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lunedì 17 dicembre 2012

IMPONIBILE FISCALE E CONTRIBUTIVO: FRA ARMONIZZAZIONE E DIFFERENZIAZIONE

Premessa
La presente relazione, lungi dall’essere un trattato esaustivo della vasta materia concernente l’imponibile contributivo, intende operarne una disamina comparata con la regolamentazione dell’imponibile fiscale, rispetto alla quale a fronte di indubbi profili di armonizzazione, introdotti dal D.L.vo n. 314/1997, rilevano anche aspetti di sostanziale differenziazione, che trovano il loro fondamento nella diversa funzione di assicurazione della prestazione lavorativa cui tende l’imposizione contributiva e nell’esigenza di assicurare al lavoratore la necessaria tutela pensionistica, ovunque sia svolta l’attività lavorativa oggetto di assicurazione.
Data l’ampiezza della materia, la sottoscritta si limiterà pertanto, una volta esplicitato il concetto di imponibile contributivo in relazione a quello fiscale, ad esaminare, partitamente, taluni casi di esclusione dall’imposizione fiscale e contributiva e taluni casi di esenzione a soli fini contributivi, con particolare attenzione agli aspetti problematici relativi alle erogazioni in sede di transazione e di risarcimento danni, che costituiscono spesso fonte di “arroventato” contenzioso giudiziale.


Retribuzione imponibile a fini contributivi e fiscali: relazioni e differenziazioni
L’art. 6 del D.L.vo n. 314/1997, nel fornire con tecnica sostitutoria delle disposizioni di cui agli artt. 27 e 28 del DPR n. 797/1955 e dell’art. 29 del DPR n. 1124/1965, una nuova formulazione del reddito da lavoro dipendente rispetto a quanto previsto dal previgente art. 12 L. n. 153/1969, introduce importanti novità in tema di base retributiva imponibile a fini contributivi.
L’intendimento del legislatore è con tutta evidenza quello di operare un’armonizzazione fra base retributiva imponibile a fini fiscali e base retributiva imponibile a fini contributivi, senza tuttavia una piena equiparazione tra le due.
La prima importante distinzione si ravvisa già nella definizione del reddito da lavoro dipendente a fini contributivi, laddove il cit. art. 6, comma 1, testualmente recita: “Costituiscono redditi da lavoro dipendente a fini contributivi quelli di cui all’art. 49 (già 46) comma 1 del TUIR approvato con DPR 22 dicembre 1986 n. 917 maturati nel periodo di riferimento”.
A fronte, infatti, del rinvio ricettizio all’art. 49 (già 46) del TUIR (“Sono redditi da lavoro dipendente quelli che derivano da rapporti aventi per oggetto la prestazione di lavoro con qualsiasi qualifica alle dipendenze e sotto la direzione di altri…”) v’è l’ulteriore specificazione e condizione che detti redditi siano “maturati” nel periodo di riferimento e non solo “percepiti” dal lavoratore, con significativa incidenza nella previsione di cui al successivo comma 2, dove il rinvio all’art. 48 TUIR per l’individuazione della base retributiva imponibile a fini contributivi non può ritenersi integralmente ricettizio, ma modificato, in parte qua, sulla base di questa importante rettifica valida ai soli fini contributivi.
Peraltro, lo stesso rinvio all’art. 51 TUIR (ex art. 48) opera un’innovazione normativa non di poco conto, se si considera che nel vecchio testo dell’art. 12 L. 153/1969 era stabilito che per il calcolo dei contributi la retribuzione da prendere in considerazione era tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro in denaro o natura la lordo di qualsiasi ritenuta, in dipendenza del rapporto di lavoro, mentre ora quest’ultima è data da tutte le somme e valori in genere maturati in relazione al rapporto di lavoro.
Dunque è retribuzione, ai fini del calcolo contributivo, tutto ciò che il lavoratore matura ed ha diritto di ricevere nel periodo di riferimento, in relazione al rapporto di lavoro.
Alcuni ordini di conseguenze discendono dalle superiori affermazioni.
Innanzitutto, v’è un evidente superamento del concetto di corrispettività e sinallagmaticità, in virtù del quale è retribuzione non più soltanto quanto il lavoratore riceve come corrispettivo della sua prestazione lavorativa ma, in senso più onnicomprensivo, anche tutto ciò che riceve e/o ha diritto di ricevere in occasione del rapporto di lavoro.
La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 354/2001, ha in proposito espressamente affermato: “Rientrano nella base retributiva imponibile non solo il corrispettivo dell’attività di lavoro ma anche ogni altra attribuzione economica che nell’attività di lavoro rinvenga una mera occasione”.
Inoltre, costituisce assunto imprescindibile quello per cui la retribuzione dovuta da prendere in considerazione per il calcolo della contribuzione non può mai essere inferiore ai minimi stabiliti dalla contrattazione collettiva applicabile al settore di appartenenza, secondo il principio di sufficienza di cui all’art. 36 Cost..
Il principio di necessario riferimento ai minimi contrattuali, per l’individuazione del minimo imponibile, è espressamente riaffermato e fatto proprio dalla nuova disciplina, che al comma 8 dell’art. 6 rinvia all’art. 1 comma 1 del D.L. n. 338/1989 convertito con modificazioni dalla legge 7.12.1989 n. 389, di cui è pertanto confermata la piena vigenza.
Quest’ultimo articolo recita: “La retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza e assistenza sociale non può essere inferiore all’importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale ovvero da accordi collettivi o contratti individuali qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo”.
Il problema dell’efficacia erga omnes della contrattazione collettiva e quindi della sua applicabilità anche ai datori di lavoro non aderenti alle OOSS stipulanti, è stato risolto in modo molto pragmatico in sede giurisprudenziale, subordinando l’applicabilità della normativa concernente la fruizione di benefici di fiscalizzazione ai soli datori di lavoro che hanno dato concreta applicazione nella propria azienda ai contratti collettivi di categoria (Cass. n. 8177/2001) o contratti similari.
Non sembra in ogni caso che la circostanza surriferita possa essere di ostacolo all’applicazione di norme imperative di legge che hanno come loro presupposto fattuale lo svolgimento di una prestazione lavorativa in forma di subordinazione e nella cui ricorrenza deve pertanto ritenersi applicabile il principio della necessità che il lavoratore sia assicurato sulla base del compenso cui lo stesso avrebbe diritto come controprestazione della propria attività di lavoro.
Retribuzione convenzionale.
Il minimo retributivo determinato contrattualmente, costituisce minimale imponibile anche per i lavoratori italiani all’estero, con riferimento alla fattispecie delle retribuzioni convenzionali previste dal D.L. n. 317/1987 convertito nella L. n. 398/1987, di cui è espressamente confermata la vigenza al comma 8 dell’art. 6 del D.L. vo n. 314/1997.
Tale normativa individua l’imponibile contributivo per quei lavoratori operanti all’estero in paesi extracomunitari non legati all’Italia da accordi di sicurezza sociale ovvero per le assicurazioni obbligatorie non contemplate nei predetti accordi ove esistenti.
Ai sensi dell’art. 4 comma 1 del predetto D.L. n. 317/89 convertito con modifiche dalla L. n. 398/87 l’imponibile contributivo è individuato sulla base delle retribuzioni fissate con decreto del ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, di concerto con il Ministro del Tesoro e con quello delle Finanze, determinate con riferimento e comunque in misura non inferiore ai contratti collettivi nazionali di categoria raggruppati per settori omogenei.
Con circolare n. 40 del 19.03.2012, l’INPS, nel determinare la retribuzione convenzionale ai sensi della richiamata normativa per il 2012, ha da ultimo ribadito quanto affermato dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale nella circolare n. 72/1990, secondo cui la retribuzione convenzionale imponibile, per i lavoratori per i quali sono previste fasce di retribuzione, è determinata sulla base del raffronto con la fascia di retribuzione nazionale corrispondente “di cui alle tabelle citate all’art. 1”.
Per “retribuzione nazionale” deve intendersi il trattamento previsto per il lavoratore dal contratto collettivo stipulato in Italia comprensivo degli emolumenti riconosciuti per accordo fra le parti, ossia non solo la retribuzione tabellare base prevista dalla contrattazione nazionale specificamente applicabile ma anche quegli ulteriori emolumenti che fossero previsti dalla contrattazione di diverso livello.
Per i paesi convenzionati, invece, la retribuzione da considerare ai fini del calcolo della contribuzione è quella effettiva secondo il regime vigente in Italia (cfr. Circolare INPS n. 86/2001), in quanto, come statuito da Cass. n. 540/1995, la convenzione ben può prevedere una deroga al principio di territorialità della tutela previdenziale in territorio italiano, con estensione di quest’ultima anche ai lavoratori occupati all’estero.
Parte della dottrina ha evidenziato che, sulla base del principio di equiparazione degli imponibili fiscale e previdenziale introdotta dal D.L.vo n. 314/97 e dell’abrogazione dei benefici fiscali concessa ai lavoratori all’estero stabilita dal comma 8 bis dell’art. 51 del TUIR - norma introdotta dalla L. n. 342 del 21 novembre 2000- le medesime retribuzioni convenzionali adottate a titolo di imponibile fiscale debbano essere adottate anche a fini contributivi, laddove ricorrano le condizioni previste dal comma 8 bis dell’art. 51 TUIR, senza distinzione fra paesi convenzionati e non convenzionati.
Con nota del 19 gennaio 2001- richiamata dalla Circolare INPS n.86/2001 - il Ministero del Lavoro ha invece sostenuto, con un intervento in via interpretativa, che le disposizioni di cui al comma 8 bis dell’art. 51 TUIR sono limitate all’ambito fiscale e non anche a quello previdenziale, confermando le regole di imposizione contributiva fino a quel momento in vigore.
Ciò ha desunto il ministero sulla base di principi di diritto generali e di una serie di considerazioni.
Innanzitutto si è posta in evidenza la circostanza per cui il principio ispiratore della L. n. 342/2000 e della L. n. 398/1987 è lo stesso: “entrambe le normative cioè si applicano nei casi in cui vi sia doppia imposizione in Italia e all’estero, come viene confermato anche dalle disposizioni applicative del Ministero delle Finanze.” Inoltre, afferma il Ministero, bisogna tener conto che “…le convenzioni per evitare la doppia imposizione fiscale e le convenzioni di sicurezza sociale seguono regole diverse. Mentre nelle prime è prevista, di norma, la competenza concorrente, dell’Italia e del paese estero, nelle seconde è previsto l’esonero dall’obbligo contributivo nel paese di occupazione con l’applicazione del solo regime italiano. L’interpretazione estensiva sarebbe infine penalizzante per il finanziamento del sistema previdenziale, con una riduzione delle entrate, ancorchè compensata con una riduzione delle corrispondenti prestazioni, ma soprattutto per il lavoratore che, in virtù del calcolo contributivo introdotto dalla L. n. 335/1995 vedrebbe ridotto l’importo del trattamento pensionistico….comunque la riduzione della copertura previdenziale esporrebbe l’Italia nell’Unione Europea sul piano della responsabilità per violazione del principio della libera circolazione. Infine, tra gli effetti distorsivi può essere anche segnalata la disparità di trattamento che per gli aspetti previdenziali si verrebbe a creare fra lavoratori che soggiornano all’estero per periodi inferiori o superiori a 183 giorni. Tale discrimine, se ha la sua ragion d’essere nel campo fiscale, in quanto legato al concetto di residenza fiscale, perde ogni significato se trasportato nel campo previdenziale, ove il concetto di residenza non rileva. In conclusione…le disposizioni contenute nell’art. 48 comma 8 bis del TUIR…introdotte dall’art. 36 della L. n. 342/2000, vanno interpretate nel senso che le stesse espletano i loro effetti esclusivamente in campo fiscale”.
Esclusioni a fini fiscali e contributivi
Il criterio dell’onnicomprensività della retribuzione imponibile è temperato da un insieme di esclusioni valide tanto a fini fiscali che contributive (art. 51 ex 48, commi da 2 a 9 TUIR) e da un elenco di voci non imponibili, in modo integrale o parziale, valido solo in campo previdenziale (art. 12 comma 4 L. 153/69 nel testo sostituito dall’art. 6 del D.L.vo n. 314/1997).
Sotto il primo aspetto, non concorrono a formare il reddito da lavoro dipendente gli emolumenti di cui all’art. 51 comma 2 TUIR, tra le quali, le azioni offerte alla generalità dei dipendenti e, dal 2008, le stock options.
a) Azioni offerte alla generalità dei dipendenti e stock options:
In base all’art. 51 comma 2 lett. g TUIR, come sostituito dall’art. 13 comma 1 del D.L.vo n. 505/1999, non concorre, fino al valore di 2.065,83, a formare il reddito imponibile il valore delle azioni offerte alla generalità dei dipendenti che non siano cedute alla società prima di tre anni e che non siano riacquistate dalla società emittente o dal datore di lavoro. Diversamente, l’intero importo è imponibile.
In proposito, come dettato da Circolare INPS n. 11/2002, la disciplina applicabile in tema di imponibile contributivo è esattamente quella dettata in materia fiscale.
Pertanto, ai sensi dell’art. 51 comma 2 bis TUIR, le disposizioni relative alle assegnazioni agevolate di azioni si applicano esclusivamente alle azioni emesse:
dall’impresa con la quale il contribuente intrattiene il rapporto di lavoro;
da società che direttamente o indirettamente controllano la medesima impresa;
che ne siano controllate;
che sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa.
Le stock options concretizzano un’offerta di azioni ad alcuni dipendenti o a determinate categorie di dipendenti, attraverso l’attribuzione gratuita o a pagamento di un diritto di opzione per l’acquisto, ad un prezzo prestabilito ed entro una certa data ovvero al verificarsi di determinate condizioni, di azioni già emesse o da emettere.
Fino all’entrata in vigore del D.L. n. 112/2008 convertito in L. n. 133/2008, le stock options erano soggette ad un regime fiscale agevolato, come determinato da successivi interventi legislativi (art.51 comma 2 lett. g bis TUIR che ne prevedeva l’originaria esenzione totale, successivamente modificato dal D.L. n. 248/06 convertito con modificazioni dalla L. n. 248/2006, D.L. n. 262/2006 convertito con modificazioni dalla L. n. 286/2006).
Successivamente, il D.L. n. 112/2008 convertito in L. n. 133/2008 ha disposto, con decorrenza 25 giugno 2008, all’art. 82 comma 23 l’abrogazione della lettera g-bis comma 2 dell’art. 51 TUIR e ha inserito all’art. 82 comma 24 bis della legge di conversione l’esenzione contributiva per i redditi da lavoro dipendente derivanti dall’esercizio dei piani di stock options (cfr. Circolare INPS n. 123/2009).
La citata norma di cui alla lett. g-bis del comma 2 dell’art. 51 TUIR, prevedeva, previo rispetto delle condizioni ivi previste, la non concorrenza nella determinazione del reddito da lavoro dipendente della differenza tra il valore delle azioni al momento dell’assegnazione e l’ammontare corrisposto dal dipendente.
L’art. 82 comma 24 bis del D.L.n. 112/2008 convertito dalla L. n. 133/2008 ha altresì introdotto, oltre all’esenzione contributiva per i redditi da stock options, anche un’ ulteriore deroga al principio di armonizzazione delle basi imponibili fiscale e contributiva, stabilendo che tale esenzione si applica non solo ai piani che attribuiscono diritti di opzione ma anche a quelli che, in ottica di fidelizzazione dei dipendenti all’azienda datrice di lavoro, prevedano assegnazioni di azioni a titolo gratuito.
La fruibilità di tale beneficio, tuttavia, è subordinata alle seguenti condizioni:
a. che il piano azionario non sia generalizzato: ai piani di azioni offerte alla generalità dei lavoratori si applica infatti l’art. 51 comma 2 lett. g del TUIR;
b. che l’attuazione del piano sia a sua volta subordinata all’avveramento delle condizioni di fidelizzazione nello stesso previste;
c. che il piano preveda l’esclusiva assegnazione di titoli azionari (cfr. Messaggio INPS n. 25602/2010).
Esulano dalle sopra citate fattispecie gli accordi o piani di incentivazione del personale che prevedano la corresponsione in denaro del valore delle azioni, ai quali non può applicarsi in regime di esenzione contributiva sopra riportato (così da Messaggio INPS n. 25602/2010).
b) Retribuzione in natura: fringe benefits
Si tratta di vantaggi accessori alla retribuzione, diversi dai compensi in denaro, corrisposti ad alcuni individui soltanto, di cui deve essere determinato il valore ai fini dell’imposizione fiscale e contributiva, caratterizzata da un regime di parziale esenzione, come specificato dalla normativa che segue.
Ai sensi dell’art. 51 comma 3 TUIR “Ai fini della determinazione in denaro dei valori di cui al comma 1, compresi quelli dei beni ceduti e dei servizi prestati al coniuge del dipendente o ai familiari…o il diritto di ottenerli dai terzi, si applicano le disposizioni relative alla determinazione del valore normale dei beni e dei servizi contenute nell’art. 9”.
Ai sensi dell’art. 9 comma 3 TUIR, “Per valore normale… si intende il prezzo o il corrispettivo mediamente praticato per beni o servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione nel tempo e nel luogo in cui i medesimi beni o servizi sono stati acquisiti o prestati e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi. Per la determinazione del valore normale si fa riferimento, pe quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o servizi e, in mancanza alle mercuriali o ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso. Per i beni o servizi soggetti a disciplina si fa riferimento ai provvedimenti in vigore”.
Tale criterio generale ha due eccezioni:
per i beni e servizi prodotti dall’azienda il valore normale dei generi in natura prodotti dall’azienda e ceduti ai dipendenti è determinato in misura pari al prezzo mediamente praticato dalla stessa azienda nelle cessioni al grossista;
non concorre a formare il reddito da lavoro dipendente il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati se complessivamente di importo non superiore nel periodo di imposta a euro 258,23. In caso di superamento, l’intero valore concorre a formare il reddito.
Per gli autoveicoli, motocicli e ciclomotori concessi in uso promiscuo si rinvia al regime di parziale esenzione di cui all’art.51 comma 4 lett. a ) TUIR, che assume il 30%dell’importo corrispondente ad una percorrenza convenzionale di 15 mila chilometri calcolato sulla base del costo chilometrico di esercizio desumibile stabilito dall’ACI annualmente.
Secondo l’Agenzia delle Entrate (Circolare n. 326/E del 23.12.1997) l’importo da far concorrere alla formazione del reddito deve essere ragguagliato al periodo dell’anno durante il quale al dipendente viene concesso l’uso promiscuo del veicolo, conteggiando il numero di giorni per i quali il veicolo è assegnato, indipendentemente dal suo effettivo utilizzo.
L’Agenzia delle Entrate ha anche specificato che se il dipendente corrisponde delle somme in cambio della possibilità concessagli dal datore di lavoro di utilizzare in modo promiscuo l’autovettura, queste devono essere sottratte dal valore del veicolo.
Se invece il veicolo è concesso per esclusivo uso personale, si applicano i criteri di determinazione dell’imponibile di cui all’art. 9 TUIR sopracitato.
Quanto ai prestiti aziendali, si rinvia a quanto disposto dall’art. 51 comma 4 lett.b) del TUIR, secondo il quale ai fini della determinazione del reddito di lavoro dipendente si assume il 50% della differenza fra l’importo degli interessi calcolato al tasso ufficiale di riferimento vigente al termine di ciascun anno e l’importo di interessi calcolato al tasso applicato. Tale previsione si applica anche ai finanziamenti concessi dal datore di lavoro indipendentemente dalla loro durata e dalla valuta utilizzata; si applica altresì ai finanziamenti concessi da terzi con i quali il datore di lavoro abbia stipulato accordi o convenzioni anche in assenza di oneri specifici da parte di quest’ultimo (così Circolare Agenzia Entrate n. 326/E del 23.12.1997, par. 2.3.2.2; così Circolare INPS n. 263/1997).
Questa modalità di imposizione dei prestiti non si applica ai prestiti concessi anteriormente al 1.1.1997, per i quali rimane applicato il criterio del costo specifico e a quelli di durata inferiore a 12 mesi concessi dal datore di lavoro a dipendenti in CIGS o in contratto di solidarietà o vittime dell’usura ex L. n. 108/96 o ammessi a fruire delle erogazioni pecuniarie a ristoro dei danni conseguenti a rifiuto di richieste estorsive (cfr. Circolare INPS n. 276/1997).
Ai fabbricati concessi in locazione, uso o comodato si applica la previsione di cui all’art. 51 comma 4 lett. c) TUIR, secondo cui il reddito imponibile è dato dalla differenza fra la rendita catastale, aumentata di tutte le spese relative al fabbricato incluse le utenze non a carico del dipendente, e quanto corrisposto da quest’ultimo; se al dipendente è fatto obbligo di dimora presso l’alloggio del datore di lavoro, l’imponibile è ridotto al 30%;se l’immobile non è accatastato l’imponibile è dato dalla differenza fra il valore del canone di locazione, di mercato o in regime vincolistico, e quello pagato dal dipendente.
Al personal computer e al telefono cellulare assegnati al dipendente per uso promiscuo si applica il criterio generale previsto per i compensi in natura ( art. 51 comma 3 TUIR).
c) Trasferte e trasfertisti
Come precisato da INPS nella richiamata Circolare n. 263/1997, il lavoratore dipendente è tenuto a svolgere la propria prestazione di lavoro nel luogo stabilito dal datore di lavoro che è generalmente indicato nella lettera di assunzione o nel contratto di lavoro.
E’ pertanto ovvio che i CCNL prevedano, nel caso in cui il lavoratore debba, per disposizione del datore di lavoro, prestare la propria attività lavorativa in un luogo diverso, la corresponsione di un’indennità aggiuntiva.
Anche in materia di trasferta, l’imponibile contributivo segue le regole dell’imponibile fiscale, con la considerazione che l’imponibile è diverso se si tratti di trasferta svolta all’interno o fuori dal territorio comunale.
La normativa privilegia, infatti, ai fini dell’esenzione, la trasferta svolta fuori dal territorio in cui è la sede di lavoro, per la maggiore gravosità dell’impegno lavorativo.
Nel caso in cui la trasferta sia svolta nel territorio comunale, le indennità o i rimborsi concorrono a formare il reddito imponibile sia fiscale che contributivo, con esclusione dei soli rimborsi spese di trasporto comprovate con documenti provenienti dal vettore.
Nel caso di trasferta svolta oltre il territorio comunale o all’estero l’attività lavorativa può essere compensata con :
rimborso analitico di spese
indennità forfettaria
indennità forfettaria e rimborso analitico.
La scelta di uno dei tre sistemi, va fatta con riferimento all’intero periodo di trasferta (Circolare Agenzia Entrate n. 326/1997 par. 2.4.1.).
Nel caso si opti per l’indennità forfettaria, la franchigia fiscale (46,48 euro per la Trasferta Italia e 77,47 euro per la trasferta estero) si applica anche all’imponibile contributivo ed è indipendente dalla durata della trasferta ed alla circostanza che non vi sia stato pernottamento fuori sede; non sono soggetti a imposizione i rimborsi spese del viaggio documentati in modo idoneo.
Nel caso di adozione del sistema misto, ossia di corresponsione del rimborso analitico delle spese di vitto e alloggio e di un’indennità di trasferta, le franchigie sono ridotte, di un terzo o due terzi a seconda di corresponsione al lavoratore di vitto o alloggio o di entrambi (in quest’ultimo caso è infatti maggiore il reddito imponibile nella disponibilità del lavoratore).
Anche in questo caso le spese di viaggio debitamente documentate sono esenti.
Ogni altro eventuale rimborso spese è assoggettato a imposizione.
Nel caso di rimborso analitico, le spese debitamente documentate relative a vitto, alloggio o viaggio non concorrono alla determinazione del reddito imponibile mentre eventuali altre spese sostenute e non documentate o non documentabili sono esenti nei limiti dell’importo forfettario di euro 15,49 al giorno, elevato a euro 25,82 per le trasferte all’estero.
L’eventuale corresponsione di un’indennità in aggiunta alle spese è integralmente imponibile.
Si osservi che, come affermato da Corte d’Appello di Genova nella sentenza n. 4.5.2009 n. 2219, risolvendosi il mancato versamento della contribuzione afferente l’indennità di trasferta priva dei requisiti di esenzione in un adempimento inesatto dell’obbligazione contributiva in ordine al quantum, l’onere della prova circa l’avvenuto esatto adempimento – e quindi della sussistenza dei requisiti di esenzione contributiva – spetta al contribuente, mentre l’INPS è tenuto alla sola allegazione dell’inesattezza dell’ inadempimento.
Sono invece definiti trasfertisti quei lavoratori tenuti per contratto a svolgere l’attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi.
In base all’art. 51 comma 6 del TUIR l’indennità attribuita al trasfertista, anche se corrisposta con continuità, partecipa dell’imponibile contributivo e fiscale nella misura del 50% del suo ammontare.
Con messaggio n. 27271 del 28.12.2008 l’INPS ha individuato gli elementi qualificanti il trasfertista, in linea con quanto previsto dalla richiamata circolare n. 326/E/1997 dell’Agenzia delle Entrate. Tali elementi sono:
- la mancata indicazione nel contratto di una sede di lavoro;
- lo svolgimento di un’attività che richieda la continua mobilità sul territorio, in modo che lo spostamento costituisca contenuto ordinario della prestazione di lavoro;
- la corresponsione di una maggiorazione retributiva in misura fissa e continuativa, vale a dire non strettamente legata alla trasferta poiché attribuita senza distinguere se il dipendente si è effettivamente recato in trasferta e dove si è svolta la trasferta.
Ai fini dell’applicabilità del regime contributivo di cui al comma 6 dell’art. 51 TUI, è necessaria la sussistenza di tutte e tre le condizioni sopra citate.
Si richiama al riguardo la risoluzione n. 56/E del 9.5.2000 dell’Agenzia delle Entrate che ha escluso l’assimilabilità degli autotrasportatori di merci ai trasfertisti proprio in considerazione del fatto che le indennità ad essi corrisposte non hanno carattere continuativo, vale a dire non sono corrisposte per tutti i giorni retribuiti, ma competono solo per i giorni di effettiva trasferta.
Diversamente, l’imponibile contributivo relativo a compensi per servizi prestati all’estero in via non continuativa, ai quali quindi per questa ragione non è applicabile il parametro della retribuzione convenzionale, è individuato nella misura del 50% del compenso stesso.
Qualora l’indennità per servizi prestati all’estero comprenda emolumenti spettanti anche con riferimento all’attività prestata nel territorio nazionale, la riduzione compete solo sulla parte eccedente gli emolumenti predetti.
L’applicazione di questa previsione esclude pertanto la possibilità di fruire del regime previsto per le trasferte.
Esclusioni a soli fini contributivi
L’art. 6 del D.l.vo n. 314/1997 al comma 4 individua i casi di esenzione a soli fini contributivi, tra i quali:
lett. a) somme corrisposte a titolo di TFR;
lett. b) somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di lavoro al fine di incentivare l’esodo dei lavoratori nonchè quelle la cui erogazione trae origine dalla predetta cessazione, fatta salva l’imponibilità dell’indennità sostitutiva del preavviso;
lett. c) i proventi e le indennità conseguite a titolo di risarcimento danni.
Etc.
a) Incentivi all’esodo
Nella circolare n. 263/1997 l’INPS, richiamandosi alla circolare n. 170 del 19.7.1990, ha stabilito che rientrano nel campo di applicazione della norma esoneratrice le somme erogate in occasione della cessazione del rapporto di lavoro in eccedenza alle normali competenze comunque spettanti ed aventi lo scopo di indurre il lavoratore ad anticipare la risoluzione del rapporto di lavoro rispetto alla sua naturale scadenza.
Sono state pertanto ricomprese nella fattispecie:
1.le somme corrisposte nei casi di prepensionamento,
2. quelle erogate in caso di cessazione anticipata del rapporto di lavoro a tempo indeterminato laddove la disciplina contrattuale o legale ponga delle limitazioni al potere di recesso del datore di lavoro e quindi nel caso di rapporti di lavoro caratterizzati da stabilità ai sensi della L. n. 604/1966 e successive modificazioni,
3. le somme corrisposte in caso di rapporti di lavoro a tempo determinato prima della scadenza del termine,
4. quelle corrisposte per agevolare le procedure di licenziamento collettivo.
Si tratta di casi in cui le parti concordano la corresponsione di una somma con la finalità di anticipare la risoluzione del rapporto di lavoro e agevolare la fuoriuscita del lavoratore dall’azienda; ciò presuppone pertanto che detta corresponsione avvenga all’interno del rapporto di lavoro in essere e fuori da una transazione volta a regolare i rapporti economici e rivendicazioni successive ad un licenziamento di cui sia stata contestata la legittimità.
La norma estende l’esonero da contribuzione, in generale a quelle somme la cui corresponsione tragga origine dalla “predetta cessazione” con ciò dovendosi ricondurre, ai fini dell’esonero, la seconda parte della proposizione normativa agli stessi criteri ermeneutici della prima, laddove appare ben chiaro, anche dal punto di vista letterale, che la volontà del legislatore è stata quella di escludere dall’imposizione fiscale proprio quelle somme che abbiano la finalità di agevolare la cessazione del rapporto di lavoro, una volta che siano state soddisfatte le pretese retributive del lavoratore.
Conseguentemente, l’esclusione non si estende a quelle somme erogate in occasione della cessazione del rapporto di lavoro, la cui causale derivi dall’adempimento di un obbligo nascente dal contratto di lavoro e che all’adempimento della prestazione lavorativa nello stesso prevista in qualche modo si ricolleghi (premi di fedeltà, gratifiche natalizie etc.).
Tali somme non sfuggono, pertanto, all’imposizione contributiva.
b) Transazione
La norma sulle agevolazioni degli esodi volontari è stata spesso invocata per escludere l’assoggettamento a contribuzione delle somme corrisposte dal datore di lavoro al lavoratore in sede di transazione conclusa a seguito del licenziamento del lavoratore.
Il problema legato all’imponibilità contributiva (e fiscale) delle somme corrisposte in esecuzione di un contratto di transazione, deriva dal trovare le stesse la loro causa in un rapporto diverso da quello di lavoro, ossia, appunto, dal contratto di transazione.
Essendo dunque la causa dell’attribuzione patrimoniale quest’ultimo contratto e non quello di lavoro, si è ritenuto che nel caso di specie difettasse il presupposto fondamentale ed indefettibile dell’imponibilità contributiva di tali somme, di cui, per implicito, non poteva essere affermata la natura retributiva.
Ma l’esigenza di un approccio sostanzialistico alla problematica, tale da escludere in nuce la possibilità di intenti elusivi della normativa previdenziale e di legislazione sociale posta a tutela dell’interesse primario del lavoratore alla regolarità della propria posizione assicurativa e contributiva, aveva già indotto l’elaborazione giurisprudenziale ad operare una prima distinzione fra transazioni novative, in cui l’erogazione di somme trovava in effetti giustificazione in un titolo autonomo e diverso dal rapporto di lavoro, non soggette ad imposizione contributiva e transazioni non novative, le altre.
In queste ultime, doveva essere evidente l’intento delle parti di dar luogo ad un rapporto giuridico nuovo, con estinzione del precedente.
In concreto, deve tuttavia osservarsi che se tale volontà può emergere da un contratto di transazione stipulato a conclusione di una vertenza giudiziale avente ad oggetto l’accertamento della natura subordinata di un rapporto di lavoro asseritamene autonomo, con maggiore difficoltà si può negare la riconducibilità al rapporto di lavoro preesistente degli emolumenti corrisposti dal datore di lavoro al lavoratore, in sede di una transazione volta a regolare le conseguenze patrimoniali di un licenziamento giudizialmente contestato.
Deve infatti ritenersi sussistente una presunzione iuris tantum circa il fatto che tali attribuzioni patrimoniali, così come le pretese cui le stesse sono consequenziali, originano dal rapporto di lavoro concluso anzitempo ed in relazione al quale esse sono avanzate, sempre salva la prova contraria della insussistenza di tale relazione e, in ogni caso, della non imponibilità contributiva delle somme erogate.
Sul punto, graniticamente la Cassazione ha avuto modo di affermare che per escludere l’imponibilità contributiva di somme erogate in sede di transazione, va provato che le stesse sono state corrisposte in virtù di un titolo autonomo e distinto dal rapporto di lavoro, dato l’ampio concetto di imponibile desumibile dalla legge (Cass. n. 6663/2002); e che, una volta assolta la prova da parte dell’INPS – con ogni mezzo - che il lavoratore ha percepito somme dal datore di lavoro in relazione al rapporto di lavoro, è quest’ultimo a dover provare la ricorrenza della causa di esclusione dell’emolumento corrisposto dalla base imponibile contributiva (Cass. n. 411/2011).
Tale conclusione appare d’altro canto coerente con l’estensione del concetto di retribuzione imponibile introdotto dall’art. 6 del D.L.vo n. 314/1997, che, riformulando l’art. 12 della L. n. 153/1969, vi ha ricompreso tutto ciò che il lavoratore ha diritto di ricevere in relazione al rapporto di lavoro e quindi non solo quanto costituisce corrispettivo dell’attività lavorativa svolta ma anche ogni altra attribuzione economica che nell’attività stessa rinvenga soltanto una mera occasione (così, nella sentenza della Corte Costituzionale n. 354/2001), secondo un concetto di onnicomprensività retributiva mitigato dalla previsione legale di un numerus clausus di casi di esclusione.
Conferma tale impostazione, a parere di chi scrive, anche l’attuale orientamento della giurisprudenza di diritto che, abbandonando le vecchie categorie, ritiene imponibili le somme corrisposte a seguito di transazione laddove nella sostanza risulti che dette somme conservano funzione di corrispettivo, sia pure indiretto, di obbligazioni che trovano titolo nel rapporto di lavoro (Cass. 6663/2001; Cass. 11301/2002; Cass. 3213/2001).
Conclusivamente, si può affermate che le erogazioni in sede di transazione si presumono assoggettabili a contribuzione in ragione:
1. dell’onnicomprensività e della non necessaria corrispettività del concetto di retribuzione imponibile;
2. della mancata inclusione delle somme corrisposte in sede di transazione nel numerus clausus dei casi tassativamente esclusi, previsti dal legislatore;
3. dell’inefficacia del contratto di transazione stipulato fra le parti nei confronti dell’INPS, che è l’ente impositore del contributo, legittimato alla relativa pretesa creditoria;
4. dell’irrinunciabilità da parte del lavoratore della pretesa contributiva e della nullità di ogni relativo patto contrario fra le parti (art. 2115 c.c. comma 3);
5. dell’indisponibilità dell’obbligazione contributiva che trova la propria origine nella legge. In proposito, Cass. n. 3122/2003 ha espressamente affermato che sul fatto costitutivo dell’obbligazione contributiva non incide la volontà negoziale delle parti che regoli in maniera diversa l’obbligazione retributiva ovvero risolva con un contratto di transazione la controversia insorta a seguito di licenziamento.
c) Normativa fiscale: assoggettamento a tassazione separata delle somme corrisposte in sede transattiva
In punto di imponibilità fiscale delle erogazioni in sede transattiva, l’art. 17 del TUIR, ha espressamente previsto l’assoggettamento a tassazione delle somme percepite dal lavoratore, distinguendo fra transazione relativa alla risoluzione del rapporto (lett. a) e transazione intervenuta nel corso del rapporto (lett. b), prevedendo solo nel primo caso l’assoggettamento a tassazione separata.
In tale seconda fattispecie, l’assoggettamento degli emolumenti a tassazione ordinaria si ricava per esclusione dalla lettera della disposizione che fa riferimento alla assoggettabilità a tassazione separata ad emolumenti arretrati da lavoro dipendente, riferiti ad annualità precedenti e percepiti per cause non dipendenti dalla volontà delle parti.
In tema di cessione d’azienda, l’Agenzia delle Entrate ha precisato, con la risoluzione n. 135/E del 28.5.2009, che l’art. 17 lett. a TUIR non è applicabile alle somme corrisposte dal cedente al lavoratore a titolo transattivo a fronte della rinunzia al vincolo di solidarietà di cui all’art. 2112 c.c. secondo comma, non essendo in tal caso configurabile una transazione “relativa alla risoluzione del rapporto di lavoro” per effetto della continuazione ex lege del rapporto di lavoro in capo al cessionario dell’azienda.
d) Somme corrisposte a titolo di risarcimento danni
In base a quanto previsto dalle Circolari INPS n. 263/1997 e n. 125/1992 non sono assoggettabili a contribuzione le somme riconosciute al lavoratore dal Giudice a titolo di risarcimento danni a seguito dell’accertata illegittimità del licenziamento intimato senza giusta causa con diritto del lavoratore alla reintegra nel posto di lavoro ai sensi dell’art. 18 della L. n. 300/1970.
Il lavoratore può optare, in luogo della reintegra nel posto di lavoro, per un’indennità pari a 15 mensilità: secondo l’INPS (circolare n. 125/1992) i due compensi hanno funzione indennitaria, il primo indennizza il lavoratore per il lucro cessante relativo al periodo di illegittimo licenziamento ed il secondo per la rinuncia al reintegro; entrambi, aventi natura risarcitoria, non sono assoggettabili contributivamente.
In ragione degli effetti ex tunc della sentenza di reintegra, che determina il ripristino ab origine del rapporto di lavoro interrotto per licenziamento illegittimo, sono comunque imponibili contributivamente le mensilità della retribuzione globale di fatto, e, se inferiori, comunque ragguagliate ai minimi imponibili di cui all’art.1 comma 1 L. n. 389/89, che il datore di lavoro è tenuto a corrispondere dalla data del licenziamento illegittimo fino alla data della reintegrazione disposta dal giudice, ovvero fino alla data dell’opzione in favore delle 15 mensilità tempestivamente esercitata dal lavoratore ovvero, come anche ritenuto dalla Suprema Corte, del pagamento di detta indennità da parte del datore di lavoro (cfr. Cass. n. 24200/2009).
Sebbene nella circolare soprarichiamata sia utilizzato impropriamente il riferimento al lucro cessante, il risarcimento corrisposto al lavoratore ingiustificatamente licenziato dal datore di lavoro, tenuto altresì alla corresponsione delle mensilità di retribuzione perse dalla data di licenziamento fino all’effettivo reintegro, deve considerarsi piuttosto come un danno emergente, essendo la perdita di reddito compensata dall’ulteriore corresponsione retributiva e, in quanto tale, ne va escluso l’assoggettamento a contribuzione.
Deve ritenersi dunque che il risarcimento da danno emergente non sia assoggettabile a contribuzione.
Peraltro, anche a fini fiscali, l’art. 6 TUIR esclude in via generale dalla nozione di reddito il risarcimento del danno per la parte destinata a reintegrare il patrimonio del percettore per le perdite subite e le spese sostenute (danno emergente) mentre assoggetta ad imposta sul reddito delle persone fisiche gli indennizzi risarcitori del lucro cessante in quanto emolumenti sostitutivi di un reddito che il danneggiato non ha potuto conseguire per effetto dell’evento lesivo.
Così non può reputarsi imponibile il risarcimento per danni alla salute, all’immagine, dei danni esistenziali provocati da infortunio sul lavoro né le erogazioni che hanno la funzione di integrare perdite patrimoniali derivanti dallo svolgimento dell’attività lavorativa (somme corrisposte al dirigente per mantenerlo indenne da responsabilità nei confronti dei terzi).
Sono invece imponibili, ai sensi dell’art. 6 comma 2 TUIR, le somme percepite dal contribuente, destinate a reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi.
La Suprema Corte ha trasferito sul contribuente l’onere di provare la riconducibilità della corresponsione a un danno emergente piuttosto che al lucro cessante, posto che a tali somme “deve essere presuntivamente attribuita al di là delle qualificazioni formalmente adottate dalle parti, la natura di ristoro della perdita di retribuzioni che la prosecuzione del rapporto avrebbe implicato e quindi il danno qualificabile come lucro cessante”. (Cass. S.U. n. 6572/2006, Cass. 360/2009).
Diverso è invece il caso di rapporto di lavoro non soggetto a tutela reale, in cui, stante l’illegittimità del licenziamento, il datore di lavoro è obbligato
alla riassunzione del lavoratore e non anche alla sua reintegrazione con effetto ex nunc.
Ebbene, la circolare INPS n. 125/1992 ha sul punto operato una precisa distinzione fra datori di lavoro cui risulta applicabile il disposto di cui al richiamato articolo 18 – per i quali valgono le argomentazioni sopra esposte - e i datori di lavoro cui risulta applicabile l’art. 2 della L. n. 108/1990 che, modificando vari articoli della L. n. 604/1966 ha previsto l’obbligo di riassunzione del lavoratore ingiustificatamente licenziato entro 3 giorni ovvero l’attribuzione allo stesso di un’indennità con natura risarcitoria; in tal caso, si è osservato che la citata norma, riformulando l’art. 8 della L. n. 604/66, commina una sanzione senza annullare il licenziamento illegittimamente intimato, ragion per cui, non essendovi alcun ripristino ex nunc del rapporto di lavoro, vengono meno gli obblighi contributivi sulle somme a tale titolo corrisposte.

Cristiana Vivian

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