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   venerdì 13 aprile 2007

IL LAVORO SUBORDINATO TRA RAPPORTI SPECIALI, CONTRATTI “ATIPICI” E POSSIBILI RIFORME. - SECONDA PARTE

SPECIALE FLESSIBILITA : APPROFONDIMENTO del Prof. Valerio Speziale - Facoltà di Economia – Università di Chieti-Pescara

6. Il “superamento” del dibattito teorico e le tecniche


di coordinamento tra discipline diverse del lavoro


subordinato


L’analisi delle diverse interpretazioni descritte dimostra la


complessità del tema analizzato e l’esistenza di tesi assai differenziate.


Indubbiamente questo panorama così variegato di opinioni è anche il


frutto della difficoltà di definire con esattezza nozioni fondamentali quali


quelle di “tipo” o “sottotipo” contrattuale, anche per effetto di studi che


hanno rinnovato il dibattito sulle caratteristiche identificative dei rispettivi


79 Tuttavia, “l’impresa deve contentarsi della flessibilità connessa con il modello regolativo,


senza perseguire ulteriori vantaggi su piani diversi nella gestione del rapporto di lavoro. In


tal modo nell’articolazione tipologica dei rapporti di lavoro occupabilità e adattabilità


combaciano” (Napoli 2004, 597, anche per le altre citazioni nel testo).


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WP C.S.D.L.E. "Massimo D Antona" .IT - 51/2007


modelli negoziali80. D’altra parte, anche concetti come quelli di rapporto


di lavoro “generale” e “speciale”, a prima vista meno complessi, sono in


realtà fortemente discussi, perché, anche in conseguenza della


moltiplicazione delle tipologie dei rapporti di lavoro avvenute negli ultimi


anni, non vi è accordo su quale sia il contratto fondamentale che ha


caratteri di “generalità” e quali sono gli elementi che, di volta in volta,


connotano la “specialità”81. Proprio l’indeterminatezza delle categorie


concettuali che sono alla base del dibattito rende incerti gli esiti


interpretativi e consentirebbe di sollevare obiezioni e contestazioni a


molte delle teorie descritte, in considerazione non solo dei diversi punti di


vista (il che é un fatto normale) ma delle differenti nozioni di base


utilizzate - connotate da un elevato grado di incertezza - e che


costituiscono il punto di partenza delle singole riflessioni.


A me sembra, peraltro, che il dibattito, di grande interesse dal


punto di vista teorico, abbia nel diritto del lavoro scarse ricadute pratiche.


E questo per caratteristiche che sono proprie della materia.


Non va dimenticato che nel diritto civile i criteri di identificazione del


tipo o del sottotipo (che, come si è visto, hanno profondamente


influenzato anche i lavoristi) sono essenziali per specificare quale sia la


disciplina applicabile ai nuovi modelli contrattuali che le parti private sono


abilitate a creare in base all’art. 1322 del codice civile. Infatti, risolto il


problema della meritevolezza degli interessi tutelati dal nuovo contratto –


che ne determina l’ammissibilità nell’ordinamento giuridico - si tratta di


determinare le regole che ne governano il contenuto. In assenza di


disposizioni di legge espresse, il problema deve essere risolto


individuando le caratteristiche del nuovo “tipo” delineato dalle parti, la


disciplina da essi concretamente specificata e quella ulteriore desumibile


dai modelli negoziali già esistenti, sia per colmare le lacune della


normativa voluta dai contraenti, sia per determinare un quadro di


riferimento entro cui ricondurre il contratto82. In questo contesto, le


teorie sul tipo o sul sottotipo svolgono una funzione essenziale perché


consentono: a) di comprendere il carattere di novità e di somiglianza del


nuovo modello contrattuale rispetto a quelli già esistenti; b) di


specificare, in base a tali elementi, quali siano le discipline giuridiche


vigenti che possono trovare applicazione nel nuovo contratto, a fine di


risolvere i problemi di regolazione che di volta in volta si presentano.


Questa, ad esempio, è stata nel diritto civile la situazione tipica del


80 Il riferimento è a De Nova 1974, che ha completamente rinnovato il dibattito.


81 Su tali aspetti mi permetto di rinviare all’analisi di Speziale 1998, 307 ss.


82 Senza contare che, in alcuni casi, quando vi sono norme inderogabili in gioco, vi è anche


la necessità di considerare la compatibilità della disciplina voluta dalle parti con queste


disposizioni.


IL LAVORO SUBORDINATO TRA RAPPORTI SPECIALI, CONTRATTI “ATIPICI” E POSSIBILI RIFORME 23


WP C.S.D.L.E. "Massimo D Antona" .IT - 51/2007


franchising, del leasing o del factoring prima che intervenissero normative


specifiche di regolazione. E, non a caso, una delle finalità principali della


ricerca di nuovi criteri di identificazione del tipo contrattuale (il


riferimento è alla nota teoria di De Nova) è stato proprio quello di non


legarsi esclusivamente alla causa del contratto, ma di basarsi su una


pluralità di elementi. In questo modo l’assimilazione anche soltanto


parziale con un altro tipo consente di modulare le discipline applicabili,


utilizzando quelle proprie di diversi contratti che condividono soltanto


alcune caratteristiche fondamentali con quello di nuova creazione e senza


necessità, quindi, della loro accettazione “in blocco”.


Nel diritto del lavoro la situazione è completamente diversa.


L’esistenza di interessi collettivi o pubblici da perseguire e la necessità di


tutela del contraente debole hanno di fatto eliminato qualsiasi potere di


creazione di nuovi modelli contrattuali. Questa possibilità, pur se non


astrattamente esclusa – l’art. 1322, infatti, è certamente applicabile al


diritto del lavoro con il duplice limite della “meritevolezza” e della tutela


di diritti fondamentali di rango costituzionale e comunitario – è


concretamente inesistente. Infatti, la qualità degli interessi coinvolti nei


rapporti di lavoro è tale da indurre il legislatore – anche per finalità


diverse da quelle di protezione del lavoratore (si pensi solo alla


promozione dell’occupazione) – a regolare in modo assai preciso i nuovi


modelli contrattuali, non lasciando alcuno spazio all’autonomia privata o


garantendole ambiti del tutto marginali (e non è un caso che un’acuta


dottrina abbia parlato di “tipo imposto” e di modelli di disciplina “per


definizione necessari”)83. Inoltre, salvo alcune ipotesi, è lo stesso


legislatore che non solo regola espressamente un certo rapporto di lavoro


subordinato, ma detta anche disposizioni che sono in grado di creare un


raccordo con altre fattispecie e con le discipline giuridiche per esse


previste. In questo ambito la discussione teorica in precedenza descritta


(“tipo”, “sottotipo”, “generale”, “speciale”) non ha grande rilievo pratico e


tutto si riduce a mere esigenze classificatorie, prive di profili applicativi


concreti. Molto più interessante è invece verificare quali sono queste


tecniche normative di raccordo tra fattispecie diverse e, inoltre, come


risolvere il problema nei casi in cui queste disposizioni di collegamento


non sussistono.


In relazione al primo aspetto, nel codice civile e nelle leggi speciali


vi sono disposizioni differenti. In alcuni casi la legge, in relazione a


determinati modelli contrattuali, individua due fonti di regolamentazione:


a) le norme dettate per quel particolare contratto; b) quelle di un altro


83 V. D’Antona citato nelle precedenti note da 53 a 59. In tal senso anche Ghera 2006b,


146 (con ulteriori riferimenti bibliografici).


24 VALERIO SPEZIALE


WP C.S.D.L.E. "Massimo D Antona" .IT - 51/2007


modello contrattuale – in genere coincidente con le disposizioni proprie


del lavoro subordinato a tempo indeterminato - che diventa la normativa


residuale applicabile nei limiti in cui non sia stata derogata da quella


speciale. E’ questo il caso, ad esempio, della somministrazione a tempo


indeterminato, nel quale “i rapporti tra somministratore e prestatori di


lavoro sono soggetti alla disciplina generale dei rapporti di lavoro di cui al


codice civile e alle leggi speciali” (art. 22, comma 1, d.lgs. 276/2003), a


parte, ovviamente, le regole proprie del nuovo contratto contenute negli


artt. 20 e ss. del d.lgs. 276/2003. Lo stesso può dirsi per il lavoro


pubblico, nel quale “i rapporti di lavoro dei dipendenti delle


amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I,


titolo II, libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro


subordinato dell impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel


presente decreto" (art. 2, comma 2, del T. U. 165/2001).


In questi, come in altri casi84, vi è una combinazione tra disciplina


specifica e quella più generale a cui si fa riferimento, che opera nella


misura in cui non vi sia una norma derogatoria e senza che vi sia alcuna


necessità di sottoporre la normativa di riferimento alla valutazione della


sua “compatibilità” con le caratteristiche del nuovo contratto. Qui, infatti,


la legge opera un rinvio “generale ed incondizionato” ad un’altra disciplina


che, purché ne sussistano i presupposti, deve essere applicata nella sua


interezza. Ovviamente, in alcune situazioni, sarà sempre necessario un


certo adattamento della normativa di rinvio ai caratteri del nuovo


rapporto. Ad esempio, nel caso di licenziamento ingiustificato di un


lavoratore con contratto di somministrazione a tempo indeterminato, la


reintegrazione prevista dall’art. 18 dello statuto dei lavoratori (se


applicabile in relazione al numero dei dipendenti) si tradurrà nella


ricostituzione del rapporto con l’agenzia e nella riammissione nello stato


di “disponibilità” (con diritto del lavoratore alla relativa indennità), senza


che sia concepibile una riadibizione al lavoro effettivo, a cui il lavoratore


84 Si veda, ad esempio, l’art. 3, comma 5, della l. 863/1984, secondo il quale ”ai contratti di


formazione lavoro si applicano le disposizioni legislative che disciplinano i rapporti di lavoro


subordinato in quanto non siano derogate dal presente decreto"; gli articoli 2129 e 2240 del


codice civile; l articolo 21 della legge 339/1958 sul lavoro domestico, in base al quale "per


tutto quanto non espressamente previsto dalla presente legge restano in vigore le


disposizioni riguardanti rispettivamente i rapporti di impiego e di lavoro domestico";


l articolo 22 del d.lgs. 29 giugno 1996 n. 367 per le fondazioni di diritto privato che operano


nel settore musicale, il quale stabilisce che "i rapporti di lavoro dei dipendenti delle


fondazioni sono disciplinati dalle disposizioni del codice civile e dalle leggi sui rapporti di


lavoro subordinato nell impresa e sono costituiti e regolati contrattualmente". Forse non


tutte queste disposizioni sono tuttora vigenti, perché alcune potrebbero essere state


abrogate tacitamente da successive normative. Esse sono state indicate semplicemente


come esempio di una specifica tecnica legislativa di coordinamento.


IL LAVORO SUBORDINATO TRA RAPPORTI SPECIALI, CONTRATTI “ATIPICI” E POSSIBILI RIFORME 25


WP C.S.D.L.E. "Massimo D Antona" .IT - 51/2007


non è tenuto se non nei periodi di concreta assegnazione presso un


utilizzatore85. Nell’ambito del potere disciplinare, che rimane nella


titolarità dell’agenzia, le sanzioni potranno essere comminate per


comportamenti che violino le direttive di un soggetto diverso dal datore di


lavoro (l’impresa utilizzatrice), in conseguenza del fatto che, per tutta la


durata della somministrazione, “i lavoratori svolgono la propria attività


nell’interesse nonché sotto la direzione ed il controllo dell’utilizzatore”86.


L’adattamento, peraltro, riguarda la concreta applicazione dell’istituto,


mentre l’interprete non è autorizzato a verificare, in astratto, se vi sia o


meno compatibilità tra l’istituto pensato per il lavoro subordinato in


generale e le caratteristiche del diverso rapporto di lavoro a cui deve


essere esteso. Solo la materiale impossibilità di applicazione dell’istituto,


che ha caratteristiche inconciliabili con quelle proprie del nuovo contratto,


costituirà un limite effettivo all’estensione della disciplina87.


In altre ipotesi, invece, oltre alle regole specifiche di quel rapporto,


il rinvio alla disciplina generale avviene nei limiti della sua “compatibilità”


in sé e per sé considerata88, o in considerazione della compatibilità


rispetto alla “specialità del rapporto” (artt. 2128, 2134 e 2239 cod. civ.),


od alla sua “particolare natura” (art. 43, comma 2, del d.lgs. 276/2003


per il lavoro ripartito). Infine vi può anche essere la contemporanea


utilizzazione di tecniche diverse89.


In queste situazioni l’applicazione della disciplina di riferimento non


è automatica come nel primo caso. Essa, infatti, richiede una duplice


85 Il lavoratore assunto da un’agenzia per il lavoro a tempo indeterminato, a cui si applica la


disciplina dei licenziamenti ordinaria (salvo la deroga prevista dal comma 4 dell’art. 22 del


d.lgs 276/2003), non ha necessariamente diritto ad essere assegnato ad una missione, che


è scelta che spetta al somministrante. Per cui la ricostituzione del rapporto comporterà la


riattivazione del vincolo contrattuale ed il ritorno allo stato di “disponibilità”, in attesa di


essere inviato ad un nuovo incarico.


86 Art. 20, comma 2, d.lgs. 276/2003.


87 E’ questo il caso, ad esempio della cassa integrazione guadagni che non può essere


applicata nella somministrazione a t. indeterminato per i lavoratori che si trovino “in


disponibilità”. La cig, infatti, richiede prestazioni lavorative sospese o ad orario ridotto e,


quindi, presuppone lo svolgimento di lavoro effettivo e non la situazione di “attesa di


assegnazione” (art. 22, comma 3, d.lgs. 276/2003). Senza contare che la cassa


integrazione ordinaria è esclusa per le imprese del settore terziario (tra le quali sono


ricomprese le agenzie di somministrazione ai sensi dell’art. 25, comma 1, del d.lgs.


276/2003).


88 Art. 22, comma 2, per la somministrazione a termine o l’art. 58, comma 1, per il


contratto di inserimento nel d.lgs. 276/2003.


89 Nella somministrazione a termine, ad esempio, oltre al rinvio alle disposizioni del d.lgs.


368/2001”per quanto compatibile”, si prevede anche l’esclusione “delle disposizioni di cui


all’articolo 5, commi 3 e 4” (sempre del decreto legislativo sul contratto a tempo


determinato) e con l’introduzione di una ulteriore disciplina derogatoria per quanto riguarda


la proroga del contratto.


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valutazione: a) in primo luogo bisogna verificare se le peculiarità del


modello contrattuale derogatorio siano tali da consentire che le norme


generali siano utilizzabili, perché queste ultime potrebbero essere così


dissonanti dalle caratteristiche del diverso rapporto di lavoro da rilevarsi


del tutto “incompatibili”; b) successivamente, risolto in senso positivo il


primo problema, bisogna controllare se la disposizione del modello


contrattuale di riferimento possa essere utilizzata senza variazioni, o se


invece richieda un adattamento alle caratteristiche particolari del rapporto


di lavoro che deve essere regolato. Il giudizio di “compatibilità” deve


essere fatto con riferimento alle caratteristiche di ciascun istituto che


dovrebbe essere utilizzato ed a quelle del nuovo contratto, per


controllare, caso per caso, la possibile applicazione e l’eventuale


necessità dell’adattamento. In relazione al lavoro a domicilio, dove l’art.


2128 c.c. rinvia alle disposizioni del lavoro subordinato “in quanto


compatibili”, la giurisprudenza ha affermato che il giudizio


sull’applicazione di queste norme “non può essere risolto alla stregua di


categorie generali o di tecniche definitorie, bensì in base ad un esame


analitico e ad una verifica di compatibilità condotta in relazione alla


specifica disciplina dei singoli istituti ed alle peculiarità della situazione


concreta”90. In base a tali principi, è stata confermata ai lavoratori a


domicilio l’applicazione dell’indennità di mobilità ai sensi della legge


223/1991, o si è sostenuto che la normativa sul licenziamento è


estensibile anche a questo tipo di lavoro decentrato nel caso in cui, per


accordo delle parti o per le concrete modalità di svolgimento delle


attività, il rapporto abbia ad oggetto una qualificata e ragionevole


continuità di prestazioni lavorative91. Si tratta di situazioni in cui si è


operato un vero e proprio “adattamento normativo” delle regole della


subordinazione al lavoro a domicilio effettuato in base al filtro della


“compatibilità”. La giurisprudenza descritta mi sembra fornisca un criterio


valido applicabile in tutti i casi in cui la legge richiede l’applicazione di


determinate norme “in quanto compatibili”.


La questione deve essere risolta anche per quelle fattispecie che non


prevedono norme di coordinamento con la disciplina della subordinazione


in generale. Era questa la situazione del lavoro temporaneo (oggi


abrogato), ma anche del part time, del lavoro intermittente o di quello


90 Cass. Sez. Un. 12 marzo 2001, n. 106, FI, 2001, I, 1524 ss., qui, in particolare, 1529.


91 Si rinvia a Cass. Sez. Un. n. 106/2001, 1529, citata nella nota precedente; Cass. 22


gennaio 1987, n. 615, RGL, 1987, II, 64; Cass. 17 marzo 1981, n. 1570, GC, 1981, I, 1276.


In dottrina le opinioni sul punto sono contrastanti, anche se molte interpretazioni giungono


alle stesse conclusioni della giurisprudenza (si rinvia, per un’analisi delle diverse posizioni, a


Chieco 1996, 420 ss.).


IL LAVORO SUBORDINATO TRA RAPPORTI SPECIALI, CONTRATTI “ATIPICI” E POSSIBILI RIFORME 27


WP C.S.D.L.E. "Massimo D Antona" .IT - 51/2007


sportivo. In questo caso, infatti, non vi sono disposizioni come quelle


sopra descritte.


Va detto, peraltro, che in alcune ipotesi esistono altre norme che


consentono di giungere a conclusioni simili a quelle analizzate. Vi sono, in


primo luogo, disposizioni, quali quelle in tema di parità di trattamento o


di principio di non discriminazione, che lasciano chiaramente intendere


come un altro rapporto di lavoro costituisca il punto di riferimento per


l’applicazione di discipline residuali in relazione ad istituti non


direttamente regolati dalla normativa specifica. Si pensi, per il contratto a


termine, all’art. 6 del d.lgs. 368/2001, con il suo riferimento ai “lavoratori


con contratto a tempo indeterminato comparabili”. Oppure all’art. 4 del


d.lgs. 61/2000 che, nel part time, prevede che il dipendente “non deve


ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo


pieno comparabile” o, ancora, all’art. 38 del d.lgs. 276/2003, secondo il


quale “il lavoratore intermittente non deve ricevere, per i periodi lavorati,


un trattamento economico e normativo complessivamente meno


favorevole rispetto al lavoratore di pari livello, a parità di mansioni


svolte”. Queste disposizioni fanno chiaramente capire come il contratto a


tempo indeterminato o a tempo pieno siano i modelli a cui riferirsi per la


disciplina del rapporto per le parti non direttamente regolate. Esse,


inoltre, stabiliscono anche quali sono i criteri di adattamento delle


discipline di riferimento, specificando che queste ultime devono essere


applicate “in proporzione al periodo lavorativo prestato sempre che non


sia obiettivamente incompatibile con la natura del contratto a termine”


(art. 6 d.lgs. 368/2001), o regolando in modo espresso in che misura


debbano essere utilizzate le normative proprie del tempo pieno92.


In questo caso, dunque, il carattere sussidiario di altre discipline è


indirettamente confermato da queste norme. Queste conclusioni trovano


una conferma in una serie di disposizioni che prevedono, a titolo


sanzionatorio, la trasformazione del rapporto in un contratto di lavoro


subordinato a tempo pieno ed indeterminato93 o in un contratto a tempo


parziale o a termine (art. 69, comma 2, d.lgs. 276/2003). Infatti, la


conversione del rapporto illegittimamente stipulato in un altro contratto,


dimostra che quest’ultimo è stato assunto come modello “generale” e che


il rapporto specificamente regolato è considerato come una “deroga” al


92 Si rinvia sempre all’art. 4, comma 2, del d.lgs. 61/2000 per il part time ed all’art. 38,


comma 2, del d.lgs. 276/2003 per il lavoro intermittente.


93 Si vedano l’art. 27, comma 1, del d.lgs. 276/1003 per la somministrazione; l’art. 29,


comma 3 bis, del d.lgs. 276/2003 per l appalto; l’art. 30, comma 4 bis, del d.lgs. 276/2003


per il distacco; l’art. 69, comma 1, del d.lgs. 276/3003 per il lavoro a progetto; l’art. 5 del


d.lgs. 368/2001 per il contratto a termine; l’art. 3, comma 9, della l n. 863/1984 per il


contratto di formazione e lavoro.


28 VALERIO SPEZIALE


WP C.S.D.L.E. "Massimo D Antona" .IT - 51/2007


primo, che opera solo quando sussistono particolari condizioni, la cui


mancanza determina il “ritorno” al contratto “principale” assunto come


parametro di riferimento. A differenza delle norme prima descritte,


peraltro, le disposizioni di carattere sanzionatorio non risolvono la


questione del coordinamento tra le disciplina del contratto "particolare" e


quelle del rapporto assunto come modello.


Prima di analizzare questo aspetto del problema, va detto che


l esame delle varie norme prima descritte consente di svolgere alcune


riflessioni di carattere generale, senza peraltro avere la pretesa di fornire


una soluzione alle questioni teoriche connesse al dibattito sulle tipologie


contrattuali o sulla specialità o meno dei rapporti di lavoro94.


La legge assume un modello contrattuale di riferimento come


prototipo sul quale conformare la disciplina di altri contratti95. Il rapporto


"universale" é quello subordinato a tempo indeterminato, con un rinvio


non solo alla disciplina del codice civile ma a tutta la normativa prevista


dalle leggi speciali. Questa tendenza, già presente nel codice, si è poi


ulteriormente sviluppata nella legislazione degli anni ’50 e ’60 in poi fino


all’ultimo decennio del secolo scorso ed anche in tempi a noi assai più


vicini. Le recenti riforme del part-time, del contratto a termine e del


lavoro a progetto, rispetto alle quali il lavoro subordinato a tempo


indeterminato continua ad essere la “stella polare”, confermano questa


tendenza. L evoluzione ultima sembra essere quella secondo la quale,


accanto al modello generale della subordinazione a tempo indeterminato,


si affiancano “sub prototipi” che, pur avendo come parametro di


riferimento il rapporto standard, a loro volta si pongono come “modelli”


per altre figure contrattuali. E’ questo il caso, ad esempio, del contratto a


termine rispetto alla somministrazione a tempo determinato, al contratto


di inserimento od a quello di formazione e lavoro, che sono forme


peculiari di rapporti a tempo determinato. E le stesse caratteristiche


sembrano delinearsi per il part time nei confronti del lavoro intermittente


e, in qualche misura, del lavoro ripartito. Si può dire in sostanza che, dal


punto di vista strettamente normativo e senza alcun riferimento al


dibattito politico - sociologico sulla “centralità” o meno del prototipo, vi é


un sistema che vede al centro la subordinazione a tempo indeterminato e


94 Chi scrive ha già cercato di fornire un modesto contributo al problema: v. Speziale 1998,


p. 308 ss. in relazione al lavoro temporaneo.


95 Utilizzo in questo caso la nozione di “prototipo” espressa da Ghezzi, Romagnoli 1987, 38


ss., che mi sembra la più adeguata a cogliere l’essenza del fenomeno che si sta analizzando.


Il termine è fortemente criticato da Pedrazzoli 1998a, 446, nota 86. A me sembra peraltro


che esso rispecchi una realtà difficilmente contestabile alla luce dei dati normativi, anche più


recenti e questo, peraltro, a prescindere dalla fondatezza o meno della interpretazione del


fenomeno lavoro sottesa alla tesi del “prototipo”, rispetto alla quale Pedrazzoli esprime le


sue critiche.


IL LAVORO SUBORDINATO TRA RAPPORTI SPECIALI, CONTRATTI “ATIPICI” E POSSIBILI RIFORME 29


WP C.S.D.L.E. "Massimo D Antona" .IT - 51/2007


nel quale vi sono “sub sistemi” minori caratterizzati da altri contratti che


sono parametro di riferimento per le discipline giuridiche di altri rapporti


di lavoro.


Nei rapporti tra il prototipo, i sub prototipi e gli altri contratti, il


legislatore, di volta in volta, detta regole specifiche di coordinamento. In


alcuni casi il risultato viene raggiunto con norme direttamente finalizzate


a tale scopo e già analizzate. In altri, lo scopo è perseguito


indirettamente, con le disposizioni sulla parità di trattamento o sul


principio di non discriminazione, anche queste prima descritte. Solo in


ipotesi particolari la legge non utilizza queste tecniche normative e non


individua una disposizione che consenta la soluzione del problema.


Questa era la situazione nel caso del lavoro temporaneo. Ma un altro


esempio è costituito dal lavoro sportivo, dove, dopo aver qualificato come


subordinati i rapporti con certe caratteristiche, si specifica soltanto che


una serie di norme che regolano il prototipo sono espressamente escluse,


ma nulla si dice sulla possibile integrazione/esclusione della disciplina


specifica con quella di carattere più generale.


In questi casi la questione può essere risolta senza necessità di


avventurarsi nella difficile discussione relativa alla tipologia dei contratti o


alla specialità del rapporto. Infatti il contratto introdotto da una specifica


legge sarà in primo luogo regolato dalle disposizioni particolari in essa


dettate, che costituiranno una deroga alle norme generali. Per la parte


non derogata si applicheranno tutte le normative legali che regolano il


contratto di lavoro, salvo possibili eccezioni espressamente introdotte


dalle legislatore96.


Questa conclusione trova fondamento nel fatto che le normative


riferite al prototipo o ai sub prototipi si pongono come discipline che si


riferiscono a tutti i rapporti di lavoro subordinato. Vi sono,


evidentemente, presupposti particolari di applicabilità, a volte connessi


alle dimensioni dell impresa (per i licenziamenti individuali e collettivi),


alle caratteristiche del datore di lavoro (ad es. le norme relative alle


pubbliche amministrazioni) o del lavoratore (si pensi agli invalidi) o al


fatto che si tratti di un imprenditore (art. 2094 ss. cod. civ.). Tuttavia, a


parte queste condizioni di operatività, nei modelli più o meno "universali"


adottati dal legislatore operano regole che presuppongono soltanto


l esistenza di un contratto di lavoro subordinato e che, per tale ragione,


debbono necessariamente essere applicate a tutti i rapporti che


direttamente o indirettamente sono qualificabili nell’ambito della


96 Nel lavoro sportivo, ad esempio, l’art. 4, comma 8, della l. n. 91/1981 espressamente


prevede che, nel rapporto di lavoro subordinato professionistico “non si applicano le norme


contenute negli articoli 4, 5, 13, 18, 33, 34 della legge 20 maggio 1970, n. 300 e negli


articoli 1, 2, 3, 5, 6, 7, 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604…..”.


30 VALERIO SPEZIALE


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subordinazione e che rispecchiano i presupposti applicativi prima descritti


(dimensionali, connessi alla natura del datore di lavoro o del lavoratore


ecc.)97. Senza dimenticare, tra l’altro, che vi sono norme che


presuppongono soltanto l’esistenza di un “datore di lavoro” senza ulteriori


specificazioni – in relazione, ad esempio, alla natura imprenditoriale o


meno – con una valenza applicativa ancora più generale. E’ questo ad


esempio il caso della disciplina dell orario di lavoro (che regola tutti "i


settori pubblici o privati" salvo eccezioni)98 o dell art. 18 dello statuto dei


lavoratori (relativo ai datori di lavoro imprenditori o non imprenditori) o


all articolo 7 della legge 300/1970.


Qualche esempio può aiutare a comprendere meglio quanto si sta


affermando. Il contratto di lavoro con uno sportivo professionista potrà


essere stipulato sia termine che a tempo indeterminato. Nel caso di


stipula di un contratto a termine, le regole proprie del professionismo


sportivo prevedono la non applicazione della l. 230/1962 (art. 4, comma


8, l. 91/1981) ed altre disposizioni particolari, relative alla "acausalità”


del contratto (che non richiede alcuna giustificazione oggettiva), alla


durata massima del rapporto ed alla possibilità di successione con più


contratti (art. 5 della l. 91/1981). Nulla viene detto per quanto riguarda il


recesso anticipato, perché il legislatore ha espressamente escluso solo le


norme sui licenziamenti previste per il contratto di lavoro a tempo


indeterminato (art. 4, comma 8, l. 91/1981) e non certo quelle connesse


al rapporto con un termine finale. In questo caso, dunque, il recesso delle


parti verrà ad essere regolato dall art. 2119 del codice civile, che é


disposizione che riguarda tutti i contratti a tempo determinato, a meno


che non vi sia una deroga espressa che nel nostro caso è inesistente99, ed


in considerazione del fatto che le società sportive hanno sicuramente


natura imprenditoriale (artt. 10 e ss. l. 91/1981). D altra parte, qualora si


voglia applicare una sanzione disciplinare al professionista, senza dubbio


dovrà seguirsi la procedura di cui all articolo 7 della l. 300/1970. Questa


97 Infatti, a parte l art. 2094 del codice civile, la natura subordinata di un contratto di lavoro


è individuata dal legislatore con tecniche diverse, che vanno dalla utilizzazione di definizioni


di carattere generale (ad esempio, quelle relative all apprendistato o al lavoro a domicilio),


all uso di locuzioni non equivoche (come la parola "assume") accompagnate dalla previsione


in via sussidiaria dell estensione della disciplina generale del rapporto di lavoro subordinato


(è il caso del contratto di formazione lavoro), sino all utilizzazione di altre formulazioni che,


pur in assenza di un espressa definizione, non lasciano dubbi sulla natura subordinata del


rapporto (su tali aspetti mi permetto di rinviare, ancora una volta, a Speziale 1998, 305


ss.).


98 Si veda l’art. 2 del d.lgs. 66/2003.


99 E non è un caso che, in relazione allo sportivo professionista ed alla disciplina del


licenziamento, si sia affermato “il rinvio alle norme di diritto comune” (D’Harmant Francois


1998, 3).


IL LAVORO SUBORDINATO TRA RAPPORTI SPECIALI, CONTRATTI “ATIPICI” E POSSIBILI RIFORME 31


WP C.S.D.L.E. "Massimo D Antona" .IT - 51/2007


disposizione, che non è tra quelle dello statuto dei lavoratori


espressamente escluse dall articolo 4, comma 8, della legge 91/1981, si


applica a tutti i datori di lavoro ed è quindi automaticamente estensibile a


tutte le forme di subordinazione (salvo eccezioni espresse)100.


Nel rapporto di lavoro domestico inferiore alle 4 ore giornaliere (che


è regolato dalla legge 339/1958), l art. 2240 del codice civile prevede che


il contratto "é regolato dalle disposizioni di questo capo e, in quanto più


favorevoli al prestatore di lavoro, dalle convenzioni e dagli usi"101. Anche


in queste ipotesi, a parte le norme derogatorie, sono vigenti tutte le


disposizioni generali del lavoro subordinato che non presuppongono che il


datore di lavoro sia un imprenditore in relazione, ad esempio, al potere


disciplinare, alle regole in materia di retribuzione non espressamente


disciplinate in modo diverso dall art. 2242 c.c. è così via (e sempre che


ovviamente sussistano i presupposti applicativi previsti per ogni singola


normativa). Ancora una volta, infatti, si è in presenza di discipline


universali che presuppongono soltanto l’esistenza di un rapporto di lavoro


subordinato che, salvo deroghe, esclusioni od i limiti sopra descritti, ne


impone l’applicazione generalizzata102.


Nel caso di soci lavoratori delle cooperative, gli articoli 2, 3 e 5 del


d.lgs. 142/2001 dettano una disciplina specifica. Vi è l’integrale rinvio alle


disposizioni dello statuto dei lavoratori, con esclusione dell art. 18 nel


caso di recesso dal rapporto associativo e da quello di lavoro (art. 2,


100 Cfr. D’Harmant Francois 1998, 3, secondo il quale agli sportivi professionisti si applica lo


statuto dei lavoratori, tranne le norme espressamente escluse o le discipline in altro modo


regolate. Tra l’altro una conferma indiretta dell’applicazione dell’art. 7 la si trova nel comma


9 dell’art. 4 della l. 91/81, dove si afferma che la disposizione dello statuto non si applica


alle sanzioni irrogate dalle federazioni e, quindi, che essa è pienamente operativa per le


sanzioni comminate dal datore di lavoro.


101 L art. 21 della legge 339 del 1958 contiene una norma di coordinamento già descritta (v.


nota 84). Dopo alcune incertezze interpretative, è ormai pacificamente acquisito (anche a


seguito dell’intervento della Corte Costituzionale) che la legge 339/1958 opera solo per i


rapporti con almeno 4 ore di prestazione giornaliera, mentre la disciplina del codice civile


(artt. 2240 ss.) si applica ai contratti con prestazioni di durata inferiore al limite orario


previsto dalla legge speciale. Si rinvia, per l’analisi dei diversi orientamenti dottrinari e


giurisprudenziali, a Basenghi 2000, 7 ss.


102 Va detto, peraltro, che in questo caso il problema potrebbe essere risolto tramite


l’applicazione dell’art. 2239 cod. civ. Mi sembra indubbio, infatti, che il lavoro domestico sia


un contratto “non inerente all’esercizio dell’impresa” a cui si applicheranno gli artt. 2094 ss.


del codice civile, in coerenza con l’opinione prevalente in dottrina e giurisprudenza (v.


Basenghi 2000, 24 ss. a cui si rinvia per l’indicazione delle opinioni adesive o contrarie


all’applicazione dell’art. 2239 al lavoro domestico). Rimane il problema, non risolto dalla


norma analizzata, del rinvio non solo alle norme del codice civile, ma anche alle leggi


speciali sul lavoro subordinato (ad es. lo statuto dei lavoratori). Il problema, peraltro,


potrebbe essere risolto mediante l’applicazione dell’interpretazione analogica, secondo i


criteri indicati infra nel testo. In sostanza, con l’analogia, il rinvio contenuto nell’art. 2239


potrebbe essere esteso anche alle fonti diverse dal codice civile.


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comma 1) e l estinzione del vincolo di subordinazione nel caso di recesso


od esclusione quale socio (art. 5, comma 2). A parte queste peculiarità,


che hanno dato vita a controverse interpretazioni103 e le deroghe ulteriori


(ad esempio in materia previdenziale) vi sarà l applicazione delle altre


discipline del lavoro subordinato, purché ne sussistano le condizioni di


operatività.


Altri esempi potrebbero essere fatti104. In sostanza, per tutte le


ipotesi descritte ed in generale in tutti i casi di assenza di disposizioni di


coordinamento dirette o indirette quali quelle in precedenza analizzate, il


criterio per determinare le normative applicabili al contratto di riferimento


è il seguente: a) le disposizioni di legge sul lavoro subordinato non


espressamente escluse o derogate da regole specifiche devono essere


applicate; b) ovviamente, se le varie norme indicate nella precedente


lettera a) richiedano determinate condizioni di operatività (natura


imprenditoriale del datore di lavoro, sue caratteristiche particolari o


requisiti specifici del lavoratore, limiti dimensionali ecc.), esse potranno


trovare applicazione soltanto quando il contratto "particolare" possiede le


caratteristiche soggettive ed oggettive richieste; c) quest ultimo limite


non sussiste per le discipline legislative che implicano soltanto la


presenza della subordinazione e del datore di lavoro, senza ulteriori


presupposti operativi.


In molti casi l applicazione della disciplina generale dovrà essere


adattata alle caratteristiche del rapporto specifico da regolare. Da un lato,


non vi sono disposizioni espresse che prevedano un rinvio


"incondizionato" ad altre normative quali quelle già descritte. D altra


parte, le norme del codice o di leggi speciali riferite a tutti i rapporti di


lavoro subordinati sono sempre state elaborate con riferimento ad un


certo modello economico ed organizzativo (la c.d. tipicità sociale), come


nel caso del lavoro nell’impresa o nei confronti di un datore di lavoro non


imprenditore. Queste disposizioni, se applicate meccanicamente a


contratti che hanno caratteri assai diversi sia dal punto di vista del


sostrato economico e sociale da cui traggono origine, sia in relazione alla


disciplina esistente ed agli scopi perseguiti, potrebbero essere


inutilizzabili o determinare gravi distorsioni rispetto alla loro finalità


originaria. Anche qui, in sostanza, si impone un’opera di adattamento


normativo e bisognerà procedere "ad un esame analitico e ad una verifica


103 Si rinvia, per tutti a Barbieri M. 2006, 523 ss.


104 Ad esempio, questa era la situazione per il lavoro temporaneo, regolato dagli att. 1 – 11


della l. 196/1997 ed oggi abrogato. Ed una ipotesi analoga è quella del lavoro penitenziario,


disciplinato in particolare dall’art. 20 della l. 354/1975 (e successive modifiche).


IL LAVORO SUBORDINATO TRA RAPPORTI SPECIALI, CONTRATTI “ATIPICI” E POSSIBILI RIFORME 33


WP C.S.D.L.E. "Massimo D Antona" .IT - 51/2007


di compatibilità in relazione alla specifica disciplina dei singoli istituti e


alle peculiarità della situazione concreta"105.


Tutte le tecniche normative in precedenza analizzate, in realtà,


possono richiedere che le norme generali che devono essere applicate al


rapporto di lavoro "particolare" siano adattate. A prescindere dalle opzioni


previste dalla legge (rinvio "incondizionato", giudizio di "compatibilità",


assenza di regole espresse in materia), l adattamento può avvenire con


diverse graduazioni di intensità sia in rapporto alla discrezionalità lasciata


all interprete (che, per esempio, è superiore nel caso di applicazione delle


disposizioni "in quanto compatibili"), sia in base alle caratteristiche


specifiche del caso concreto che deve essere regolato. E, a volte, proprio


quest ultimo aspetto é l elemento che assume maggiore importanza per


determinare se ed in che misura la disciplina di carattere generale possa


effettivamente trovare applicazione e può comportare la parificazione, sul


piano pratico, delle diverse tecniche. Va detto peraltro che, in molti altri


casi, questa operazione di adattamento può non essere necessaria perché


l istituto preso in considerazione può essere applicato senza particolari


problemi.


Una soluzione alternativa del problema potrebbe essere costituita


dall applicazione analogica delle disposizioni già analizzate che realizzano


forme di coordinamento tra discipline diverse. Il riferimento non è tanto


alle norme del codice civile (ad es. gli articoli 2128, 2134, 2239) quanto a


quelle contenute nella legislazione successiva, anche emanata in tempi


recenti, che, per la parte non espressamente regolata, rinviano "alla


disciplina generale dei rapporti di lavoro di cui al codice civile e alle leggi


speciali"106 od alla "normativa generale del lavoro subordinato in quanto


compatibile con la particolare natura del rapporto di lavoro..."107 od alle


"disposizioni legislative che disciplinano i rapporti di lavoro


subordinato"108.


L estensione in via interpretativa può essere effettuata in


considerazione dell’esistenza dei presupposti previsti dall articolo 12,


comma 2, delle disposizioni preliminari al codice civile in tema di


analogia. L assenza, in alcuni rapporti di lavoro, di una regola che


consenta di rinviare alle norme generali sulla subordinazione può essere


considerata una "lacuna" (e cioè la mancanza di un espressa previsione


normativa)109. Inoltre sussiste la stessa "somiglianza rilevante", che va


105 Cass. Sez. Un. n. 106/2001, 1529, citata nella nota 90.


106 Art. 22, comma 1, d.lgs. 276/2003 per la somministrazione a tempo indeterminato.


107 Art. 43, comma 2, d.lgs. 276/2003 sul lavoro ripartito.


108 Art. 3, comma 5, l. 863/1984 sul contratto di formazione e lavoro.


109 Bobbio 1968, 604, il quale conferma la possibilità di estensione analogica anche


nell’ambito delle leggi speciali (Id. 1938, 168). Sulla nozione di “lacuna” v. anche Guastini


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intesa come il fondamento razionale (la ratio legis) comune sia alla


disposizione espressa che alla norma che viene creata per disciplinare il


caso non regolato110. In queste ipotesi essa consiste nella finalità di


estendere ad un determinato contratto la disciplina emanata per regolare


tutti i rapporti di lavoro subordinato, realizzando una forma di


integrazione delle rispettive normative. L analogia, nella versione classica


descritta111, consente di giungere ai medesimi risultati interpretativi in


precedenza esaminati nelle ipotesi in cui la legge, per determinati modelli


contrattuali, non introduca un espressa disposizione di raccordo. Ed anche


in questo caso l adattamento normativo seguirà le regole già analizzate a


seconda che l interpretazione analogica implichi l utilizzazione di


disposizioni che richiedono o meno l accertamento della compatibilità tra


disciplina generale e le caratteristiche specifiche del contratto cui deve


essere applicata.


7. I contratti atipici come modelli negoziali flessibili


alternativi al rapporto di lavoro standard


Si è già detto che nel diritto del lavoro viene utilizzata una nozione


di contratto “atipico” che è molto diversa dal quella del diritto civile. In


quest’ultimo caso il riferimento è ai nuovi modelli contrattuali creati


dall’autonomia privata ai sensi dell’art. 1322 cod. civ. Come si è visto,


questa possibilità, nel diritto del lavoro, è solo teorica, perché l’assetto


degli interessi pubblici e privati tutelati è tale da imporre una normazione


dettagliata di tutte le fattispecie contrattuali e, pertanto, i nuovi contratti


introdotti dalla legge sono tutti “tipici”, perché corrispondono a nuovi “tipi


legali” espressamente regolati dalla legge112.


La nozione di contratto atipico è di contenuto “atecnico”113, anche se


ormai è diventato del tutto “familiare” nel diritto del lavoro114, e rinvia a


1998, 268; Id. 1993, 429; Giuliani 1999, 428 ss.; Cass. 6 luglio 2002, n. 9852; Cass. 29


aprile 1995, n. 4754.


110 Bobbio 1968, 608; Guastini 1998, 268 ss.; Id. 1993, 433; Giuliani 1999, 430; Cass. 23


novembre 1965 n. 2404.


111 Quella indicata nel testo è la teoria sull’analogia assolutamente prevalente in dottrina e


giurisprudenza. Non mancano, peraltro, concezioni diverse, per le quali si rinvia a


Gianformaggio 1987, 321 ss.; Romeo 1990, 12 ss.


112 Di “tipi legali” parla Gazzoni 1998, 763, mentre altri fanno riferimento ai “tipi contrattuali


previsti dal codice civile o da altre fonti normative” (Galgano 2004, 170) o si usano


alternativamente entrambe le formulazioni (Gabrielli 1999, 1). Tuttavia si tratta solo di


differenze terminologiche, perché la sostanza del fenomeno è la stessa (è “tipico” il


contratto regolato dall’ordinamento).


113 Carabelli 2004, secondo il quale si tratta di espressione “priva di fondamento scientifico,


ma che è entrata ormai nel linguaggio comune” (74). In senso analogo Sciotti 2005, 287 –


288 (a cui si rinvia per ulteriori indicazioni bibliografiche sul punto).


114 Perulli 2006a, 731.


IL LAVORO SUBORDINATO TRA RAPPORTI SPECIALI, CONTRATTI “ATIPICI” E POSSIBILI RIFORME 35


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categorie proprie della sociologia e dell’economia. Il riferimento è a tutti


quei contratti di lavoro, anche autonomi e non solo subordinati, che si


distinguono dal modello di lavoro standard, costituito dal rapporto di


lavoro a tempo pieno e determinato “con coincidenza tra la figura


soggettiva del datore di lavoro e dell’utilizzatore della prestazione”115. La


definizione di “atipici” è particolarmente utilizzata dall’Istat nei suoi


rapporti periodici, ed è stata ulteriormente perfezionata in tempi recenti.


In essa, infatti, sono ricompresi i contratti “caratterizzati anche solo


parzialmente da elementi di atipicità. In particolare, l atipicità può essere


implicita nella tipologia del contratto ( atipico in senso stretto’), oppure


caratterizzare il rapporto di lavoro a motivo della modalità o del luogo di


erogazione, o del carattere relativamente inusuale nel quadro del mercato


del lavoro italiano ( parzialmente atipico )"116.


La crescita dei contratti diversi da quello standard (incluso quello dei


lavoratori autonomi) è stata particolarmente forte, tanto da arrivare “a


circa il 40% della forza lavoro UE-25 nel 2005”117 o, secondo ad altre


rilevazioni al 48,5%118. In Italia, prima del d.lgs. 276/2003, si affermava


che le tipologie erano “38”119, ed oggi si parla di “quaranta schemi


negoziali”120, anche se la numerazione è spesso condizionata dai diversi


criteri con cui si procede alla classificazione dei vari modelli contrattuali.


L’Istat, immediatamente dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo


276, ha affermato che “il mercato del lavoro italiano risulta caratterizzato


da ben 21 differenti rapporti di lavoro diversi dall impiego standard i


quali, a seconda della stabilità del contratto o della durata del regime


orario, possono essere applicati secondo 48 modalità diverse. Di queste,


34 possono essere valutate come pienamente atipiche, mentre le altre 14


possono essere considerate solo parzialmente tipiche"121.


Si è già visto che nel diritto civile le parti, in conseguenza di


mutamenti intervenuti nelle prassi del diritto degli affari e del commercio,


danno vita a nuovi modelli contrattuali che vengono poi recepiti dal


legislatore122, anche se a volte vi sono interventi normativi, di fronte


115 Perulli 2006a, 731. Si veda , per la definizione del lavoratore standard, anche De Luca


Tamajo 1997, 43.


116 Istat 2003, 238.


117 Commissione Europea 2006, 8.


118 Perulli 2006a, 732 che cita dati ricavati dall’Employment in Europe, 2006, Statistical


Annex.


119 Garibaldi 2002, 1.


120 Perulli 2006b, 192.


121 Istat 2003, 238 – 239.


122 Si rinvia a Gabrielli 1999, 1 ed a Galgano 2004, 170, secondo il quale “molti degli odierni


contratti tipici sono nati e si sono diffusi nella pratica degli affari prima che la legge li


prevedesse e li regolasse”.


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WP C.S.D.L.E. "Massimo D Antona" .IT - 51/2007


nazionale e/o comunitaria, finalizzati a regolare nuovi fenomeni sociali


(come nel caso, tra gli altri, della privacy, della tutela del consumatore


ecc.). Nel diritto del lavoro, sono soprattutto le innovazioni economiche


ed organizzative che impongono la nascita di “nuovi modi di lavorare” e


quindi di forme contrattuali che gli diano sostanza giuridica. A volte,


inoltre, i mutamenti sono sollecitati da cambiamenti negli stili di vita della


popolazione. Si pensi all’incremento nella partecipazione delle donne al


lavoro tramite il part time, che consente coniugare esigenze di lavoro e


familiari. O alla diffusione di forme di lavoro temporaneo per i giovani,


finalizzate a rendere compatibili brevi esperienze lavorative di carattere


stagionale oppure a rendere possibili il coordinamento tra attività di


studio e lavoro.


Non vi è dubbio quindi che la diffusione di contratti atipici sia


connessa ad una pluralità di fattori, che rispecchiano esigenze reali di


natura economica e sociale. Tra questi “la letteratura sociologica ed


economica individua, oltre agli aspetti legati al regime di regolazione del


lavoro, al sistema di tassazione e a quello di welfare, anche fattori di


domanda di lavoro rappresentati dagli aspetti legati al ciclo economico,


alle tecnologie adottate, alle caratteristiche del sistema produttivo,


nonché fattori di offerta di lavoro come il livello d istruzione, la


composizione familiare, la struttura demografica delle diverse aree


territoriali. Ma è senz altro l impresa, per ragioni di ordine produttivo ed


organizzativo (personalizzazione, produzione on demand, riduzione al


minimo del tempo del tempo di risposta al mercato, ecc.), l attore


maggiormente interessato alla flessibilità del mercato del lavoro"123. I


mutamenti organizzativi e produttivi delle imprese hanno dunque svolto


(e svolgono) un ruolo fondamentale124.


Va ricordato, peraltro, che la crescita a dismisura dei contratti atipici


non può essere ricondotta soltanto al superamento del “fordismo” ed al


suo modello basato su produzione di massa ed economie di scala, che


presupponeva un rapporto di lavoro stabile ed a tempo indeterminato.


123 Perulli 2002, 362 - 363.


124 Di recente, si è ribadito che “la rapidità dei progressi tecnologici, l intensificazione della


concorrenza collegata alla globalizzazione, l evoluzione della domanda dei consumatori e la


crescita notevole del settore dei servizi..." sono fattori determinanti per la diffusione della


flessibilità. “L emergere della gestione just in time , la tendenza delle imprese a rivedere la


loro politica di investimento a più breve termine, la diffusione delle tecnologie


dell informazione e della comunicazione, oltre alle evoluzioni della domanda sempre più


frequenti, hanno spinto le imprese a organizzarsi in modo più flessibile. Tutto ciò riguarda


l evoluzione dell organizzazione e dell orario di lavoro, i salari e il numero di dipendenti delle


varie fasi del ciclo produttivo. Questi cambiamenti hanno creato una domanda di maggiore


diversificazione contrattuale, sia o no esplicitamente coperta dalla legislazione comunitaria e


nazionale" (Commissione Europea 2006, 5).


IL LAVORO SUBORDINATO TRA RAPPORTI SPECIALI, CONTRATTI “ATIPICI” E POSSIBILI RIFORME 37


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Mentre, al contrario, la nuova economia della flessibilità organizzativa,


della conoscenza, della variabilità della domanda dal mercato richiede una


pluralità di tipologie che rispecchino queste diverse esigenze


produttive125. In realtà, la diffusione dei contratti “non standard” è una


diretta conseguenza anche dell’idea (ma forse sarebbe più corretto


definirla ideologia) della flessibilità che costituisce da tempo il “pensiero


unico” europeo per la disciplina del mercato del lavoro. La tesi è quella


secondo la quale l’eccesso di protezione normativa garantito dalle


legislazioni nazionali al contratto standard impedisce la crescita


dell’occupazione e l’ingresso al lavoro di nuove figure lavorative. Questa


opinione, che risale al famoso rapporto Ocse del 1994126, ha costituito il


presupposto esplicito ed implicito di tutte le strategie del lavoro europeo,


in piena coerenza con gli orientamenti di politica economica della Banca


Centrale Europea127 ed è stata recentemente ribadita al massimo livello


dalla Commissione europea128. La difficoltà o la non volontà dei paesi


dell’Unione di riformare la disciplina del lavoro standard ha sollecitato la


creazione di una pluralità di nuovi contratti, che in qualche modo


permettessero di aggirare la “rigidità” della disciplina in tema di lavoro a


tempo indeterminato e consentissero flessibilità normativa e riduzioni del


costo del lavoro129. La conseguenza sarebbe quella di un mercato del


lavoro rigido nella componente standard e segmentato in quella atipica130.


125 Si rinvia, per tutti, a Perulli 2006a, 731 – 732; Ghera 2006b, 178 ss.; Carabelli 2004, 74


ss.


126 OECD 1994, particolarmente le argomentazioni utilizzate nel capitolo 3.


127 La Banca Centrale Europea ha recentemente riaffermato che, nonostante i miglioramenti


degli ultimi anni nelle performance del mercato del lavoro, vi è necessità “di maggiore


flessibilità per aumentare la capacità di aggiustamenti dei mercati del lavoro dell’area


nonché la relativa capacità di tenuta agli shock” (BCE 2007, 75). La eccessiva rigidità nella


legislazione a tutela del posto di lavoro è ancora una volta ribadita (77), in coerenza con


una tesi già espressa in precedenza (BCE 2002). Per una ricostruzione delle opinioni


espresse da OECD e Banca Centrale Europea si rinvia alla dettagliata ricostruzione di


Ashiagbor 2005, 36 ss., 72 ss.


128 "La recente relazione sull occupazione in Europa nel 2006 fa riferimento a dati secondo i


quali l esistenza di una legislazione troppo rigidamente protettiva dell occupazione tende a


ridurre il dinamismo del mercato del lavoro, aggravando le prospettive di lavoro delle


donne, dei giovani e dei lavoratori anziani. Tale relazione sottolinea che una


deregolamentazione marginale che mantiene praticamente intatte le rigide regole applicabili


ai contratti standard tende a favorire la segmentazione dei mercati di lavoro e influisce


negativamente sulla produttività” (Commissione Europea 2006, 9).


129 “Le riforme della legislazione relativa alla tutela dell occupazione avviate dall inizio degli


anni ‘90 vertono soprattutto sull’ammorbidimento delle norme vigenti per favorire la


diversità contrattuale. La finalità di queste riforme era di sviluppare una flessibilità


marginale , vale a dire di instaurare forme di occupazioni più flessibili con una minore tutela


contro il licenziamento, al fine di facilitare l accesso di nuovi venuti e di soggetti alla ricerca


di un lavoro in posizione di svantaggio nel mercato del lavoro, consentendo a coloro che lo


38 VALERIO SPEZIALE


WP C.S.D.L.E. "Massimo D Antona" .IT - 51/2007


Va detto, peraltro, che la tesi descritta è priva di riscontri empirici


ed è contestata a livello teorico, perché vi sono numerosi studi che


negano che vi sia una correlazione tra la “protezione” garantita dalla


disciplina in materia di lavoro ed i livelli di disoccupazione131. Inoltre


questa teoria è in qualche misura smentita da alcuni studi compiuti dalla


stessa Ocse in relazione, ad esempio, al rapporto tra flessibilità salariale


ed occupazione, quando, ad esempio, nell’Employment Outlook del 1998


si è affermato che né la teoria economica né le analisi econometriche


sono state in grado di determinare l’influenza sull’occupazione di


discipline legali o contrattuali sui minimi salariali132. E lo stesso può dirsi


per il rapporto tra crescita occupazionale e legislazione restrittiva in


materia di licenziamenti, quando si è sostenuto che le ricerche empiriche


non sono state in grado di dimostrare che l’eccessiva rigidità della


normativa produce effetti negativi133 e che anzi una “ragionevole” tutela


desideravano di avere una maggiore scelte in materia di opportunità di lavoro"


(Commissione Europea 2006, 6).


130 La Banca Centrale Europea, in relazione ai contratti standard rileva che “il grado di tutela


del posto di lavoro per i contratti a tempo indeterminato è diminuito solo lievemente dal


1990” (con un indice che si è ridotto dal 2,7 del 1990 al 2,5 del 2003: BCE 2007, 77).


Mentre la “flessibilità marginale” (citata nella nota precedente) ha comportato che “i mercati


del lavoro sono divenuti di conseguenza sempre più segmentati” (Commissione Europea


2006, 6).


131 Si vedano, ad esempio, i lavori di Nickell 1997 e Nickell, Layard 1998, che escludono che


la legislazione in materia di licenziamenti ed i minimi salariali producono rigidità che hanno


un impatto negativo sull’occupazione (che è legato, al contrario, ad altri istituti di


regolazione del mercato del lavoro, come l’esistenza di indennità di disoccupazione


eccessivamente generose). Si considerino anche le analisi di Esping Andersen 1999 e 2000,


che sottolinea come non esistano evidenze empiriche che confermino un qualsiasi effetto


della deregolamentazione del mercato del lavoro sui livelli della disoccupazione Per una


ricostruzione dettagliata delle opinioni favorevoli e contrarie alla tesi della flessibilità del


lavoro quale soluzione ai problemi dell’occupazione si vedano le approfondite analisi di


Deakin, Wilkinson 1999, 587 ss. e Ashiagbor 2005, 33 ss. (a cui si rinvia per le numerose


indicazioni sulla letteratura che nega il rapporto positivo tra flessibilità ed occupazione).


132 OECD 1998, 31, 42 ss., secondo la quale la riduzione dei minimi salariali potrebbe


agevolare l’occupazione dei giovani e dei lavoratori in formazione professionale, ma senza


che sia dimostrabile un effetto positivo generale per tutti i lavoratori.


133 OECD 1999a, 47 e 68 ss., che cita una serie di studi che dimostrano come la disciplina


dei licenziamenti non ha effetti sul livello complessivo della disoccupazione ma sulla


dinamica e sulla composizione della stessa (ad es. sul turn over) con una tesi confermata


anche da altri autori (Sestito 1997, 48 ss.; Del Punta 2001, 19; Nickell 1997, 72; Esping


Andersen 1999, 67; Perulli 2002, 357). Questa affermazione è stata ribadita in OECD 2004,


63. Si vedano anche le osservazioni di Ashiagbor 2005, 43 (nota 59), che cita studi teorici


più recenti che hanno confermato l’opinione secondo la quale “EPL strictness has little or no


effect on overall unemployment”, e Boeri, Garibaldi 2005, 2 (con ulteriori citazioni


bibliografiche).


IL LAVORO SUBORDINATO TRA RAPPORTI SPECIALI, CONTRATTI “ATIPICI” E POSSIBILI RIFORME 39


WP C.S.D.L.E. "Massimo D Antona" .IT - 51/2007


contro i licenziamenti può avere conseguenze positive134. Si tratta, come


si vede, di conclusioni contrastanti con le riforme del mercato del lavoro


proposte da grandi istituzioni economiche internazionali, tutte finalizzate


a destrutturate la disciplina esistente per i contratti standard135.


La scarsa fondatezza di questo “mito” della flessibilità136 trova, tra


l’altro, piena conferma nella situazione italiana. Da tempo, infatti, vi sono


studi che hanno confermato che in Italia “nel settore privato non agricolo


dell economia sin dalla fine degli anni Ottanta sia il turn-over dei


lavoratori (pari alla somma dei lavoratori che nel corso di un anno sono


assunti e si separano da un impresa rispetto al totale dei lavoratori


occupati), sia quello dei posti di lavoro (pari alla somma dei posti di


lavoro creati e distrutti in un anno rispetto al totale dei posti di lavoro


esistenti) sono tra i più elevati in Europa"137. Evidenze, queste, che


escludono l’esistenza di un’eccessiva rigidità delle tutele degli insiders a


scapito degli outsiders, particolarmente per quanto attiene alla disciplina


dei licenziamenti individuali, che, evidentemente, non ostacola l’accesso


al lavoro138. D’altra parte una simile conclusione trova conferma in altri


elementi, quali l’enorme differenza nelle performance occupazionali nelle


diverse aree del paese (ed a parità, ovviamente, della disciplina dei


licenziamenti), che rende difficile attribuire alla employment job


protection effetti così radicalmente diversi139. Oppure la mancanza di una


“fuga dal lavoro subordinato” verso quello autonomo dovuto all’eccessiva


134 OECD 2004, 63, secondo la quale la legislazione protettiva sui licenziamenti “may foster


long-term employment relationships, thus promoting workers’ effort, co-operation and


willingness to be trained, which is positive for aggregate employment and economic


efficiency”. Si rinvia, sul punto, alle osservazioni di Ashiagbor 2005, 43


135 Infatti, nonostante gli elementi prima indicati sia la Banca Centrale Europea (v. retro


nota 127) sia l’Ocse sono assolutamente costanti nel raccomandare la necessità di


introdurre una maggiore flessibilità nei mercati del lavoro in varie aree, come nell’ambito


degli orari di lavoro, nel livello dei salari e del costo del lavoro e nella employment


protection legislation (OECD 1999b, § 1).


136 Perulli 2006b, 193; Treu 2005, 418, che parla di un “approccio parziale e distorto” che


“ha enfatizzato e moltiplicato le flessibilità, in particolare quelle con un’enfasi ideologica che


sopravvaluta gli stessi bisogni di flessibilità manifestati dalle imprese”.


137 Reyneri 2006a, 2. Questa opinione è sostenuta anche dal Cnel (2005, 113 ss.) che rileva


la presenza di studi che confermano la tesi ( Contini, Trivellato 2005).


138 Il riferimento è alla nota teoria di Lindbeck, Snower 1988, secondo la quale l’eccesso di


tutele a favore degli occupati renderebbe difficile l’accesso al mercato del lavoro dei


disoccupati. Tesi che in Italia è stata fortemente sostenuta da Ichino 1996, 33 ss. e 105 ss.


139 Nella ultima Rilevazione sulle forze di lavoro dell’Istat (pubblicata il 20 dicembre 2006 e


riferita al III trimestre 2006, in www.istat.it) si afferma che, a fronte di un tasso di


disoccupazione nazionale del 6,1%, il Nord è al 3,8%, il Centro al 5,5% ed il Sud al 10, 7%


e che il tasso di attività e di occupazione (che meglio sintetizzano le performance


occupazionali) presentano differenziali molto forti nelle tre aree del paese. Situazione,


questa, che caratterizza la realtà italiana da decenni e certamente da quando vi è la tutela


“forte” in materia di licenziamenti.


40 VALERIO SPEZIALE


WP C.S.D.L.E. "Massimo D Antona" .IT - 51/2007


rigidità delle normative sulla subordinazione, che costituiva un altro


argomento “forte” a sostegno dei fautori della deregolazione del


sistema140. Inoltre, le indagini empiriche sulle ragioni dell’uso dei contratti


flessibili dimostrano che la loro utilizzazione da parte degli imprenditori


per evitare le “strettoie” della disciplina in materia di licenziamenti sono


estremamente ridotte quando non inesistenti141. Vi sono infine dati ed


argomenti ulteriori che smentiscono la tesi qui criticata142.


La creazione di nuovi modelli contrattuali costituisce, dunque,


espressione di una impostazione del tutto ideologica143, che intende


fornire, attraverso una pluralità di schemi negoziali, la possibilità di


bypassare le presunte rigidità del lavoro standard144. In realtà il “Libro


Bianco” del Governo, che costituisce il “manifesto” della politica del diritto


in materia di lavoro e che ha ispirato la legislazione analizzata, afferma


l’esatto contrario145. Tuttavia, i comportamenti successivi non sono stati


coerenti con le intenzioni dichiarate. Da un lato, infatti, non è un caso che


articolazione tipologica e riforma dell’art. 18 dello statuto dei lavoratori


(considerato il vero emblema della tutela degli outsiders a scapito degli


140 Si è recentemente sottolineato che “l’insieme del lavoro indipendente non sta crescendo


a discapito del lavoro dipendente, e dunque non ne sta erodendo l’area” (Accornero,


Anastasia 2006, 2). Ma si vedano anche le osservazioni di Reynery 2006b, 573 e di Cnel


2005, 52 (secondo il quale, nel 2005, “la riduzione dell’occupazione autonoma è tra le più


consistenti verificatesi negli ultimi trent’anni (Banca d’Italia 2006)”. La tesi della fuga dal


lavoro subordinato è stata sostenuta, tra i primi, da Ichino 1989, 231 ss.


141 In tempi recenti è stata effettuata una ricerca empirica che ha sottolineato che “la


riduzione dei vincoli al licenziamento, spesso invocata nel dibattito politico – sociale, è


invece l’ultimo dei motivi segnalati dagli interpellati” nel campione di ricerca quale


motivazione dell’introduzione del lavoro flessibile (Accornero, Altieri, Oteri 2001, 62).


142 Basti pensare, tra gli altri, all’”errore dell’Ocse” che nel 2004 ha ammesso di aver


attribuito un “indice di rigidità” nella disciplina dei licenziamenti in Italia eccessivamente


elevato, perché “il trattamento di fine rapporto di lavoro non doveva essere considerato un


costo di licenziamento, in quanto elemento di salario differito dovuto al lavoratore in ogni


caso di rottura del rapporto” (Reyneri 2006a, 2 – 3). La conseguenza è che il nostro paese è


passato dal 2,8% all’1,8% nell’indice. “L’Italia risulta così dalla fine degli anni ’80 tra i paesi


europei ove i rapporti di lavoro a tempo indeterminato sono meno protetti contro i


licenziamenti individuali” (Reyneri 2006a, 3).


143 Questa osservazione, riferita al d.lgs. 276/2003, è comune a molti autori (Perulli 2006a,


733; Liso 2006, 304 e 309; Treu 2005, 418).


144 Si è giustamente sottolineato che la “moltiplicazione di forme flessibili in entrata del


mercato del lavoro [….] appare frutto, al di là delle asserite ‘buone intenzioni’ del legislatore


delegato, di una vistosa opzione ideologica, centrata sull’idea di flessibilità intesa non come


mera ‘tecnica’ nell’ambito di un disegno di ricomposizione sistemica del lavoro ‘in generale’


(Perulli 2002), bensì quale ‘criterio della regolazione ed al tempo stesso valore presupposto’


(Mariucci 2004)” (Perulli 2006a, 732 – 733).


145 "Il miglioramento qualitativo del rapporto di lavoro deve avvenire mediante un uso


corretto del contratto di lavoro a tempo indeterminato, evitando che si diffondono flessibilità


in entrata per aggirare i vincoli o le tutele predisposte per la flessibilità in uscita" (Libro


Bianco 2001, XII, XIII).


IL LAVORO SUBORDINATO TRA RAPPORTI SPECIALI, CONTRATTI “ATIPICI” E POSSIBILI RIFORME 41


WP C.S.D.L.E. "Massimo D Antona" .IT - 51/2007


insiders) sono stati presentati come espressione di un unico disegno


riformatore, anche se poi la modifica della disciplina dei licenziamenti è


naufragata per la forte opposizione sindacale. D’altra parte, la varietà


delle tipologie introdotte, le discipline per essi predisposte, la possibilità


di un uso alternativo e senza limiti dei vari modelli negoziali hanno fornito


oggettivamente alle imprese strumenti per evitare il ricorso al contratto


standard e le (presunte) rigidità ad esso connesse.


La moltiplicazione degli schemi negoziali e la riforma di quelli


esistenti con discipline più “flessibili”, peraltro, si pongono anche obiettivi


ulteriori, quali quelli di regolarizzare situazioni fraudolente di evasione


dalla disciplina esistente146. Tuttavia una simile spiegazione si fonda, in


primo luogo, sulla “enfatizzazione” del fenomeno elusivo, che è smentito


dai dati empirici e non giustificava interventi così radicali. Inoltre, la


logica di “trasparenza” del mercato del lavoro non può consistere nella


“legalizzazione degli illeciti”. Se è vero, infatti, che l’elusione può


testimoniare l’inadeguatezza della disciplina esistente, essa può


esprimere anche una volontà frodatoria che prescinde da qualsiasi


adeguamento normativo. Senza contare, inoltre, che un intervento


correttivo deve trovare un punto di equilibrio tra ragioni delle imprese ed


esigenze di tutela del lavoratore e non introdurre nuovi istituti che


rispecchino soltanto (o in misura del tutto prevalente) il bisogno di


flessibilità nei costi e di riduzione delle tutele richieste dal sistema


economico.


Le novità in tema di tipologie contrattuali sono talmente tante che di


esse non è possibile fornire neppure una sommaria descrizione. In questa


sede ci si limiterà a descrivere, in modo schematico, le principali


innovazioni e le finalità perseguite dal legislatore.


Un primo importante cambiamento è costituito dalla riforma del


contratto a tempo determinato. Lo scopo è quello di riconfermare


l’esistenza della pluralità di contratti a termine già in vigore – molti dei


quali privi della necessità di una specifica causale – con la previsione di


un ulteriore modello – il contratto di inserimento – finalizzato a


promuovere l’occupazione giovanile (e che di fatto sostituisce una delle


tipologie di contratto di formazione e lavoro prima esistente)147. Inoltre,


ed è questo il vero architrave di tutta la riforma, vi è la chiara volontà di


slegare il rapporto a tempo determinato dalla necessità di realizzare


esigenze temporanee, per trasformarlo in un mezzo per soddisfare


146 Perulli 2006a, 732. Si veda anche il Libro Bianco 2001: le nuove tipologie contrattuali


dovrebbero avere la funzione di “ ‘ripulire’ il mercato del lavoro dall’improprio utilizzo di


alcuni strumenti oggi esistenti, in funzione elusiva o frodatoria della legislazione posta a


tutela del lavoro subordinato…” (XIII).


147 Ghera 2006a, 287 e 290.


42 VALERIO SPEZIALE


WP C.S.D.L.E. "Massimo D Antona" .IT - 51/2007


necessità di lavoro stabile, come vera e propria alternativa al contratto


standard148.


Vi è poi la riforma integrale dei contratti formativi, con


l’articolazione di diversi modelli di apprendistato, di cui quello


professionalizzante dovrebbe costituire la figura più importante, e


l’eliminazione del contratto di formazione e lavoro, che rimane in vigore


soltanto per le amministrazioni pubbliche. Viene inoltre introdotta la


figura dei tirocini estivi di orientamento (ma la disposizione è stata


dichiarata incostituzionale)149.


L’abrogazione della legge sul divieto di intermediazione di mano


d’opera si accompagna alla introduzione di nuovi istituti


(somministrazione di mano d’opera a tempo determinato ed


indeterminato, distacco) che sono finalizzati ad ampliare le tipologie


contrattuali che consentono la scissione tra titolare formale del rapporto


di lavoro e suo utilizzatore. Al rapporto “binario” tra un lavoratore e un


datore di lavoro se ne affianca uno “trilaterale”, dove l’impresa


utilizzatrice, con un costo mediamente più elevato rispetto a quello di un


normale contratto di lavoro, coniuga i vantaggi della subordinazione con


l’assenza dei relativi vincoli normativi150. Rispetto al lavoro temporaneo,


che aveva ambiti applicativi più ristretti, i nuovi modelli contrattuali


aumentano le possibilità di utilizzazione di questi strumenti. Viene, in


sostanza, ampliata e rafforzata la separazione tra lavoro ed impresa che


riceve direttamente i benefici della prestazione, in una logica commerciale


di fornitura di un servizio piuttosto che nell’ambito tradizionale del vincolo


di subordinazione.


La disciplina del part-time viene riformata in modo da garantirne un


uso più flessibile a favore dell’impresa ma più penalizzante per il


lavoratore in relazione al ricorso al lavoro supplementare, a quello


straordinario ed anche per quanto attiene la modificazione della


collocazione temporale della prestazione del lavoratore e l’incremento


della sua durata (clausole flessibili ed elastiche). Si crea inoltre la nuova


figura del lavoro intermittente (o a chiamata) nella quale la modulazione


del tempo di lavoro è pensata per soddisfare just in time le esigenze


dell’impresa, in una condizione di accentuata disponibilità personale del


148 La Circolare esplicativa del Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali del 1 agosto 2002


(in G.U. 13 agosto 2002 n. 189) è chiarissima nell’affermare che la temporaneità non


costituisce un presupposto di legittima apposizione del termine, che potrà essere effettuata


anche in presenza di ragioni non temporanee di carattere oggettivo, verificabili e senza


finalità fraudolente o discriminatorie. In pratica, anche per esigenze stabili di lavoro.


149 C. Cost. 28 gennaio 2005, n. 50, FI, 2006, I, 365 ss.(in particolare 398).


150 Le considerazioni svolte si riferiscono, ovviamente, alla somministrazione e non al


distacco.


IL LAVORO SUBORDINATO TRA RAPPORTI SPECIALI, CONTRATTI “ATIPICI” E POSSIBILI RIFORME 43


WP C.S.D.L.E. "Massimo D Antona" .IT - 51/2007


lavoratore (remunerato in misura ridotta nei periodi di attesa) e che, nei


casi di prestazioni per periodi predeterminati, perde anche l’indennità di


disponibilità qualora non vi sia l’effettiva chiamata del datore di lavoro.


Con il lavoro ripartito, due lavoratori assumono in solido la responsabilità


dell’adempimento dell’intera obbligazione e, a meno che non vi siano


diverse regole convenzionalmente stabilite, possono concordare


liberamente la ripartizione dell’orario, la sua collocazione temporale e la


reciproca sostituzione. La legge, inoltre, introduce una disciplina


particolare per quanto attiene il rischio dell’impossibilità della prestazione,


con una normativa che suscita notevoli dubbi interpretativi.


Le esternalizzazioni dei processi produttivi vengono regolati in modo


organico attraverso la disciplina della somministrazione ma, anche e


soprattutto, con la riforma della nozione di trasferimento di ramo


d’azienda e con l’introduzione di una specifica nozione lavoristica di


appalto di opere o di servizi. Il nuovo quadro normativo è diretto a


facilitare la segmentazione dell’impresa con operazioni che tendono a


rendere più agevoli i processi di outsourcing ed a costi inferiori. Inoltre la


combinazione tra trasferimento del ramo e l’appalto è in grado di


garantire che le medesime funzioni siano svolte con il personale


originariamente appartenente all’impresa che esternalizza, la quale può


utilizzare gli stessi lavoratori in precedenza alle proprie dirette


dipendenze senza i vincoli della subordinazione e con oneri economici


potenzialmente inferiori.


Al fine di ridurre i fenomeni elusivi connessi alla diffusione di lavoro


autonomo nella forma delle collaborazioni continuative e coordinate,


l’istituto previsto dall’art. 409 c.p.c. (e da altre leggi speciali) viene


conservato soltanto per il lavoro pubblico. Nel settore privato, al


contrario, esso viene sostituito da un contratto di natura temporanea e


legato alla realizzazione di “uno o più progetti specifici o programmi di


lavoro o fasi di esso”, con l’introduzione di una disciplina particolare. Il


nuovo modello contrattuale è, per alcuni aspetti, peggiorativo della


normativa previgente prevista per le ordinarie collaborazioni autonome a


tempo determinato e, per opinione concorde di molti interpreti, non ha


una capacità “selettiva” che consenta di stroncare l’abuso del lavoro


autonomo in sostituzione di quello subordinato.


Infine, molti dei nuovi schemi negoziali non si applicano al lavoro


pubblico, per il quale rimangono in vigore vecchi istituti (il contratto di


formazione e lavoro, le collaborazioni continuative e coordinate) e se ne


estendono solo alcuni di nuova creazione (somministrazione a tempo


determinato).


44 VALERIO SPEZIALE


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Si tratta, come ben si vede, di una vera e propria “rivoluzione


tipologica” che, oltre ad aggiungere nuovi modelli contrattuali, riforma i


contratti già esistenti in modo significativo.


8. L’incremento delle tipologie contrattuali, gli effetti


sul sistema del diritto del lavoro e la necessità di una


diversa regolazione in materia


L’arricchimento dei modelli contrattuali è un processo di lunga


durata, iniziato – per alcuni aspetti – sin dalla fine degli anni ’70151 e nel


decennio successivo, ma che ha avuto un’accelerazione straordinaria


particolarmente nei primi anni del XXI secolo. Si tratta di una modifica


radicale del quadro giuridico complessivo che sollecita alcune riflessioni


sull’impatto che tali innovazioni hanno determinato sul diritto del lavoro.


Impatto che può essere meglio valutato anche in base ai risultati messi in


evidenza dalle numerose indagini empiriche che ormai vengono effettuate


da vari istituti di ricerca (Istat, Cnel, Isfol, Excelsior, Censis ecc.) in


relazione al mercato del lavoro.


Una prima considerazione è quella secondo la quale “il mercato del


lavoro è …costituito da un sistema eccessivamente complesso e confuso


di tipologie contrattuali”152, introdotte soprattutto con una legge (il d.lgs.


276/2003) caratterizzata da “scadente qualità”, che si sostanzia nella


“confusa complessità e oscurità di molti disposti” e nella “non infrequente


violazione della grammatica del diritto e, talvolta, della logica”153. Ma la


complessità del sistema non contrasta soltanto con esigenze di armonia


dell’ordinamento e con difficoltà interpretative o applicative. Essa


accentua la tendenza alla frammentazione e segmentazione del mercato


del lavoro. Si è sottolineato che “l effetto combinato tra l introduzione di


forme di flessibilità occupazionale e la stagnazione della crescita


economica registrata negli ultimi anni ha introdotto, per alcuni profili


dell offerta di lavoro, un aumento del rischio di instabilità dell occupazione


e di segmentazione della forza lavoro"154. La frammentazione del mercato


del lavoro può anche essere determinata da modifiche nei modi di


produrre e di lavorare oltre che da fenomeni elusivi. Tuttavia “fino a


quando il legislatore continuerà a rincorrere il mercato, perderà sempre.


La legislazione sarà sempre in ritardo ed il mercato del lavoro sarà


151 Risale al 1977 la prima legge sul contratto a termine con finalità formative per favorire la


formazione e la promozione dell’occupazione.


152 Perulli 2006b, 193.


153 Liso 2006, 301.


154 Cnel 2006, 97. La segmentazione del mercato del lavoro è sostenuta anche dalla


Commissione Europea (2006, 6).


IL LAVORO SUBORDINATO TRA RAPPORTI SPECIALI, CONTRATTI “ATIPICI” E POSSIBILI RIFORME 45


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sempre in grado di generare nuove forme contrattuali non previste


dall ordinamento vigente e quindi non soggette a particolari obblighi"155.


Proprio per evitare questo fenomeno di "rincorsa" il legislatore


dovrebbe operare con modalità assai differenti. Attraverso l utilizzazione


degli studi e delle ricerche empiriche, occorrerebbe "sondare" le


caratteristiche e le novità che emergono dal mercato del lavoro per


verificare se e in che misura occorre aggiungere nuove tipologie


contrattuali o modificare quelle esistenti. Poi, una volta individuate le


esigenze oggettive provenienti dalle imprese e dai lavoratori,


occorrerebbe procedere ad una regolamentazione delle tipologie che non


accentui la frammentazione dei “lavori” e dei contratti, ma persegua la


finalità di una ricomposizione del mondo del lavoro. In sostanza, oltre a


reprimere o disincentivare quei fenomeni di segmentazione del mercato


che esprimono una volontà elusiva, occorrerebbe creare discipline


giuridiche diverse, che tengano conto della funzione di specializzazione


che le tipologie contrattuali devono svolgere. Questa esigenza, tuttavia,


deve essere realizzata senza creare differenti status di subordinazione


basati su regimi giuridici “deboli” rispetto a quello proprio del modello


standard, che a loro volta sollecitano la “fuga” delle imprese verso


tipologie contrattuali meno garantite.


Non è certamente questa la strada seguita dal legislatore. Si pensi,


ad esempio, a tutte le normative che escludono i contratti atipici dal


computo dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi per


l’applicazione di particolari discipline ed istituti156. Queste disposizioni,


che perseguono la comprensibile finalità di incentivare l’utilizzazione dei


modelli contrattuali, creano oggettivamente una differenziazione


normativa che, se da un lato agevola il ricorso al contratto, dall’altro ne


sottolinea la distinzione con il modello standard e favorisce operazioni di


ulteriore frammentazione del mercato del lavoro. In tale contesto, tra


l’altro, le varie disposizioni che garantiscono la parità di trattamento e


che dovrebbero impedire un’eccessiva differenziazione normativa157 sono


del tutto insufficienti se accompagnate da altre norme che, di fatto,


realizzano uno status normativo talmente derogatorio rispetto a quello


155 Garibaldi 2002, 2.


156 Si vedano, tra gli altri, l’art. 53, comma 2, d.lgs. 276/2003 per l’apprendistato; l’art. 59,


comma 2, d.lgs. 276/2003 per il contratto di inserimento; l’art. 21, comma 5, d.lgs.


276/2003 per la somministrazione. Queste norme, che non esauriscono tutte quelle


esistenti, costituiscono una tecnica in uso ormai da molti anni.


157 Cfr., tra le altre, quelle indicate nel precedente paragrafo 6 (testo e nota 92).


46 VALERIO SPEZIALE


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generale da porre il lavoratore atipico in una situazione di particolare


debolezza contrattuale158.


In realtà, la ricomposizione del mondo del lavoro passa attraverso


la costituzione di un unitario floor of rights and obligations per tutti i


lavoratori atipici159. In sostanza occorre coniugare la specializzazione del


tipo contrattuale diverso da quello standard - che deve avere caratteri e


disciplina che rispecchino le peculiarità delle forme di lavoro che si


vogliono regolare160 – con una normazione di base che, oltre ad


assicurare diritti fondamentali, escluda la possibilità di una "potenziale


concorrenzialità" tra modello contrattuale generale e quelli "atipici"


basata sulle riduzioni di tutele normative e sul risparmio dei costi. Inoltre,


è necessario attribuire ai lavoratori, oltre alle garanzie minime "nel


contratto", anche tutele specifiche “nel mercato del lavoro”, con


particolare riferimento a forme di sostegno del reddito nei periodi di


disoccupazione, alla possibilità di riqualificazione professionale ed alla


concessione di altre facilities dirette a favorire il reingresso o la


permanenza nell’occupazione161.


La complessità del sistema, peraltro, richiede anche una riduzione


delle tipologie, con l eliminazione di quelle non rispondenti alle necessità


del mercato o le cui esigenze possono essere già soddisfatte dai modelli


contrattuali esistenti162. Il tutto, ovviamente, tenendo in considerazione


non solo la situazione delle imprese ma anche gli interessi dei lavoratori.


In tale ambito, vi sono ricerche che hanno messo in evidenza la


scarsissima utilizzazione di alcuni contratti recentemente introdotti dal


legislatore. È questo il caso della somministrazione a tempo


indeterminato che, secondo uno studio realizzato dalla Confindustria nel


2004, non sembra "andare incontro alle esigenze organizzative e alla


158 Alcuni spunti in coerenza con quanto indicato nel testo anche in Sciarra 2004, 51, 86,


con riferimento al part time ed ai contratti a termine.


159 In tal senso anche Sciarra 2004, 51 e 57, in relazione a differenti forme di contratto a


termine, inclusa la somministrazione, ma con una conclusione estensibile a tutti i contratti


atipici. Quest’ultima è, in particolare, anche l’opinione di Perulli 2006b, 199.


160 Carabelli 2004, 82, sottolinea come i contratti speciali debbano svolgere “funzioni


specializzate”, in coerenza con l’uso che ne è fatto dalle aziende e che è messo in evidenza


da una ricerca empirica da lui citata.


161 Sciarra 2004, in relazione alla nozione di lavoro economicamente dipendente, afferma


che dovrebbe essere introdotto “a network of benefits and facilities, mostly related to the


life cycle (accession to pension funds, accession to special bank credits, social security


benefits, mobility allowances, training facilities, pregnancy and parental leaves, childcare


facilities)” (86). Conclusioni che, ovviamente sono estensibili a tutte le forme contrattuali


atipiche.


162 Treu 2005, 419, secondo il quale si dovrà procedere alla “abrogazione delle forme


deregolative che moltiplicano le tipologie precarizzanti, in particolare quelle del lavoro a


chiamata e dello staff leasing”.


IL LAVORO SUBORDINATO TRA RAPPORTI SPECIALI, CONTRATTI “ATIPICI” E POSSIBILI RIFORME 47


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particolare attività svolta dalle aziende intervistate"163. Ad analoghi


risultati giungono le indagini effettuate dal Cnel e dall’Isfol, in relazione


non soltanto allo staff leasing, ma anche per il lavoro ripartito ed il lavoro


a chiamata, la cui ridotta utilizzazione è collegata alla loro scarsa utilità


ed alla difficoltà della loro applicazione sia nei confronti dei lavoratori che


delle organizzazioni sindacali interne164. Simili considerazioni possono


essere estese al lavoro intermittente che, a parte l introduzione di una


disciplina che rende fortemente precario questo tipo di contratto, è stato


giustamente ritenuto "superflu(o), considerando l accentuata flessibilità


nel contempo introdotta nel lavoro a tempo parziale"165. In realtà, i


contratti sopra descritti sono stati inseriti nel sistema senza alcuna


considerazione delle sue effettive esigenze ed in base all impostazione


ideologica in precedenza descritta, che tende a fare dei contratti flessibili


uno strumento per eliminare le presunte rigidità connesse alla


regolazione del contratto standard.


Inoltre, il legislatore non considera che molte delle innovazioni da lui


introdotte non solo producono una duplicazione di istituti, ma ne rendono


superflui altri. È questo il caso della somministrazione che, in base ad


un analisi economica del modello contrattuale, può garantire una


maggiore efficienza in relazione all attività preparatoria precedente a


quella dell esecuzione della prestazione166. In particolare questo contratto


sarebbe utile per la sua capacità di reperimento e di selezione dei


lavoratori, per la formazione del personale e la gestione amministrativa


dei rapporti di lavoro167. Tuttavia, le funzioni in precedenza descritte


possono essere svolte dalle agenzie per il lavoro che, in base alla


disciplina introdotta proprio dal d.lgs. 276/2003, possono anche operare


in tale ambito e senza necessità, quindi di creare un rapporto trilatero tra


163 Confindustria 2004, 16. Anche se vengono formulate altre ipotesi sulla scarsa diffusione


dell istituto ("appare opportuno però evidenziare che lo staff leasing è divenuto operativo


solamente nel corso del 2004 a seguito dell emanazione delle necessarie disposizioni


applicative: 16), la ricerca sottolinea anche come la normativa non sia stata utilizzata a


causa delle difficoltà tecniche connesse alla sua applicazione e ai problemi nei rapporti con i


lavoratori coinvolti o con i sindacati (16).


164 Cnel 2006, 140 – 141. Analoghe conclusioni in Confindustria 2004 per il lavoro a


chiamata e ripartito.


165 Liso 2006, 302.


166 Ichino 2000, 384 ss.


167 Questo istituto può consentire "una rilevante risparmio dei costi di transazione relativi


all acquisizione della forza lavoro, soprattutto quando il mercato locale sia povero di canali


di incontro fra domanda e offerta di manodopera, oppure quando la complessità degli


adempimenti amministrativi imposti dall ordinamento alla costituzione e lo svolgimento dei


rapporti di lavoro renda vantaggioso l affidamento delle relative pratiche a un operatore


specializzato" (Ichino 2000, 386 – 387).


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somministratore, impresa utilizzatrice e lavoratore168. Inoltre, la stessa


gestione amministrativa dei contratti di lavoro può essere soddisfatta con


un appalto di servizi, oggi espressamente regolato dal medesimo decreto


legislativo, stipulato con un’agenzia o altra impresa specializzata. Tra


l’altro queste attività possono essere realizzate con costi inferiori rispetto


alla fornitura di lavoro a tempo determinato o indeterminato169. Gli studi


empirici, poi, dimostrano che la somministrazione a termine è usata in via


prevalente per commesse straordinarie e progetti temporanei, o per la


sostituzione di lavoratori assenti170. Queste esigenze possono certamente


essere soddisfatte con la nuova disciplina del contratto a tempo


determinato, in quanto la causale economica od organizzativa che ne


giustifica la stipulazione ricomprende certamente le esigenze temporanee


in precedenza descritte171 e senza oltretutto i costi assai elevati della


somministrazione, che costituiscono una delle motivazioni principali della


mancata utilizzazione di questo istituto172. In questo modo, tra l’altro, si


eviterebbe che la somministrazione si riduca ad essere utilizzata soltanto


per eludere tutti i vincoli normativi che nascono dalla relazione diretta tra


datore di lavoro e lavoratore173.


In sostanza, per tutte le ragioni indicate, vi sono le condizioni per


procedere all’abrogazione di molte delle tipologie contrattuali descritte al


fine di evitare istituti inutili o la duplicazione di quelli esistenti.


Le ricerche empiriche mettono in evidenza anche l’alterazione


funzionale di molti schemi negoziali, che sono utilizzati per scopi


assolutamente diversi rispetto alle finalità regolative di ciascun modello


contrattuale e che sollecitano quindi interventi riformatori.


168 In sostanza, le agenzie potrebbero svolgere le attività di selezione e formazione senza


dover assumere i lavoratori per poi inviarli in missione presso terzi.


169 Per l’approfondimento di tali aspetti mi permetto di rinviare a Speziale 2006, 24 – 25.


170 Cnel 2006, 138. I dati della Confinterim, l associazione che raggruppa le imprese di


somministrazione di manodopera e che sono reperibili nel sito www.confinterim.it, sono


eloquenti: nel 2002 i motivi di ricorso al lavoro temporaneo sono per il 75% per "punte di


lavoro" e per il 17% "per sostituzione di lavoratori assenti", con percentuali rispettivamente


del 78% è del 16% nel 2003. D altra parte, Confindustria 2004 sottolinea che la


somministrazione a termine è servita "per rispondere alla variabilità della domanda di


mercato di brevissimo periodo": 16.


171 Speziale 2001, 378 ss.; Id. 2002, 427 ss. Per un riepilogo delle varie opinioni si veda


anche Menghini 2006, 701 ss. (che accoglie la tesi della temporaneità). Mi sembra


indiscutibile, peraltro, che anche la tesi contraria (secondo la quale le esigenze temporanee


non sarebbero necessarie: vedi gli a. citati da Menghini 2006, 703) a maggior ragione


consente la stipula del contratto a fronte di tali situazioni.


172 Cnel 2006, 138.


173 L’elusione può riguardare, in particolare, la possibilità di evitare la disciplina dei


licenziamenti (che riguarderebbe l’agenzia e non l’utilizzatore) e di sostituire in qualsiasi


momento un dipendente somministrato e non gradito all’impresa utilizzatrice (ad esempio


anche se malato), in spregio anche ad alcune tutele di natura costituzionale.


IL LAVORO SUBORDINATO TRA RAPPORTI SPECIALI, CONTRATTI “ATIPICI” E POSSIBILI RIFORME 49


WP C.S.D.L.E. "Massimo D Antona" .IT - 51/2007


La somministrazione a tempo determinato, il contratto a termine e


di inserimento e persino il lavoro a progetto o le collaborazioni


continuative e coordinate (seppure in misura minore) sono spesso


utilizzate quale periodo di prova, per testare le capacità personali e


professionali del lavoratore174. Si tratta, ovviamente, di finalità che sono


del tutto estranee alla causa dei contratti (se intesa nella sua nozione


tradizionale di funzione economico sociale)175 o comunque con i


presupposti giustificativi dei rispettivi modelli contrattuali, con un uso


distorto che è comune anche ai contratti di formazione e lavoro. Questa


situazione rivela l’inadeguatezza della disciplina attualmente esistente sul


periodo di prova, rimessa soprattutto alla contrattazione collettiva. E’


opportuna, dunque, una modifica normativa, che tenga conto sia


dell’accresciuto patrimonio di competenze necessarie per molti lavori, che


richiedono test più prolungati sulle capacità lavorative, sia della maggiore


importanza, nell’organizzazione imprenditoriale, della collaborazione


nell’esecuzione della prestazione. Tutti questi elementi richiedono periodi


temporali superiori per verificare la compatibilità tra caratteristiche


personali del dipendente ed ambiente di lavoro. La soluzione potrebbe


essere costituita da una norma di carattere generale che obblighi i


contratti collettivi, con disposizione di legge inderogabile in melius, a


prevedere periodi minimi di esperimento del lavoratore più lunghi e


graduati in relazione alle differenti professionalità da saggiare.


Un ulteriore elemento di alterazione funzionale dei contratti è


rinvenibile nell’utilizzazione di alcuni di essi per sopperire ad esigenze di


riduzione dei costi della subordinazione. E’ questo il caso del contratto di


inserimento ed anche delle collaborazioni continuative e coordinate176.


Anche in queste ipotesi, ovviamente, i contratti sono “deviati” dalla loro


finalità regolativa originaria. Il problema dell’eccessivo costo del lavoro


deve sicuramente essere affrontato con una politica che tenga conto delle


esigenze di finanziamento del sistema pensionistico e dell’equilibrio della


finanza pubblica. Tuttavia non vi è dubbio che, in primo luogo, è


necessario porre fine al sistema “ipocrita” di ideare un contratto con certe


caratteristiche e finalità (“formazione”, “inserimento professionale”, ecc.)


174 In tal senso Cnel 2006 per il contratto a termine (58), quello di inserimento (124), e per


il lavoro a progetto e le collaborazioni continuative e coordinate. (136). Analoghi risultati, in


relazione al rapporto a tempo determinato e le collaborazioni occasionali in Accornero,


Altieri, Oteri 2001, 63.


175 Secondo la nota teoria di Betti (v. retro nota 8), tra l’altro accolta dalla giurisprudenza


(Cass. 4 aprile 2003, n. 5324; Cass. 20 novembre 1992, n. 12401 e molte altre). Sulle varie


teorie in tema di causa del contratto, oltre a quanto affermato nella nota 8, v. Di Majo 1988,


1 ss.; Giorgianni 1960, 547 ss.; Marinelli 1995, 327 ss.; Alpa 1995, 1 ss.


176 In tal senso v. Cnel 2006, 97 in relazione ai contratti flessibili e Commissione Europea


2006, 8, per il lavoro autonomo.


50 VALERIO SPEZIALE


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che, al contrario, si propone soltanto di fornire alle imprese rapporti di


lavoro a temine speciali (che derogano la disciplina generale) e


l’autorizzazione a remunerare in forma ridotta i lavoratori. In questi casi,


al di là dei modelli contrattuali creati, la vera finalità perseguita è quella


di consentire l’aggiramento dei vincoli normativi connessi al contratto


standard e di permettere risparmi nel costo del lavoro. Quest’ultima


finalità, peraltro, non può essere ottenuta mediante il


sottoinquadramento contrattuale del lavoratore e con riduzioni del


salario, ma per mezzo di incentivi economici.


Da questo punto di vista particolarmente significativa è l esperienza


del credito d imposta previsto dall articolo 7 della legge 388/2000. Questa


disposizione consentiva di ridurre il carico fiscale per l impresa a


condizione di assumere lavoratori con contratto a tempo indeterminato.


Si è sottolineato che "la presenza dell incentivo fiscale ha favorito la


sostituzione di forme di lavoro a termine con contratti a tempo


indeterminato o perlomeno ha indotto le imprese ad anticipare una


stabilizzazione dei rapporti di lavoro che avrebbero comunque fatto, sia


pure in tempi un po più lunghi"177. Inoltre "l impossibilità di utilizzare gli


incentivi previsti sia dal vecchio CFL che dal credito d imposta, unita alla


fase di stagnazione dell economia iniziata nei primi anni del decennio, ha


indotto le imprese ad utilizzare forme di contratto più flessibili, generando


una ripresa delle forme di occupazione autonoma e parasubordinata"178.


Queste considerazioni dimostrano, senza ombra di dubbio, la correlazione


diretta tra riduzione del costo del lavoro ed utilizzazioni di contratti


standard o flessibili, a dimostrazione di come tale fattore sia


determinante nella scelta della tipologia contrattuale ben oltre qualsiasi


vincolo di natura normativa. Quella degli incentivi economici e della


riduzione dei costi è la strada da seguire per evitare utilizzazioni


improprie dei contratti atipici e per perseguire finalità di stabilità


occupazionale senza incidere sui diritti (anche economici) dei lavoratori.


In tal senso sembra stiano muovendo alcuni recenti interventi


normativi179.


Un azione diretta a ridurre i costi (e non le retribuzioni) di un


contratto per favorire l inserimento nel mondo del lavoro potrebbe, tra


l altro, trovare fondamento nel fatto che i giovani hanno difficoltà a


trovare una nuova occupazione perché, anche se hanno una formazione


177 Cnel 2006, 102.


178 Cnel 2006, 102.


179 Si vedano, ad esempio, le norme sul “cuneo fiscale” previsto dall’art. 1, commi 266 –


269, della legge 27 dicembre 2006 n. 296, in base alle quali è stata introdotta una


deduzione dall’Irap in cifra fissa nel caso di lavoratori assunti a tempo indeterminato nel


periodo d’imposta.


IL LAVORO SUBORDINATO TRA RAPPORTI SPECIALI, CONTRATTI “ATIPICI” E POSSIBILI RIFORME 51


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teorica adeguata, tuttavia sono in possesso di una scarsa “professionalità


pratica" e di una produttività più ridotta rispetto ad un lavoratore


ordinario, dovuta alla minore esperienza e capacità180. Questa soluzione,


inoltre, servirebbe ad evitare un’altra evidente alterazione funzionale dei


contratti a contenuto formativo, che spesso vengono utilizzati per ragioni


che con la formazione non hanno nulla a che fare e solo per utilizzare i


benefici normativi e di costo connessi a tali schemi negoziali181. Per


risolvere il problema occorrerebbe, in primo luogo, distinguere


nettamente tra “un contratto di primo impiego o di inserimento


lavorativo” che, operando sul costo del lavoro, recuperi il gap di


produttività del giovane lavoratore ed i contratti formativi182. Questi ultimi


dovrebbero avere una durata predeterminata legata al tipo di formazione


da effettuare, che dovrebbe essere svolta sia all interno che all esterno


dell azienda ed essere certificata da soggetti pubblici o privati


specializzati. Occorrerebbe inoltre stabilire un numero massimo di


contratti formativi, con lo stesso o con diversi datori di lavoro e relativi


anche a professionalità differenti, per evitare l abuso della formazione ed


imporre al lavoratore uno stato di perenne "precarietà formativa". Inoltre,


sia nel caso dell’inserimento che della formazione bisognerebbe introdurre


incentivi economici per agevolare la stabilizzazione in un rapporto a


tempo indeterminato. Non va dimenticato, infatti, che all’incremento


notevole dei contratti flessibili per i giovani183 si accompagna anche il


fatto che si tratta di “occupazioni davvero molto precarie, dentro le quali


inoltre non pochi giovani rischiano di essere intrappolati”184, con


possibilità molto ridotte di passare da uno (o più) rapporti instabili ad uno


a tempo indeterminato185. La “trappola” della precarietà deve dunque


180 Si é rilevato, tra l’altro, che in Italia “tra i giovani della generazione post – fordista i più


istruiti non sono meno esposti ai rischi della precarietà occupazionale, come accadeva in


passato” (Reyneri 2006a, 8; Id. 2006b, 572).


181 Il Cnel (2006, 120) sottolinea, ad esempio, che, in relazione al contratto di


apprendistato, “per una quota ragguardevole di imprese (17,4%), la motivazione prevalente


è legata all’abbattimento del costo del lavoro ottenuta grazie agli incentivi fiscali previsti”.


182 La mia proposta non ha nulla a che vedere con la nuova tipologia contrattuale


recentemente introdotta in Francia, che prevede un periodo di prova biennale durante il


quale vi è piena libertà di licenziamento (v. Cnel 2006, 190). Il nuovo istituto ha sollevato


forti proteste.


183 La Banca D’Italia (2006, 42) rileva che, ad esempio, in relazione ai contratti a termine,


“tra i giovani (15 – 29 anni) la quota dei contratti a tempo determinato ha raggiunto il


26,4% del totale dei dipendenti, dal 24,3 per cento nel 2004”, con un dato che, se inclusivo


delle collaborazioni continuative e coordinate e prestazioni occasionali, raggiunge “quasi il


50 per cento per i lavoratori con meno di 30 anni (era il 46,4 nel 2004)”.


184 Reyneri 2006a, 7 – 8.


185 In tal senso molto significativi sono i dati citati da Reyneri 2006a, secondo il quale “i


dipendenti a termine, i collaboratori e i prestatori d’opera occasionali hanno una probabilità


di cadere nella disoccupazione da 2 a 8 volte superiore a quella dei lavoratori dipendenti a


52 VALERIO SPEZIALE


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essere evitata con la riqualificazione funzionale dei contratti –


distinguendo nettamente quelli finalizzati a promuovere l’inserimento del


giovane nel lavoro dai rapporti a contenuto formativo – e garantendo


benefici fiscali e contributivi ai datori di lavoro che trasformano i contratti


flessibili in rapporti stabili.


Una “deviazione” della causa del contratto è sicuramente rinvenibile


nell’utilizzazione delle collaborazioni continuative e coordinate e del


lavoro a progetto. Il tema verrà affrontato anche nell’analisi sulla riforma


del lavoro subordinato (si veda il § 10). Qui è utile sottolineare come le


ricerche empiriche hanno sottolineato che “oltre il 90% dei collaboratori


ha un unico committente; l’81% svolge la propria attività lavorativa


presso la sede dell’impresa committente; oltre il 60% non decide


autonomamente l’orario di lavoro”186. Si tratta, evidentemente, di


collaborazioni (anche a progetto)187 che spesso (anche se non sempre)


nascondono un lavoro subordinato. Il fenomeno dei co.co.co. era stato


enormemente sopravvalutato per effetto di errori nella rilevazione


statistica e nella loro assimilazione a tutti i lavoratori iscritti alla gestione


di previdenza obbligatoria istituita preso l’Inps per i lavoratori


parasubordinati, con dati che superavano i tre milioni di unità188. In realtà


i veri e propri collaboratori (anche a progetto) erano, nel 2005, solo 457


mila, se si escludono figure a loro assimilate dal punto di vista


previdenziale ma con caratteristiche lavorative completamente diverse


(amministratori di società, revisori dei conti, professionisti)189. Non vi è


dubbio, peraltro, che una parte consistente di essi opera in condizioni


proprie della subordinazione e per finalità diverse (periodo di prova,


riduzione del costo del lavoro, attività temporanee, professionalità


innovative o che non sono parte del core business)190. In tale ambito, la


recente vicenda dei call center, caratterizzati da attività telefoniche


tempo indeterminato e dei lavoratori indipendenti tradizionali” (8). Il Cnel (2006, 100)


sottolinea, per il biennio 2004 – 2005 e sempre con riferimento ai dati sulle conversioni dei


contratti a termine in rapporti permanenti, “alcuni segnali di una progressiva


precarizzazione dell’occupazione, specialmente tra i giovani (…)”. La difficoltà di


conversione in rapporti stabili dei contratti a tempo determinato era stata già rilevata da


Barbieri P. 2002, 28 ss. (con riferimento a dati della metà degli anni ’90).


186 Cnel 2006, 134. In tale ambito si rinvia anche alle considerazioni critiche di Reyneri


2006a, 6 ss. e 2006b, 574.


187 I dati Cnel citati nella nota precedente si riferiscono sia ai vecchi co.co.co che al nuovo


istituto ed analoghe rilevazioni sono state svolte dall’Isfol.


188 Reyneri 2006a, 6; Ghera 2006b, 3, nota 1; Cnel 2006, 133, che riferisce i dati Inps sulla


gestione separata (3.373.339).


189 Cnel 2006, 133, che cita i dati Istat. Ma le cifre sono le stesse (“circa 400 mila”) anche in


rapporto al 2004: si vedano le rilevazioni del Cnel (2005, 57), che riporta i dati Istat


pubblicati nel marzo 2005.


190 Si vedano le motivazioni pubblicate da Cnel 2006, 136.


IL LAVORO SUBORDINATO TRA RAPPORTI SPECIALI, CONTRATTI “ATIPICI” E POSSIBILI RIFORME 53


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effettuate da addetti - in prevalenza giovani e donne - che hanno


sottoscritto contratti a progetto ma che svolgono il proprio lavoro con


modalità esecutive proprie della subordinazione, è un altro tipico esempio


dell’uso distorto delle collaborazioni continuate e coordinative191.


La disciplina del lavoro a progetto intendeva ridurre in modo


drastico l’uso fraudolento di questa tipologia contrattuale, sul presupposto


che si fosse in presenza di una “fuga dal lavoro subordinato”, in realtà


smentita da varie analisi sul mercato del lavoro192. La questione dei call


center sopra accennata è un chiaro esempio della inidoneità del nuovo


istituto introdotto dal d.lgs. 276/2003 a svolgere una funzione di


repressione delle collaborazioni che simulano la subordinazione193. Tale


esito non deve stupire. Sin dall’emanazione della nuova tipologia


contrattuale, vi è stato un ampio consenso sull’inattitudine del “progetto,


programma o fase di esso” a svolgere una effettiva capacità selettiva


della fattispecie che ne consenta una distinzione con il lavoro


subordinato. Senza contare l’inadeguatezza della disciplina prevista dagli


artt. 61 ss. del d.lgs. 276/2003 a fornire un’adeguata tutela ai


collaboratori194.


La riforma della materia potrebbe forse essere realizzata nell’ambito


di una ridefinizione generale della fattispecie lavoro subordinato, di cui si


parlerà in seguito. Peraltro, se si intendesse agire in una prospettiva


meno ampia, sarebbe necessario procedere all’abrogazione del lavoro a


progetto195. Successivamente, nell ambito dell attuale definizione dei


collaboratori continuativi e coordinati prevista dall articolo 409 c.p.c., che


non andrebbe modificata (anche perché ormai consolidata


nell’interpretazione giurisprudenziale), occorrerebbe prevedere l esistenza


di due contratti di collaborazione, uno a termine, per esigenze


temporanee, e uno a tempo indeterminato. La reiterazione dei rapporti a


tempo determinato, possibile soltanto per soddisfare necessità di lavoro


temporaneo, dovrebbe essere consentita solo entro un limite quantitativo


massimo, con obbligo, in caso di suo superamento, di utilizzare


collaborazioni senza scadenza finale196. Bisognerebbe poi prevedere il


191 Perulli 2006a, 743 ss. a cui si rinvia per una analitica ricostruzione di tutta la vicenda, ivi


compresa la recente Circolare del Ministero del lavoro e della previdenza sociale che ha


cercato di fornire linee guida per ridurre il fenomeno elusivo.


192 Cfr. retro nota 140.


193 Perulli 2006a, 743.


194 L’inidoneità della nuova fattispecie a svolgere una capacità selettiva è stata sottolineata


da Proia 2003, 666 ss.; Lunardon 2004, 21 ss.; Pedrazzoli 2004, 694 ss.; Id. 2006, 121 ss.;


Perulli 2005, 720; Id. 2006a, 741; Id. 2006b, 199 ss.; Ghera 2006b, p. 33 ss.


195 In tal senso Perulli 2006a, 748; Id. 2006b, 201.


196 Anche Perulli 2006a, 751 ritiene che si “dovrebbe prevedere un limite temporale alla


reiterazione dei contratti per evitare la possibilità di una catena a durata illimitata”. Ritengo,


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WP C.S.D.L.E. "Massimo D Antona" .IT - 51/2007


medesimo costo contributivo del lavoro subordinato per non stimolare


convenienze finalizzate ad eludere gli oneri economici della


subordinazione197 e garantire tutele adeguate per malattia, infortunio e


gravidanza più incisive di quelle attuali, oltre a riformare altri aspetti


dell attuale disciplina che si sono rivelati particolarmente lacunosi198.


Infine, a parte la possibilità di recedere nelle collaborazioni a termine


soltanto per giusta causa, il recesso del committente nei contratti a


tempo indeterminato dovrebbe essere consentito soltanto in presenza di


ragioni giustificative di carattere personale od economico, con la


previsione, in mancanza di idonea giustificazione, di un indennità


risarcitoria modulata sulla lunghezza del servizio prestato. Per evitare che


in ogni caso le collaborazioni, anche se con costi pari alla subordinazione,


stimolino fenomeni elusivi connessi all inesistenza dei vincoli normativi


propri del lavoro subordinato, sarebbe opportuno che l indennità


risarcitoria in caso di recesso ingiustificato avesse una certa consistenza


economica. Infine, la disciplina descritta dovrebbe essere prevista


soltanto per le collaborazioni effettuate in una situazione di "dipendenza


economica", stabilita in base a caratteri particolari - come ad esempio la


monocommittenza e gli altri elementi individuati dalle ricerche empiriche


prima analizzate - o ad indici economici199.


Un altro esempio di alterazione funzionale del contratto di lavoro è


quello dell’utilizzazione del lavoro temporaneo e delle collaborazioni


continuative e coordinate come strumento di incremento degli organici


nel lavoro pubblico200. In questi casi i blocchi nelle assunzioni e nel


turnover hanno indotto le P.A. ad utilizzare le forme contrattuali atipiche


come mezzo per fare fronte alle proprie esigenze ordinarie di lavoro.


peraltro, che anche il carattere temporaneo dell’esigenza giustificativa del termine debba


essere ribadito. Ed il tetto quantitativo potrebbe essere riferito sia al numero dei rapporti a


termine reiterabili che alla durata massima complessiva (con una previsione che


eventualmente preveda in alternativa i due limiti).


197 La legge finanziaria 2007, che ha innalzato l aliquota contributiva dal 18% al 23% (art.


1, comma 770, l. 296/2006) procede in questa direzione, anche se l adeguamento mi


sembra del tutto inidoneo a svolgere l effetto di deterrenza indicato nel testo, in


considerazione delle ancora notevoli diversità tra i costi della parasubordinazione e quelli


della subordinazione propriamente detta.


198 Non è possibile, in questa sede, analizzare nel dettaglio le possibili innovazioni. Si rinvia,


per un esame più dettagliato a Perulli 2006a, 747 – 748 e 751 – 752.


199 In tal senso anche Perulli 2006a, 752. In particolare, oltre alla monocommittenza ed ad


altre caratteristiche (svolgimento delle prestazioni all’interno della sede od organizzazione


del committente, limiti nella predeterminazione dei tempi di esecuzione del lavoro), mi


sembra che valore particolare dovrebbe essere attribuito al volume di affari connesso ad un


singolo cliente, che costituisce indice sicuro della “dipendenza” a volte di gran lunga


superiore agli altri.


200 Si rinvia a Cnel 2006, 110 e 60, tabella 2.11a.


IL LAVORO SUBORDINATO TRA RAPPORTI SPECIALI, CONTRATTI “ATIPICI” E POSSIBILI RIFORME 55


WP C.S.D.L.E. "Massimo D Antona" .IT - 51/2007


Inoltre, a parte le necessità oggettive dettate da espressi divieti o


limitazioni legislative nelle assunzioni (sempre finalizzate ad esigenze di


bilancio e di contenimento della spesa pubblica), “l’abuso” di questi


schemi negoziali è legato anche alla impossibilità di trasformare i


contratti atipici, anche se privi dei presupposti giustificativi, in rapporti di


lavoro stabili presso le amministrazioni. La particolare disciplina in


materia, prevista dall’art. 36, comma 2, del d.lgs. 165/2001, ha dunque


fortemente incentivato fenomeni elusivi da parte delle amministrazioni


pubbliche, nella consapevolezza che tali situazioni non avrebbero


prodotto mutamenti stabili negli organici. Va detto, tuttavia, che questa


normativa – ritenuta legittima dalla Corte Costituzionale201, sembra


essere stata messa in discussione da recenti sentenze della Corte di


Giustizia Europea in tema di contratto a tempo determinato, e queste


decisioni potrebbero determinare un cambiamento nel quadro di


riferimento complessivo202. Non vi è dubbio, comunque, che dal punto di


vista strettamente giuridico si è in presenza di un uso non appropriato di


forme di lavoro temporaneo autonomo e subordinato che contribuisce ad


alterare la struttura del sistema giuridico.


Infine si è già visto che il contratto di lavoro a termine è spesso


utilizzato per finalità “improprie” (periodo di prova, surrogato di


assunzioni stabili nel lavoro pubblico). Tuttavia le indagini empiriche


dimostrano che, a parte i contratti formativi o quello di inserimento


(quest’ultimo non molto usato)203, la ragione principale per la stipulazione


dei contratti a tempo determinato è la soddisfazione di esigenze


temporanee204. Questi dati dovrebbero sollecitare una riforma della


201 C. cost. 27 marzo 2003, n. 89, Cons. St., 2003, II, 444.


202 In realtà vi sono due sentenze di segno diverso. La prima (Corte di Giustizia Europea 4


luglio 2006, Adelener, causa C – 212/04, riferita ad una legge greca assai simile all’art. 36


del T.Tu. 165/2001), sembra sostenere la non conformità alla Direttiva 1999/70/CE sul


contratto a termine del principio secondo cui la illegittimità delle instaurazione del rapporto


di lavoro a tempo indeterminato non comporta la conversione del contratto in uno stabile


presso la p.a. ma solo il risarcimento del danno. La successiva decisione della Corte (7


settembre 2006, Vassallo, causa C – 180/04, riferita specificatamente all’art. 36 del T.U.


165/2001) sembra invece affermare la legittimità “astratta” della sanzione risarcitoria,


anche se sostiene che spetta al giudice nazionale italiano valutare se essa é "uno strumento


adeguato a prevenire e, se del caso, sanzionare l utilizzo abusivo da parte della pubblica


amministrazione di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato”.


La questione è dunque ancora aperta ed occorrerà attendere i futuri sviluppi


giurisprudenziali per comprendere se in che misura l’art. 36 del T.U. sia conforme


all’ordinamento europeo.


203 Cfr. Cnel 2006, 122, che riporta anche i risultati di altri rilevazioni da parte dell’Inps,


dell’Isfol e del Centro Studi della Confindustria. Si parla di 22.000 contratti nel secondo


semestre del 2004 e di 44.000 rapporti nel 2005 nei settori extra agricoli.


204 Si rinvia a Cnel 2006, 60, che sottolinea come il 15,7% dei rapporti a termine è utilizzato


per lavoro temporaneo (comprese le supplenze nella scuola o la sostituzione di lavoratori


56 VALERIO SPEZIALE


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disciplina vigente che escluda ogni dubbio sulla causale temporanea che


legittima l’apposizione del termine finale, visto che questa è l’esigenza


“fisiologica” soddisfatta da tale modello contrattuale. In tal senso sembra


si stia muovendo il legislatore, stimolato anche da una recente decisione


della Corte di Giustizia Europea che sottolinea il carattere strutturale, in


questo tipo di rapporto di lavoro, del requisito della temporaneità205.


Inoltre, un ruolo di impulso è svolto da una parte consistente della


dottrina e della giurisprudenza, secondo la quale l’attuale formulazione


dell’art. 1 del d.lgs. 368/2001 presuppone una causale temporanea,


anche se non mancano opinioni contrarie206.


Non vi è dubbio che la volontà del legislatore del 2001 sia stata


quella di fare del contratto a termine uno strumento per soddisfare


esigenze di lavoro stabile ed in una condizione di piena fungibilità con il


rapporto a tempo indeterminato207. Questo obiettivo, certamente non


compatibile con la direttiva europea 1999/70/CE secondo la quale il


contratto a tempo indeterminato è “la forma comune dei rapporti di


lavoro”, rispecchia l’idea, già criticamente analizzata, dell’uso dei contratti


flessibili quale strumento per bypassare i vincoli normativi del rapporto


standard e creare nuova occupazione. La riaffermazione del carattere


temporaneo del contratto, oltre a soddisfare le esigenze reali delle


imprese, servirebbe ad evitare l’ennesima utilizzazione “patologica” di un


modello contrattuale, riportandolo alla sua finalità naturale.


9. Il “lavoro” ed i “lavori” subordinati e l’art. 2094 cod.


civ.


La semplificazione delle tipologie contrattuali in considerazione


anche della loro scarsa utilizzazione nella realtà produttiva o della


duplicazione di istituti. La riduzione della segmentazione del mercato del


lavoro realizzata con diritti fondamentali comuni ai rapporti flessibili ed a


quello standard ed evitando la creazione di una possibile "competizione"


assenti, inclusa l’assenza per maternità), il 9,3% per la realizzazione di un progetto ed il


21,7% per lavoro stagionale.


205 Un ruolo importante, da tale punto di vista, mi sembra venga svolto dalla recente


sentenza della Corte del 4 luglio 2006 (Adelener: v. retro nota 202), secondo la quale


contrastano con la Direttiva europea sul contratto a termine le discipline nazionali che


consentono di reiterare i rapporti a tempo determinato con il solo limite del rispetto di


periodi di intervallo tra un contratto e l’altro. In questo modo, infatti, a giudizio della Corte, i


contratti con scadenza finale potrebbero essere reiterati molte volte ed essere destinati a


soddisfare esigenze "permanenti e durevoli", in contrasto con quella che é la finalità della


fonte comunitaria. Viene riaffermato, dunque, che il rapporto a termine non può soddisfare


esigenze di lavoro stabili.


206 V. retro gli autori citati nella nota 171.


207 Si veda, in tal senso, la Circolare ministeriale citata nella precedente nota 148.


IL LAVORO SUBORDINATO TRA RAPPORTI SPECIALI, CONTRATTI “ATIPICI” E POSSIBILI RIFORME 57


WP C.S.D.L.E. "Massimo D Antona" .IT - 51/2007


tra diversi modelli di subordinazione basata sull affievolimento degli


statuti protettivi. La introduzione di tutele nel mercato del lavoro che


garantiscano sostegno del reddito e possibilità di riqualificazione


professionale nei periodi di discontinuità occupazionale. L eliminazione


delle alterazioni funzionali che caratterizzano molti contratti atipici e la


loro riconduzione alle finalità originarie di specializzazione normativa per


soddisfare esigenze particolari delle imprese e dei lavoratori.


Quelli descritti (ed analizzati più approfonditamente nel precedente


paragrafo) sono alcuni tra gli interventi di razionalizzazione del sistema


dei contratti atipici che dovrebbero eliminare molti dei problemi oggi


esistenti. Tuttavia, i profondi mutamenti intervenuti nei sistemi economici


e produttivi e l arricchimento delle tipologie contrattuali pongono


questioni di carattere più generale che toccano il "cuore" del diritto del


lavoro e della sua finalità di tutela di soggetti giuridicamente ed


economicamente deboli. La "crisi" della subordinazione sembra muoversi


su due fronti. Uno "interno", relativo ai rapporti tra il modello standard ed


i contratti atipici. Un altro "esterno", nella relazione tra subordinazione ed


altri contratti di lavoro non subordinati che hanno caratteristiche che li


rendono più vicini al modello regolato dall art. 2094 cod. civ. o da altre


leggi speciali.


Per quanto riguarda la sfera interna dei rapporti tra contratto


standard ed altri schemi negoziali di lavoro subordinato alcune


problematiche sono state già esaminate. In questa sede è opportuno


svolgere qualche riflessione in relazione all’influenza che la varietà dei


contratti atipici può esercitare sulla nozione di subordinazione prevista


dall art. 2094 del codice civile. La questione si pone sotto un duplice


profilo. Da un lato vi è la crisi del tipo sociale a cui fa riferimento la


norma sul contratto di lavoro subordinato, identificato nel dipendente


assunto a tempo pieno ed indeterminato in una fabbrica medio grande “e


con rigorosa integrazione spazio–temporale nei confronti della


organizzazione produttiva”208. Vi è stata, infatti, la nascita di una serie di


figure professionali che si discostano nettamente dal modello standard in


relazione a caratteri essenziali (assoggettamento al potere direttivo,


coordinamento con l organizzazione del datore di lavoro, modulazione


variabile del tempo di lavoro e di non lavoro, grado di autonomia più o


meno accentuato nello svolgimento della prestazione, scissione tra


titolarità del rapporto e sua concreta utilizzazione e così via). Inoltre, vi è


stata la creazione di nuovi modelli contrattuali, con caratteristiche


specifiche relative alle discipline e/o alle modalità esecutive del lavoro,


che in parte sono finalizzati a dare veste normativa alle figure


208 De Luca Tamaio 1997, 43.


58 VALERIO SPEZIALE


WP C.S.D.L.E. "Massimo D Antona" .IT - 51/2007


professionali prima descritte (anche se non a tutte le ipotesi: basta


pensare al telelavoro). Queste innovazioni normative, con l’introduzione


di varie fattispecie diverse, pongono oggettivamente il problema se


l articolo 2094 debba essere "riletto "alla luce di tali modifiche o se non vi


sia la necessità di prendere atto dell esistenza di una pluralità di nozioni


di subordinazione, ognuna dotata di una sua specificità e di particolari


criteri di identificazione del tipo legale.


La questione ha dato vita ad una varietà di opinioni assai


differenziate. Vi è chi ritiene che tutte le nuove figure professionali


contenute nelle tipologie contrattuali "atipiche" possono in ogni caso


essere ricondotte all art. 2094 del codice civile, sottolineando alcuni


aspetti peculiari della fattispecie generale209. Alle stesse conclusioni


giungono altri autori, anche se in base a diversi percorsi interpretativi210.


Si sostiene, al contrario, che la ricchezza dei nuovi "lavori subordinati" sia


tale da configurare "un insieme articolato di tipi legali distinti (con la


possibilità) di individuare i diversi criteri di qualificazione di volta in volta


applicabili"211. Vi sono inoltre opinioni che, con diverse argomentazioni,


hanno cercato di individuare una fattispecie generale di lavoro, che


includa nel suo ambito “tutte le classi dei rapporti di lavoro" (inclusi quelli


autonomi)212, o che delineano una nuova nozione generale di


subordinazione213 o un suo “contenuto minimo”214. Queste tesi,


ovviamente, hanno un’inevitabile influenza sul problema analizzato. Il


tema è reso ancora più difficile da un’ulteriore considerazione. La


209 Ad esempio, in relazione ai contratti atipici caratterizzati da flessibilità temporale e dal


particolare rilievo del tempo di lavoro, si è detto che "la c.d atipicità non arriva ad


influenzare il connotato della subordinazione tecnico funzionale che resta perciò decisivo per


qualificare il tipo legale del contratto di lavoro ancorché modulato nel tempo” (Ghera 2006b,


194).


210 In tal senso Santoro Passarelli 1998, 64 (che avverte, peraltro, che la diversificazione


sempre più frequente delle tutele potrebbe travolgere l’unità e perciò la stessa tenuta del


tipo”); Napoli 1996, 62; Corrado 1956; Sciotti 2005, 287 ss.


211 Ichino 2000, 320 (con una tesi già espressa in precedenza: Id. 1989). Viene in sostanza


abbandonata "l idea che tutti i rapporti di lavoro nominati dalla legge come rapporti di


lavoro subordinato possano essere ricondotti ad una nozione unitaria..." (Ichino 2000, 322).


Anche D’Antona (1995) afferma che "non esiste una nozione legale generale di


subordinazione, ma diverse nozioni particolari, anche a volersi attenere a quella più ampia


contenuta nell art. 2094 Cod. Civ." (80).


212 Pedrazzoli 1998a, 444 ss. (ma già 1985), con una tesi – quella del lavoro sans phrase -


che si fonda sugli artt. 2222 cod. civ. e 409, n. 3, c.p.c. e che è stata criticata da Perulli


1998, 73 ss. Anche D’Antona parla di una categoria più ampia di contratti “connotati dalla


continuità e dal coordinamento indispensabili all’integrazione dell’attività lavorativa per i fini


unitari dell’organizzazione del datore di lavoro” in cui includere lavoro subordinato ed


autonomo con certe caratteristiche (1995, 85).


213 Gaeta 1993, 187 ss.


214 Pessi 1989, 207 ss.


IL LAVORO SUBORDINATO TRA RAPPORTI SPECIALI, CONTRATTI “ATIPICI” E POSSIBILI RIFORME 59


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valutazione dei condizionamenti esercitati dalle nuove tipologie flessibili


sull’art. 2094 determina, necessariamente, l’analisi dei caratteri costitutivi


degli indici di subordinazione e della loro “crisi” nella qualificazione della


fattispecie (in relazione a concetti quali “la direzione del lavoro”, la


“dipendenza”, la “collaborazione”, “l’inserimento nell’organizzazione


produttiva”, ecc.)215. Esame, quest’ultimo, che richiederebbe uno spazio


di approfondimento che eccede le finalità di questo saggio.


A me sembra che, a parte le ipotesi in cui vi è una evidente


"deroga" alla nozione di subordinazione prevista dall art. 2094 del codice


civile - come nel caso del lavoro a domicilio216 –, nei contratti atipici non


esiste una espressa identificazione dei criteri che connotano la natura


subordinata. In questi rapporti, infatti, la legge prevede soltanto la


definizione del modello contrattuale e la sua disciplina. Ne deriva che la


nozione contenuta nell articolo 2094 deve conservare la sua "idoneità


selettiva" al fine di determinare il carattere subordinato del rapporto e


questo a prescindere dalla sua "crisi" o dalla configurazione di vari


contratti flessibili come diversi tipi legali o semplici variazioni di un unico


modello contrattuale.


L esempio della somministrazione di manodopera può costituire


un’utile esemplificazione di quanto si sta affermando. Le caratteristiche di


questo nuovo contratto sono tali da configurare, a mio giudizio, la


creazione di un vero e proprio nuovo tipo legale217. Tuttavia, poiché si


applicano le regole generali sulla subordinazione (articolo 22, comma 1,


d.lgs. 276/03) ed in assenza di criteri di qualificazione specifica previsti


dalla legge, la natura subordinata o meno di un rapporto con un agenzia


per il lavoro dovrà essere risolto in base all articolo 2094. In questo caso,


peraltro, i criteri previsti da questa disposizione dovranno essere adattati


alle caratteristiche di un contratto che - in attesa di una missione -


presuppone una situazione di disponibilità. Oppure si dovrà tenere conto


che questo rapporto, nel suo svolgimento ordinario, è caratterizzato da


una prestazione lavorativa che si svolge sempre in un contesto


organizzativo di un soggetto diverso dal datore di lavoro e sotto la


direzione dell’utilizzatore. L’operazione di adattamento si rifletterà,


necessariamente, sui concetti di "eterodirezione", "dipendenza",


215 La bibliografia sul tema è sconfinata. Senza pretesa di completezza si rinvia a Persiani


1966; Spagnuolo Vigorita 1967; Ichino 1989; Id. 2000, 259 ss.; Pessi 1989; Pedrazzoli


1985; Ghera 2006b, 121 ss. e 205 ss.; Sciotti 2005 (che individua il nucleo minimo della


subordinazione nel potere disciplinare ed a cui si rimanda per una recente ricostruzione


delle diverse interpretazioni in materia).


216 Il riferimento è, ovviamente, all’art. 1, comma 2, della l. 877/1973. Su tale disposizione


si rinvia a Gaeta 1993, 115 ss. ed a Nogler 2000, 180 ss. sia per la ricostruzione del


dibattito che per due diverse opzioni interpretative.


217 Ho già espresso in passato questa opinione (Speziale 2004, 287).


60 VALERIO SPEZIALE


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"collaborazione" e così via, che dovranno essere rimodulati in relazione al


contenuto concreto del rapporto, che ha caratteri peculiari dissonanti da


quello standard.


Si immagini, ad esempio, che un lavoratore, dipendente con


contratto a termine ed avviato per una missione temporanea, alla


scadenza del contratto affermi che, in realtà, è stato assunto da


un agenzia per il lavoro con un rapporto a tempo indeterminato e


rivendichi, pertanto, il diritto alla indennità di disponibilità. In questo caso


l esistenza della subordinazione dovrà essere determinata in


considerazione delle peculiarità del rapporto. In assenza del vincolo della


forma scritta ad substantiam, occorrerà verificare se ed in che modo si è


formato il contratto. Inoltre, l esercizio del potere direttivo dovrà essere


individuato non in base alla concreta esecuzione del rapporto - che non


sussiste nelle fasi di mera messa a disposizione - ma in relazione al


mantenimento delle condizioni di "disponibilità", alle disposizioni connesse


all invio presso l utilizzatore per svolgere una missione, alla sottoposizione


a direttive finalizzate a consentire l eventuale formazione del lavoratore


nelle fasi di attesa e così via. Anche l esercizio del potere disciplinare o


l esistenza degli altri indici di subordinazione dovrà essere valutato in


coerenza con le peculiarità del contratto.


Analoghe considerazioni potranno essere svolte per il distacco, dove


il potere direttivo del datore di lavoro si manifesta nel disporre che il


lavoratore svolga le sue prestazioni temporaneamente a favore di un


terzo, che poi, di fatto, eserciterà il potere di coordinamento


organizzativo e temporale. Anche nel lavoro intermittente, le


caratteristiche specifiche della prestazione potranno influenzare il giudizio


sulla "dipendenza" e sui caratteri dell’art. 2094218. In questa ipotesi,


qualora si contesti il carattere flessibile del rapporto, occorrerà dimostrare


che il lavoro si è svolto con continuità - oltre il limite delle prestazioni di


carattere discontinuo o intermittente - con una valutazione che riguarderà


l esercizio del potere direttivo e di coordinamento temporale della


prestazione, la forma della "collaborazione" o dell’"inserimento" in


azienda e così via. In altri casi (come ad esempio il lavoro a termine) le


peculiarità del contratto non determineranno modifiche nei criteri di


qualificazione, oppure, in ipotesi ulteriori, imporranno una particolare


accentuazione di un carattere rispetto ad un altro (in relazione, ad


esempio, all’inserimento nell organizzazione, alla diminuzione


218 In questo senso si muove l’opzione interpretativa proposta dalla Sciotti, che effettua una


vera e propria operazione di adattamento degli indici della subordinazione nei rapporti di


lavoro “flessibili”, pur nell’ambito della valorizzazione dell’elemento fondamentale (da lei


individuato nel potere disciplinare) (2005, 290 ss., in relazione a somministrazione,


distacco, lavoro ripartito, intermittente, ecc).


IL LAVORO SUBORDINATO TRA RAPPORTI SPECIALI, CONTRATTI “ATIPICI” E POSSIBILI RIFORME 61


WP C.S.D.L.E. "Massimo D Antona" .IT - 51/2007


dell’importanza qualificatoria assunta dell eterodirezione o dal


coordinamento tecnico temporale è così via).


L elasticità dell art. 2094 e la “tenuta” della sua definizione (che


“mantiene la sua efficienza interpretativa”219), oltre alla flessibilità


nell uso degli indici di subordinazione che è propria della giurisprudenza


sembrano dunque essere in grado di risolvere il problema che si sta


analizzando220. È vero che in alcuni casi la pluralità di tipologie flessibili è


in grado di sottoporre l art. 2094 a forti "tensioni" nel suo contenuto.


Tuttavia la norma, pur con difficoltà ed in base ad un interpretazione che


selezioni e adatti i caratteri identificativi della subordinazione alle diverse


ipotesi concrete, sembra essere in grado di svolgere una positiva funzione


di qualificazione del contratto "interna" all universo “frantumato” del


lavoro subordinato221.


D altra parte, in assenza di una nozione di subordinazione specifica


per ogni nuovo modello di lavoro flessibile, in questo momento non vi


sono altre alternative - per qualificare il rapporto nell ambito della


subordinazione – se non l utilizzazione dell articolo 2094 del codice civile,


il cui contenuto dovrà essere adattato alle caratteristiche peculiari di


ciascun contratto atipico, in coerenza con quanto in precedenza


analizzato. Discorso diverso è quello dell’eventuale “incapacità” dell’art.


2094 di cogliere tutte le novità che scaturiscono dalla realtà produttiva e


di selezionare i caratteri costitutivi con cui si manifesta oggi il vincolo di


subordinazione e, quindi, dell’opportunità o meno di una nuova nozione di


subordinazione che sia capace di “catturare” queste innovazioni. Questo


problema, per ovvi motivi, non può essere affrontato in questa sede.


219 Ghera 2006b, 155. In senso analogo Ferraro 1998, 485 ss. (che conferma l’attualità


dell’art. 2094 nel definire la subordinazione anche in presenza di mutamenti sociali ed


organizzativi di grandissimo rilievo).


220 Per l’analisi dei procedimenti di qualificazione effettuati dalla giurisprudenza –


caratterizzati da notevole elasticità e fondati su un giudizio di “approssimazione” e di


“prevalenza” – si rinvia, per tutti, a Lunardon 1990, p. 403 ss.; Menghini 1998, 147 ss. e,


più recentemente, a Sciotti 2005, 45 ss. ed a Ghera 2006b, 138.


221 Non è possibile esaminare il problema se questa funzione selettiva dell’art. 2094 c.c.


debba essere realizzata utilizzando il metodo sussuntivo o quello tipologico (nella duplice


versione “classica” o “funzionale”). Si tratta, infatti, di questione che richiederebbe un


approfondimento incompatibile con le finalità del presente saggio. Per un’analisi delle


diverse opzioni è utile rinviare a Nogler 1990, 182 ss.; Id. 1991, 107 ss.; Id. 2000, 475 ss.;


Id. 2002, 109 ss.; Proia 1997; Id. 2002, 87 ss. (a cui si rimanda per ulteriori indicazioni


bibliografiche sui fautori delle varie tesi). Mi sembra, peraltro, che la giurisprudenza utilizzi


“un metodo empirico di tipo induttivo o per approssimazione, cioè tipologico” (Persiani


2005, 7. In tal senso anche Ghera 2006b, 138 ss.) e che questo metodo, particolarmente


nella sua versione “funzionale” (Nogler 2000, 475 ss. e gli altri lavori sopra citati), sia


particolarmente utile per consentire le operazioni di adattamento sopra indicate.


62 VALERIO SPEZIALE


WP C.S.D.L.E. "Massimo D Antona" .IT - 51/2007


10. Dal lavoro ai lavori: il dibattito sulla riforma della


fattispecie e lo statuto dei lavori


Il più forte fattore di crisi della subordinazione, peraltro, viene


individuato nella sua sfera "esterna" e nel rapporto con altre tipologie


contrattuali che non hanno natura subordinata. Il dibattito si svolge ormai


sin dagli anni ‘80 ed ha trovato uno dei suoi momenti più elevati in un


famoso convegno poi confluito in un importante volume dal titolo


significativo (Lavoro subordinato e dintorni. Comparazioni e


prospettive)222. Da allora la discussione non si è mai sopita ed anzi si è


ulteriormente arricchita con la formulazione di numerose proposte di


legge. L idea è quella di fornire tutela a coloro che operano nella "zona


grigia" tra lavoro autonomo e subordinato ed anche a quelli che sono


impiegati con le forme di lavoro atipico o flessibili223.


La quantità e complessità delle proposte e la loro stessa


disomogeneità (alcune sono riflessioni scientifiche, altre sono confluite in


veri e propri articolati normativi o disegni di legge), impongono una


necessaria operazione di sintesi. Se si considerano le idee di fondo che


sono alla base del dibattito, si può affermare che nell ultima decade


emerge il consolidarsi di due approcci al tema: il primo, quello che ha


raccolto maggiori consensi, è rappresentato dalla rimodulazione delle


tutele. Il secondo è caratterizzato dal recupero di una assoluta centralità


ed egemonia del modello lavoro subordinato.


La proposta che valorizza il ruolo egemonico del lavoro


subordinato224 interviene in primo luogo sulla disciplina dei contratti


222 Il libro, a cura di M. Pedrazzoli, è stato pubblicato dalla casa editrice “il Mulino” (Bologna)


nel 1989.


223 Brevemente, nel 1998 si contavano già dodici “materiali” (Pedrazzoli 1998b, 11), e


precisamente: quattro proposte di legge provenienti dal “Coordinamento Giuridico CGIL”


(tutte reperibili in Ghezzi 1996) di cui due limitate a specifici rapporti di lavoro (una di Garilli


sui lavori socialmente utili ed un’altra di Roccella sui rapporti atipici tradizionalmente intesi,


ossia contratto a termine, contratto a tempo parziale e contratti con finalità formative) e


altre due, di Alleva e di D’Antona, con l’orizzonte più generale di “ridefinizione della


fattispecie contratto di lavoro”, sulle quali si tornerà infra. Vi erano inoltre tre proposte


provenienti dalla dottrina, una di De Luca Tamajo, Flammia e Persiani, un’altra di Ichino, ed


un’altra altra -sulla quale si tornerà ampiamente- nota come Statuto dei Lavori. Infine,


erano stati presentati cinque disegni di legge parlamentari (di cui due relativi al solo


telelavoro), tra cui quello più noto, a firma di Smuraglia e altri. Tra gli altri materiali che si


sono successivamente aggiunti nel corso del tempo vanno segnalate le varie proposte


relative allo Statuto dei lavori e quelle della Cgil, di cui si parla nel testo.


224 Si tratta del progetto di legge dal titolo “Nuove norme per il superamento del precariato


e per la dignità del lavoro, presentato in Parlamento l’8 febbraio 2007 ed il cui testo è


pubblicato in Riv. Giur. lav. 2006, I, p. 962 ss. Il documento ripropone un progetto già


presentato (Proposta di legge di iniziativa popolare promossa dalla Cgil sulla estensione dei


IL LAVORO SUBORDINATO TRA RAPPORTI SPECIALI, CONTRATTI “ATIPICI” E POSSIBILI RIFORME 63


WP C.S.D.L.E. "Massimo D Antona" .IT - 51/2007


flessibili in generale225 e stabilisce inoltre la soppressione della categoria


delle collaborazioni continuative e coordinate, che vengono riunificate


nella subordinazione. L articolo 2094 c.c. viene riscritto, con il


superamento della centralità del criterio della eterodirezione,


tradizionalmente usato dalla giurisprudenza per individuare la fattispecie.


Questo elemento viene sostituito con quello della "doppia alienità", dei


mezzi di produzione e del risultato utile della stessa, che


contraddistinguerebbe la condizione del lavoratore226. A questa nuova


super subordinazione, comprensiva anche delle collaborazioni coordinate


e continuative (con l abrogazione del lavoro a progetto), si


applicherebbero tutte le tutele previste per il lavoro subordinato.


La proposta solleva questioni teoriche assai complesse che non


possono essere qui analizzate approfonditamente. Essa, in qualche


misura, nella sua equiparazione tra lavoro autonomo coordinato e


subordinazione sembra riflettersi nelle caratteristiche della maggior parte


delle collaborazioni continuative, che le indagini empiriche dimostrano


essere effettuate in condizioni tipiche del lavoro subordinato227. Inoltre la


svalutazione dell eterodirezione sottolinea un dato che è proprio di molte


forme di lavoro oggi eseguite ai sensi dell’art. 2094 c.c.228. A parte


diritti dei lavoratori del marzo 2003, consultabile in


http://www.unicz.it/lavoro/BN10052004.htm.) ed aggiornato alla situazione attuale.


225 In particolare, essa prevede l’abrogazione del d.lgs. 368/2001 e di larga parte del d.lgs.


276/2003 e la contestuale riscrittura delle regole in tema di lavoro a termine,


somministrazione, appalti, trasferimenti ecc.


226 L’art. 1, c. 1 della proposta afferma che “con il contratto di lavoro … il lavoratore si


obbliga … a prestare la propria attività intellettuale o manuale in via continuativa all’impresa


o diversa attività organizzata da altri, con destinazione esclusiva del risultato al datore di


lavoro…”. Cfr. più ampiamente il testo della relazione di accompagnamento (in Riv. Giur.


Lav. 2006, I, 948). È stato affermato che, traendo insegnamento da indicazioni fornite dalla


Corte Costituzionale (sent. n. 30/1996), proprio la doppia alienità dovrebbe essere


considerata “‘subordinazione in senso stretto’ o ‘dipendenza’ che dir si voglia”: in altri


termini, la dipendenza costituirebbe “l’elemento di qualificazione del tipo contrattuale”,


mentre la tradizionale eterodirezione andrebbe “collocata più propriamente sul piano degli


effetti” (così Roccella 2004, 40).


227 Si rinvia retro al § 8, testo e nota 186.


228 Si rinvia, sul punto e per tutti, a Reyneri 2006a, 5 – 6 e 2006b, 573, il quale sottolinea


che “ i giuslavoristi, che hanno costruito i canoni della loro disciplina quando dominava il


taylorismo, hanno probabilmente dato eccessivo rilievo alle eterodirezione come criterio per


definire la natura dipendente di un rapporto di lavoro..... Per quanto riguarda la prestazione


lavorativa, è indubbio che siano sempre di più i lavoratori che, pur con un rapporto


dipendente, hanno una piena autonomia non solo nell esecuzione, ma anche nella


definizione dei propri compiti, poiché nelle organizzazioni private e pubbliche va crescendo il


numero dei lavoratori della conoscenza . Tuttavia, costoro rimangono dipendenti


dell organizzazione in cui sono inseriti e sono privi di ogni autonomia economica. Anzi, la


flessibile tecnologia informatica accresce la possibilità che la gerarchia eserciti stringenti


controlli sulle scadenze dei loro compiti”.


64 VALERIO SPEZIALE


WP C.S.D.L.E. "Massimo D Antona" .IT - 51/2007


qualche enfasi sull’irrilevanza della eterodirezione229, tuttavia la proposta


si espone ad alcune critiche. Essa potrebbe, innanzitutto, aggravare


fenomeni di elusione da parte dei datori di lavoro230. Questa riforma


inoltre esprime una tendenza "omologante" che in qualche misura si


scontra con la possibilità di forme di collaborazioni autonome coordinate


di carattere genuino e che non sono caratterizzate da dipendenza


economica, che in definitiva costituisce l unica ragione che legittima la


tutela estensiva231. Infine l unificazione in una sola figura svaluta elementi


differenziali tra le tipologie contrattuali che tuttora esistono, come il


maggior grado di autodeterminazione dei tempi di lavoro che caratterizza


le prestazioni di collaborazione autonoma e tende quindi ad “appiattire”


differenze che rispecchiano esigenze diverse delle imprese e dei


lavoratori232.


La prospettiva di una rimodulazione delle tutele ha avuto, rispetto a


quella descritta, maggiori adesioni. Questa idea è stata declinata in modi


diversi233. Vi è stata, ad esempio, la proposta di creare una nuova


tipologia contrattuale (il lavoro coordinato), intermedia tra autonomia e


subordinazione, e che avrebbe avuto la funzione di contenitore di una


serie di rapporti, tra i quali le collaborazioni coordinate e continuative234.


229 La proposta prevede che la eterodirezione costituisce una semplice modalità esecutiva


della prestazione e che la pattuizione del non assoggettamento del lavoratore al potere


direttivo non comporta l’esclusione delle discipline proprie del lavoro subordinato (art. 2). In


effetti questa disposizione appare superflua se si considera che nella “nuova” definizione


dell’art. 2094 c.c. (contenuta nell’art. 1) non si fa alcun riferimento alla eterodirezione come


connotato qualificativo del contratto di lavoro e che, quindi, la sua espressa esclusione


sarebbe del tutto irrilevante, perché la soggezione al potere direttivo non connota più la


fattispecie.


230 V. Treu 2004, 197.


231 Vi potrebbe infatti essere un soggetto che svolga un lavoro altamente qualificato sotto


forma di collaborazione continuativa e che non ha alcun bisogno delle tutele del lavoro


subordinato per la sua “forza” economica o per la professionalità che è in grado di fornire.


232 La maggiore autonomia anche temporale dell effettuazione del lavoro subordinato


(conseguente alle recenti innovazioni tecnologiche e produttive) non è tale da escludere che


in molte situazioni il coordinamento temporale esercitato dal datore di lavoro può assumere


un rilievo assai superiore a quello tipico delle collaborazioni autonome continuative, in cui


tale coordinamento può esplicarsi in forme più affievolite. E questa differenza rispecchia


esigenze proprie sia dei lavoratori che delle imprese.


233 Va ricordata anche una versione estrema di ridistribuzione delle tutele dal lavoratore in


quanto tale al lavoratore come cittadino, ovvero avendo a riferimento non più lo status di


lavoro ma quello di “cittadinanza operosa” (cfr. per tutti Romagnoli 1998). Si veda anche


Treu 2004, 198-199, che critica questa proposta in quanto deresponsabilizzerebbe il diritto


del lavoro che finirebbe “per perdere i contatti con quel mercato del lavoro che invece


richiede di essere governato con strumenti specifici”.


234 Cfr. De Luca Tamajo, Flammia, Persiani 1996: dentro l’area del lavoro coordinato


sarebbero potuti confluire “una serie di rapporti che implicano una elevata interdipendenza


(o integrazione funzionale) tra la prestazione lavorativa e un’attività imprenditoriale, ma che


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Si è obiettato che in questo modo si proseguiva sulla strada della


moltiplicazione dei tipi contrattuali235, anche se questa considerazione


potrebbe essere estesa ad altre proposte236.


L idea della rimodulazione delle tutele è stata oggetto delle


elaborazioni di una disciplina del lavoro sans phrase o senza aggettivi237.


Le tecniche utilizzate e gli esiti sono parzialmente diversi238. In ogni caso,


queste proposte mirano a "depotenziare" la distinzione tra autonomia e


subordinazione, per risistemare tutti i rapporti di lavoro (autonomi o


"atipici") lungo un continuum239 che, partendo da un minimo di tutele per


tutti i lavoratori, le estende gradualmente sino a quelle proprie della


subordinazione. In questo ambito si muove la proposta della Carta dei


non sono sussumibili senza residui nelle categorie dell’autonomia o della subordinazione in


senso stretto” (85, corsivo nostro). Il presupposto della proposta, quindi, è quello


dell’insufficienza della dicotomia lavoro autonomo-lavoro subordinato a contenere la realtà


dei rapporti di lavoro (cfr. Pedrazzoli 1998b).


235 Treu 2004, 194.


236 E’ questo il caso della proposta sulla riformulazione dell’art. 2094 già criticata. Ed anche


la Carta dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori (v. infra) prevede una nuova definizione di


lavoratore economicamente dipendente (art. 17, in Riv. Giur. Lav. 2006, 933).


237 La prospettiva del lavoro sans phrase o senza aggettivi sono quelle di Pedrazzoli (1998a


e 1998b), di D’Antona (1995 e 1996), Alleva (1996) e di Ichino (1996). La proposta di


Ichino prevede la definizione di una fattispecie ampia di lavoro dipendente, comprensiva


anche di parte del lavoro autonomo. Si è obiettato che, in definitiva, essa realizzerebbe “una


parificazione verso il basso delle discipline … che – in nome di una “concorrenza” tra i due


sistemi finalizzata al turn-over tra insiders e outsiders – sfiora la loro perfetta


omologazione” (Perulli 1998, 77). La proposta di Pedrazzoli, invece, è di pervenire


all’individuazione del lavoro sans phrase semplicemente in via di interpretazione degli artt.


2222 c.c. e 409 c.p.c., i quali conterrebbero una nozione di attività lavorativa già


comprendente tutte le attività umane dotate di rilevanza sociale. Contra, nel senso che si


tratterebbe di una interpretazione manipolativa del dato normativo, cfr. Perulli 1998, 87.


238 La proposta Alleva individua anzitutto il lavoro sans phrase, inteso come quello che


“realizza … le condizioni minime di una collaborazione lavorativa” (Alleva 1996, 188) e


definito dall’art. 1 della proposta di legge (riportata in Ghezzi 1996, 191 ss.). Questa


fattispecie corrisponde, grosso modo, al lavoro parasubordinato, e ad essa vengono


attribuite una serie consistente di tutele, tra cui il diritto ad una retribuzione conforme ai


principi di cui all art. 36 Cost., la tutela dell integrità fisica e della professionalità morale e


connessa al lavoro ecc.. Quindi si prevede per le parti la possibilità di stipulare, anche


tacitamente, un patto d inserimento del lavoratore nell organizzazione dell impresa


datoriale, dal quale deriva l applicazione di tutte le tutele del lavoro subordinato


tradizionale, ivi compresi, logicamente, anche quelle riconosciute alla lavoro sans phrase. La


proposta D’Antona (1996) individua anzitutto il lavoro “senza aggettivi”, formula ampia


comprensiva di una serie di contratti di lavoro, tra cui in primis quello parasubordinato. A


questa tipologia di lavoro - al quale viene equiparato quello prestato in base a contratti


associativi - trovano applicazione tutele minime, meno estese di quelle previste dalla


proposta Alleva per il lavoro sans phrase. Le protezioni normative forti vengono lasciate al


lavoro subordinato individuato mediante una serie di presunzioni.


239 Alleva 1996, 188.


66 VALERIO SPEZIALE


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diritti delle lavoratrici e dei lavoratori240, che sembra avere i consensi


maggioritari241. La Carta prevede tre livelli di tutele: il primo comprende


quelle generali e di base per tutte le forme di lavoro242. Il secondo livello


prevede tutele specifiche per il lavoro "economicamente dipendente", che


si aggiungono a quelle di base, mentre infine il terzo livello regola la


disciplina più forte, che include quelle precedenti e che si applica solo in


caso di lavoro subordinato. Lo scopo evidente è quello di scoraggiare l uso


fraudolento delle collaborazioni coordinate e continuative che, nella Carta


dei diritti, vengono comprese nella nozione di "dipendenza economica".


Inoltre "un approccio graduato alle tutele sdrammatizza la questione


definitoria"243 relativa alla creazione legislativa di definizioni necessarie


per imputare le tutele.


A parte le considerazioni critiche già svolte, tutte le proposte


descritte presentano possibili obiezioni o controindicazioni che non


possono essere qui analizzate. A me sembra, peraltro, che, almeno per


quanto riguarda la realtà italiana, il problema del lavoro autonomo


dipendente non sia tale da richiedere interventi di riforma così radicali


come quelli sopra delineati. Il dibattito così ricco ed intenso che si è


svolto in passato nasce da una sopravvalutazione del fenomeno che, dopo


le correzioni effettuate dall Istat, è certamente diffuso ma non ha quella


importanza qualitativa e quantitativa che si credeva in passato244. Le


240 Si tratta del disegno di legge n. C104 del 28 aprile 2006. Il testo e la relazione di


accompagnamento, pubblicati in RGL, 2006, I, 921 ss., riprendono pedissequamente i


contenuti della Carta dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori espressi nel d.d.l. n. 1872 del


4 dicembre 2002. La prima proposta di Statuto dei lavori risale al 1998 (cfr. Biagi,


Tiraboschi 1999, 581).


241 In effetti, anche nell’ambito della “Commissione di Studio per la definizione di uno


«Statuto dei lavori»”, nominata dal Ministro del Lavoro nella scorsa legislatura (composta da


quasi trenta membri, per lo più rappresentanti del mondo accademico, e presieduta da


Michele Tiraboschi), anche se non si è raggiunta una proposta unitaria (perché la


Commissione si è limitata a dar vita a “diverso materiale … nella forma delle linee guida e


degli spunti progettuali e, talvolta, anche del vero e proprio articolato normativo”), “l’ipotesi


di lavoro che ha registrato il maggiore consenso è stata quella di far convergere in un unico


testo normativo le «Bozze Biagi» e la «Carta Amato-Treu», ovviamente con i dovuti


aggiornamenti resi necessari dalla imponente evoluzione del quadro normativo di


riferimento” (tutte le citazioni sono tratte dalla relazione conclusiva della Commissione del


19 marzo 2006, il cui testo è reperibile alla pagina internet


http://www.csmb.unimo.it/modules.php?name=Encyclopedia&op=content&tid=162).


242 Si tratta di diritti fondamentali con valenza interprivata, quali la dignità e libertà di


manifestazione del pensiero, la salute e sicurezza sul lavoro, ecc.; diritti azionabili sul


mercato del lavoro, quali efficaci servizi per l’impiego e idonei incentivi all’occupazione, ecc.;


il diritto alla sospensione dell’attività lavorativa ed a forme adeguate di sostegno in caso di


infortunio, malattia, ecc.; il diritto a un equo compenso e ad un equo trattamento


pensionistico; il diritto al preavviso in caso di recesso; diritti sindacali di base.


243 Treu 2004, 201


244 Si vedano i dati citati retro nel § 8 testo e le note 188 e 189.


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situazioni patologiche, che certamente esistono (come nel caso dei call


center) (si veda il § 8) devono essere represse, anche perché esse spesso


si manifestano con forme tipiche del lavoro subordinato245. In ogni caso il


problema dei rapporti che si collocano nella cosiddetta "zona grigia" tra


autonomia e subordinazione può essere risolto con l introduzione di una


disciplina meno ambiziosa, ma non per questo di minor efficacia.


Ho già indicato delle ipotesi di riforma, che, tra l altro, hanno il


vantaggio di evitare l introduzione di nuove definizioni di carattere


generale che aprirebbero ulteriori controversie interpretative. Mentre, al


contrario, occorrerebbe specificare il concetto di "dipendenza economica"


ed agire sui costi e sulle tutele normative secondo le linee guida già


descritte (si veda il § 8). In tale ambito particolare rilievo dovrebbe


essere dato alla protezione in tema di recesso sia nel rapporto a termine


che in quello senza scadenza finale, evitando di introdurre discipline


"deboli" come quelle contenute nella Carta dei diritti delle lavoratrici e


lavoratori246. Infatti, a parte la remunerazione della prestazione - che


dovrebbe essere parametrata ai minimi della contrattazione collettiva - ed


agli oneri contributivi, il maggior deterrente nei confronti dei contratti di


collaborazione fittizi è dato proprio dalle conseguenze economiche


connesse ad un recesso ingiustificato. Ed in questo caso il risarcimento,


che dovrebbe avere una certa consistenza, dovrebbe essere modulato in


particolare sulla potenzialità economica del committente, senza


necessariamente usare soltanto il requisito dimensionale, che non sempre


é un indice attendibile247.


Se poi il lavoro autonomo di seconda generazione acquista un rilievo


ben superiore a quello attuale, in coerenza con una tendenza che sembra


più accentuata in Europa248, sono forse ipotizzabili proposte di riforma di


più vasta portata. Mi sembra tuttavia che le innovazioni prima indicate


dovrebbero essere in grado di garantire le esigenze di tutela del lavoro


autonomo dipendente e di evitare le convenienze economiche che oggi


245 Si rinvia, proprio in relazione ai call center, alle osservazioni di Perulli 2006a, 743 ss., il


quale sottolinea che le prestazioni ivi effettuate hanno i caratteri tipici del lavoro


subordinato e che “l’indagine comparata ci dimostra che proprio la subordinazione


rappresenta il regime giuridico di gran lunga più diffuso nei paesi europei”.


246 Va detto, peraltro, che in calce al documento pubblicato sulla Rivista Giuridica del


Lavoro, si afferma che “il testo si trova in attesa di stampa definitiva poiché è in corso una


revisione da parte degli estensori” (2006, I, 921). Revisione che potrebbe comportare anche


la riforma di questa parte da me criticata.


247 E’ questo, al contrario, l’unico criterio utilizzato nella versione attuale della Carta dei


diritti per commisurare l’indennizzo a favore del lavoratore nel caso di recesso ingiustificato.


248 Nel documento della Commissione Europea del novembre 2006, si afferma che lavoratori


autonomi, nel 2005, erano pari al “15% del totale della forza lavoro. Coloro che lavorano


per conto proprio, senza l’assistenza di lavoratori dipendenti rappresentano il 10% dei


lavoratori nell’UE- 25” (Commissione 2006, 8 – 9).


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stimolano l utilizzazione impropria delle collaborazioni coordinate e


continuative. In sostanza, una nuova regolazione delle collaborazioni


autonome nel senso prospettato – e superando le aporie e contraddizioni


del lavoro a progetto – dovrebbe essere sufficiente a soddisfare le


esigenze provenienti dalla realtà produttiva, senza necessità di una


riforma globale dei “lavori”, che potrebbe forse aprire più problemi di


quanti ne vorrebbe risolvere.


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