alla particolare attività sportiva in questione, l’inosservanza delle quali comporti una violazione tale da arrecare un significativo pregiudizio allo sponsor; al riguardo, vengono citati quali esempi l’assunzione di droghe o il doping.
Lo sponsor è obbligato principalmente a versare il corrispettivo a favore dello sponsorizzato. Nella maggior parte dei casi si tratta di un contributo di natura economica, che può essere determinato in un ammontare fisso, ovvero essere modulato sulla base di alcune variabili, quali i risultati raggiunti dallo sponsorizzato (c.d. clausole di valorizzazione), ovvero il tasso di ascolto (c.d. share) raggiunto dall’evento. In molti casi vengono peraltro pattuite prestazioni in natura, distinguendosi fra official suppliers, o fornitori ufficiali, che forniscono allo sponsee prodotti direttamente attinenti alla pratica dell’attività sportiva (ad esempio, attrezzature sportive, prodotti alimentari, ecc.), e meri sponsors, che procurano allo sponsorizzato prodotti o servizi non realizzati o commercializzati dallo sponsor stesso (ad es., spese di copertura assicurativa, viaggio, ecc.). I fornitori ufficiali si distinguono ulteriormente in sponsors c.d. tecnici, che forniscono materiale specifico per l’attività sportiva sponsorizzata (ad es., biciclette per i ciclisti), e fornitori che offrono materiale utile, ma non indispensabile all’esercizio sportivo (ad es., prodotti alimentari e abbigliamento). A volte lo sponsor si impegna a prestare ulteriori prestazioni accessorie, quali - ad esempio - assistenza logistica, servizi di relazioni pubbliche o servizi stampa . Frequente è infine la previsione di clausole con cui si esclude qualsiasi potere decisionale dello sponsor in merito allo svolgimento dell’attività dello sponsorizzato, così come correlativamente viene esclusa qualsivoglia responsabilità dello sponsor per atti compiuti dallo sponsorizzato. La tematica dell’esclusiva titolarità dello sponsee sulla propria attività viene particolarmente in rilievo con riferimento al profilo della eventuale legittimazione attiva dello sponsor ad agire avanti l’autorità giudiziaria contro decisioni delle federazioni sportive sfavorevoli all’omologazione del risultato positivo conseguito in una competizione sportiva. Al riguardo, la Suprema Corte, esprimendo un avviso contrario all’orientamento assunto dai giudici di merito, ha negato la legittimazione attiva dello sponsor ad impugnare le decisioni delle federazioni sportive, facendo leva sulla teoria degli ordinamenti separati, quali appunto quello sportivo rispetto a quello generale, ed affermando infatti che vi sono norme dell’ordinamento separato, come appunto quelle tecniche elaborate dall’ordinamento sportivo ai fini dell’acquisizione dei risultati delle competizioni sportive, che, “pur dotate di rilevanza nell’ambito dell’ordinamento che le ha espresse, sono insuscettibili di inquadramento giuridico nell’ambito dell’ordinamento generale” . Si ritiene tuttavia che lo sponsor sia legittimato ad impugnare le decisioni sportive avanti gli organi di giustizia sportiva.
In ogni caso, quello che emerge è la circostanza per cui, nello svolgersi del rapporto di sponsorizzazione, chi sponsorizza si trova, indubbiamente, in una posizione “debole” rispetto allo sponsorizzato. A maggior conferma di questo assunto, è necessario soffermare la nostra attenzione sull’ipotesi in cui il “ritorno pubblicitario” atteso dallo sponsor, possa essere messo in pericolo da una serie di sconfitte sportive o da un insuccesso di pubblico. Ci si chiede, in particolare, in che misura una gestione tecnica che conduca ad una vera e propria “debacle”, possa rilevare in termini di inesecuzione degli obblighi nascenti dal contratto di sponsorizzazione. Ho accennato poco fa ad una posizione “debole” dello sponsor, e non v’è dubbio che sia così: infatti, poggiando le sue attese e le sue speranze su di una combinazione, quanto mai precaria, di fattori in larga misura incontrollabili, qualsiasi imprevisto negativo, qualsiasi comportamento inappropriato dello sponsee può essere rischioso per la realizzazione di queste speranze ed attese. Il problema non è di facile soluzione, in quanto quei comportamenti pregiudizievoli, quegli imprevisti negativi non ineriscono al contenuto del rapporto obbligatorio e sono difficilmente riconducibili ad ipotesi di inadempimento. Si è indotti, infatti, a ritenere che rientra nell’alea normale del contratto di sponsorizzazione la possibilità, così come di una promozione anche di una retrocessione, un infortunio dell’atleta e, generalmente, di un insuccesso sportivo. Del resto la squadra o il singolo atleta non può impegnarsi contrattualmente a raggiungere un determinato risultato sportivo (vincita del campionato, promozione, salvezza etc.), né può garantire l’assoluta immunità da incidenti fisici che impediscano l’esercizio dell’attività sportiva. Tutte queste sono eventualità che, rientrando nell’ambito del fatto imprevedibile, non possono, certamente, costituire oggetto di impegno contrattuale. Pertanto, il verificarsi di tali eventi, costituirebbe l’alea normale del contratto di sponsorizzazione e in tali casi lo sponsor non sarebbe di certo legittimato a richiedere la risoluzione del contratto ed il risarcimento dei danni per il disposto degli artt. 1453-1467 c.c.. Da ciò si evince, in definitiva, che il servizio da rendere allo sponsor consiste nella pubblicizzazione dei suoi segni distintivi: se la pubblicizzazione avviene nei modi convenuti, non si potrà, per altre ragioni, accusare lo sponsorizzato di comportamento negligente. In considerazione di ciò, le parti contraenti optano preferibilmente per l’adozione di particolari clausole nelle quali si prevede il recesso unilaterale dello sponsor in ipotesi di “retrocessione” della squadra in una categoria o serie inferiore, di squalifica dello sponsorizzato per un periodo non breve o per cause infamanti (ad esempio, doping, scommesse clandestine), o di comportamento dello sponsorizzato tale da ingenerare una immagine negativa (ipotesi tutte di c.d. “interferenza d’immagine negativa”). Ancora, talvolta si prevede l’automatica risoluzione del rapporto nei casi di impedimenti oggettivi, quali malattie od infortuni, che colpiscano lo sponsee e non ne consentano il proseguo dell’attività per un notevole periodo di tempo. Si ritiene tuttavia che rientri nella diligenza pretendibile dallo sponsee l’impegno a fare del proprio meglio per il raggiungimento del risultato atteso dallo sponsor, e quindi, anche in assenza di espressa previsione contrattuale, a porre in essere tutte le eventuali misure e cautele idonee ad evitare pregiudizi allo sponsor; con riferimento all’obbligo di diligenza, inoltre, si ritiene che vi rientrino anche le prestazioni e cautele implicite poste a carico dello sponsee, fra le quali il rispetto delle normative che governano la particolare attività sportiva considerata, e comunque le prestazioni legate al carattere fiduciario del rapporto.
Le maggiori squadre di calcio italiane, seguite a ruota dai club iberici, hanno per prime inserito nei contratti dei loro calciatori ( che sono accordi con condizioni generali approvati da Associazione Calciatori e Federazione) clausole addizionali e personalizzate, relative alla gestione dei diritti d´immagine. Tuttavia malgrado la crescente importanza dei diritti di immagine nell´economia dei media e dello sport, nel Regno Unito non esiste una previsione legislativa codificata nemmeno lontanamente simile a quelle italiane sopra menzionate.
Per il diritto anglosassone, i diritti d´immagine tecnicamente non esistono, come spiegato dal Professor Cornish nel volume istituzionale “Intellectual Property” : “Il diritto anglosassone ha costantemente rifiutato di abbracciare il principio che prevede che una persona possegga un diritto sul proprio nome o per quel motivo identificare una caratteristica nell’immagine o nella voce”.
Ma mentre nell’area continentale l’inclusione dei diritti di immagine in codici e costituzioni fa si che l’ampiezza di tali diritti rimanga costante, la natura giudiziale del diritto inglese rende possibile l’irrobustimento di questi in virtu’ del loro valore monetario.
Il loro status di “quasi diritti” di proprieta’ intellettuale potrebbe mutare in quello di veri e propri diritti che a quel punto, non avendo un argine codificato, andrebbero a scontrarsi con il diritto dei cittadini a una libera e accessibile informazione.
Infatti l’ipotetica trasformazione in pieni diritti di proprieta’ intellettuale dei diritti di immagine potrebbe far apparire come uso commerciale la pubblicazione delle foto di un calciatore su di un settimanale di attualità, oppure aumentare drammaticamente i costi dell’intrattenimento sportivo e televisivo.
Naturalmente perché un atleta conosciuto diventi personaggio pubblico sono necessari episodi agonistici particolarmente importanti, per legittimare l’atleta ma non basta in quanto sono necessarie alcune caratteristiche degli atleti: forti comunicatività (magari grezza ma esistente) e un contesto agonistico importante.
Su queste basi si comincia a lavorare sull’atleta: - analisi della personalità dell’atleta - analisi del target di riferimento - ricerca di aziende sponsor compatibili con lo spirito dell’atleta. Per esempio Tiger Woods, il campione di golf più conosciuto al mondo è così popolare perché abbina alla sua bravura caratteristiche uniche. Mai in passato era esistito un campione di golf come lui. Purtroppo non c’è ancora una conoscenza approfondita - da parte delle aziende – sui diritti d’immagine degli atleti, in particolare su cosa possono comprare, cosa utilizzare, quali sono i limiti. La poca cultura giuridica in materia è da addebitare in particolare a chi gestisce gli atleti, perché non vengono date informazioni chiare alle aziende, che rimangono in una grande alea d’incertezza. In questa situazione si generano un’infinità di equivoci: ad esempio nell’ultimo periodo si è manifestata una preferenza delle aziende per gli investimenti in pacchetti prestabiliti (es. sponsorizzazioni di leghe o club), mentre sono calati gli investimenti sugli atleti.
Come vi ho accennato all’inizio è da esaminare anche il senso negativo del diritto in esame in quanto come recita il c.d. codice della privacy: "Chiunque ha diritto alla protezione dei dati personali che lo riguardano". Pertanto, anche i personaggi dello sport, ne hanno pieno diritto ma spesso vedono violata la loro privacy a causa della diffusione di notizie riservate o fotografie private che ben travalicano il cosiddetto "diritto all´informazione". In particolare, in riferimento al mondo dello sport, tralasciando l’argomento della diffusione di foto e pettegolezzi riguardanti calciatori, dubbi di liceità possono insorgere nel caso di diffusione di dati sanitari degli atleti. Il Garante, organo di controllo per la protezione dei dati istituito con la legge delega n. 675/96, è spesso intervenuto in materia, esprimendo alcune valutazioni riguardanti il trattamento, da parte delle società sportive, dei dati idonei a rivelare lo stato di salute dei calciatori. Rispondendo ad un quesito posto da una società sportiva, l´Autorità Garante ha affermato che tali dati, devono, indiscutibilmente, essere ricompresi fra quelli considerati "sensibili", e che, pertanto, per il loro trattamento e diffusione da parte delle società sportive, è necessario il consenso scritto da parte del calciatore interessato. Tale consenso, sempre secondo l´indirizzo del Garante, potrebbe, eventualmente, essere dato dal calciatore anche al momento della stipula del contratto, che, in tal caso, dovrà, esplicitamente, indicare, con la massima precisione, i dati sanitari o le categorie connesse allo svolgimento dell´attività agonistica che potranno essere resi noti. In questo caso, il consenso si intende dato per il periodo di durata del contratto. Correlata a tale problematica, vi è quella riguardante la diffusione di notizie circa la positività degli atleti agli esami anti-doping, reato, questo, penalmente rilevante in base alla L. n. 376/2000, e le comunicazioni da parte delle società sportive dell´idoneità/inidoneità sportiva dei propri atleti. Emblematico, a questo riguardo, è il caso Fadiga. Il giocatore senegalese non aveva ottenuto il rilascio, da parte degli organi preposti, del necessario certificato di idoneità sportiva agonistica. Tale notizia era stata diffusa dagli organi di stampa, creando non pochi problemi al calciatore. Interrogativi sono, inoltre, insorti in riferimento alla presunta legittimità in capo a Federazione, Leghe, Comitati e Divisioni, di pubblicizzare le decisioni dei Comunicati Ufficiali, che, a parere di molti, conterrebbero dati di natura strettamente riservata. I dubbi non riguardano le informazioni di natura tecnico-disciplinare (sospensioni, squalifiche, etc.), ma quelle che investono aspetti estranei allo svolgimento delle competizioni agonistiche, come per esempio la violazioni di regolamenti in materia amministrativo-finanziaria. Il diritto alla riservatezza viene, invece, ampiamente tutelato dall´ordinamento sportivo in materia economica: nelle raccolte periodiche dei lodi arbitrali, infatti, vengono sempre omesse le generalità delle parti, accordando, in tale modo, la massima tutela alle società ed ai tesserati. Tuttavia, appare evidente come l´ordinamento sportivo privilegi la conoscibilità dei provvedimenti nei confronti dei tesserati, al fine di consentire una maggiore trasparenza e correttezza nello svolgimento delle manifestazioni organizzate in seno al Coni. Nondimeno, e per converso, se un calciatore chiede alla Federazione, presso la quale è tesserato, di avere accesso ai suoi dati personali, la Figc è tenuta a comunicarglieli in modo chiaro e completo, precisando anche modalità e finalità del trattamento. Questo è quanto ha deciso il Garante, accogliendo, in parte, il ricorso di un calciatore dilettante che si era rivolto all´Autorità, ritenendo di non aver avuto pieno riscontro ad una richiesta di accesso, ai sensi dell´art. 13 della L. 675/96, con la quale il tesserato aveva chiesto di conoscere tutti i dati che lo riguardavano in possesso della Federazione, la loro origine, le finalità, le modalità del trattamento, nonché il loro responsabile. Nella decisione adottata nel ricorso, il Garante, pur dichiarando il non luogo a provvedere su quelle richieste alle quali era già stato dato riscontro, ha riconosciuto la legittimità delle istanze avanzate dal calciatore, correttamente formulate ai sensi della legge sulla privacy e alle quali doveva essere fornita una risposta adeguata. L´Autorità ha, pertanto, invitato la Figc a comunicare al calciatore, entro un termine stabilito, tutti i dati da essa detenuti con l´indicazione della loro origine, della logica e delle finalità del trattamento. Nel caso in cui, ha precisato il Garante, analizzati gli archivi informatici e cartacei, non fossero emersi altri dati personali del calciatore, la Federcalcio sarebbe stata, in ogni caso, tenuta ad informare l´interessato. Nell´ambito dello stesso procedimento, la Federazione è stata condannata al pagamento delle spese del ricorso.
Ovviamente, considerato il mio ruolo nonché l’interesse che riscuote in Italia abbiamo parlato di calcio ma non è da sottovalutare a livello pubblicitario l’interesse che suscitano altri sport quali il tennis che rappresenta uno sport molto particolare per il mondo degli sponsor, perché è in grado di sfornare campioni da trasformare in eccellenti “testimonial”. Il motivo pare che sia strettamente connesso all’abbigliamento da tennis che non rimane confinato nei limiti del campo, ma è sempre più simile a quello che milioni di ragazzi nel mondo portano non solo nei campi ma nella vita di tutti i giorni, una divisa da gioco che non ha nulla a che vedere con le vecchie tenute da tennis, anzi sembra pensata per andarsene in giro per città o spiagge. Cosa che nel calcio non è possibile in quanto il calciatore ha in campo una divisa da portare. Per essere ancor più esemplificativi nell’esempio fatto basti pensare che nella boxe stanno iniziando ad utilizzare i tatuaggi su schiena e petto degli atleti. Inoltre, tornando al tennis, questo sport offre molto spazio in termini di immagini e possibilità di guadagno anche per le donne, a differenza di altri sport. L’identificazione delle tenniste come top model è oramai entrata nell’immaginario collettivo e questo fatto rende favorevole l’investimento da parte degli sponsor.

Avv. Prof. Walter Mastropasqua
(Agente di calciatori F.I.F.A.)


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