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   lunedì 2 luglio 2007

LA RAPPRESENTATIVITÀ SINDACALE



La rappresentatività sindacale



Sommario: 1. Rappresentanza e rappresentatività. 2. Analogie e differenze della rappresentatività con la rappresentanza politica, legale ed organica. 3. La nozione di rappresentatività 4. Un mondo particolare anche per la rappresentatività: il pubblico impiego



1. Rappresentanza e rappresentatività



Nei sistemi democratici moderni la partecipazione della collettività, genericamente intesa, alla gestione del potere, è esercitata attraverso il meccanismo della rappresentanza. Ciò vuol dire che le decisioni sono assunte non da tutti, ma semplicemente, a parte i casi di democrazia diretta, da quelle persone che sono designate - di regola attraverso una procedura elettorale - a questo compito. In altre parole, la forma di democrazia che si applica è quella della democrazia rappresentativa.(1)


Un fenomeno pressoché analogo si realizza nelle collettività ristrette. I gruppi della stessa categoria professionale per esternare e cercare di imporre i propri interessi specifici, anch’essi, utilizzano il meccanismo della rappresentanza.


Il rappresentante viene designato come portavoce del gruppo, il quale, di regola, appartiene alla stessa categoria, per rappresentare gli interessi comuni.


Questa é anche l’esperienza del sindacato.


L’organizzazione dei lavoratori rappresenta gli interessi collettivi della categoria, il che non vuol dire che questi coincidano con l’insieme degli interessi dei singoli.(2)


La rappresentanza degli interessi è il risultato di un complesso, e peraltro necessario, passaggio da una iniziale rappresentanza di volontà che nel tempo ha subito un graduale e continuo mutamento. Con i profondi cambiamenti che il mondo del lavoro ha subito a partire dagli anni ’70 (si pensi alla crisi economica, alla trasformazione dei settori produttivi, al decentramento, ecc.) il sindacato si è trovato incapace di affrontare tempestivamente le problematiche inerenti le nuove emergenti tipologie di lavoratori. Invero, non a caso si è assistito alla nascita di nuove formazioni portatrici di interessi differenziati o trasversali, rispetto a quelli rappresentati dagli organismi confederali. Per meglio esprimere gli interessi del gruppo si è fatto ricorso al nuovo concetto della rappresentatività.(3)


Per la verità, di novità non si tratta, tanto è vero che storicamente è possibile trovare già questo termine nel trattato di Versailles, par. 3, art. 389; e inoltre, per rimanere nell’esperienza italiana, il termine “rappresentativo” è stato utilizzato nel passato per selezionare i sindacati facenti parte di determinati organismi (comitati, commissioni).


Nel settore del lavoro pubblico, invece, il concetto di sindacato maggiormente rappresentativo è comparso per la prima volta nella legge 29 marzo 1983 n. 93, (legge quadro sul pubblico impiego) In particolare l’art. 25, dettato dal legislatore sulla falsariga della legge 20 maggio 1970, n. 300, selezionava gli organismi rappresentativi dei dipendenti pubblici.


Del concetto di rappresentatività è d’obbligo verificare quali siano i rapporti con la rappresentanza.


C’è da chiedersi se il potere rappresentativo in capo al sindacato è un potere che comunque ha dei fondamenti nella logica della rappresentanza o se, invece, si tratti di una forma di potere distinto da quest’ultima. In altre parole, il sindacato può essere rappresentativo senza che tra i rappresentanti e i rappresentati vi sia un rapporto giuridico di rappresentanza?


Prima di entrare nel problema, è opportuno stabilire come viene attribuita ad una organizzazione il potere di rappresentare i lavoratori. La risposta è un problema di diritto positivo. Infatti, è la legge che attribuisce i vari poteri ai sindacati rappresentativi, i quali partecipano alla disciplina dei rapporti di lavoro dei lavoratori.(4)


La legge assume dunque il ruolo di fonte della rappresentatività; ad essa spetta la funzione di individuare i sindacati rappresentativi e disciplinarne il potere di rappresentazione che ad essi viene attribuito.


Ciò non vuol dire che il legislatore è completamente libero di scegliere questo piuttosto che quel sindacato, attribuendogli la rappresentatività di un gruppo, solo sulla base di valutazioni politiche che prescindono delle indicazioni dello stesso (i lavoratori).(5) Se così fosse, ciò comporterebbe una violazione dei più elementari principi democratici, in cui il “rappresentante” ha la principale caratteristica di godere della fiducia di chi rappresenta.(6)


In altri termini, nella designazione degli organismi rappresentativi dei lavoratori, si deve necessariamente tenere conto del loro consenso.


E qui, si mette in evidenza un punto di comunanza della rappresentatività con la rappresentanza. In quest’ultima, infatti, il rappresentante abbisogna di un atto di consenso da parte del rappresentato, cioè deve essere investito da parte di questo di un mandato. Parte della dottrina (7), ritiene che il mandato si collochi solo in una parte del rapporto tra rappresentante – rappresentato, nella parte ascendente, e vale a dire, in quella che attiene ai diritti e poteri dei rappresentati verso i rappresentanti.


Appare naturalmente chiaro, senza che ci sia bisogno di soffermarsi sul punto, che la rappresentatività è assolutamente diversa dalla rappresentanza volontaria: nella seconda si trovano elementi (contemplatio domini e agire nell’interesse altrui) che non sono presenti nella prima. Il sindacato agisce, infatti, in nome proprio e per l’interesse collettivo, che difficilmente coincide con quello dei suoi membri, anzi è senz’altro un interesse diverso, che addirittura può, in determinate occasioni, agire contro singoli interessi di appartenenti al gruppo.


L’elemento rappresentativo del sindacato e il suo potere di gestire situazioni in capo ai rappresentati fanno sì che comunque la rappresentatività venga ricondotta, con le differenze già viste, all’istituto giuridico della rappresentanza intesa in senso lato.(9)




2. Analogie e differenze della rappresentatività con la rappresentanza politica, organica e legale.



Il rapporto rappresentante – rappresentato, analizzato da un’angolatura sociologica, rileva sotto certi aspetti diversi punti in comune con la rappresentanza politica.(10)


Elementi di somiglianza sono rilevabili prima di tutto nella investitura. Infatti, anche se nel sistema sindacale essa si manifesta attraverso l’iscrizione - e ora, nel settore pubblico come previsto dal d.lgs. 4 novembre 1997, n. 396, ai fini della rappresentatività, anche attraverso l’esercizio elettorale con la partecipazione di tutti i lavoratori – e detta iscrizione al sindacato, equivale ad una forma sostitutiva e funzionale del voto.(11)


Altro elemento in cui i due istituti si avvicinano è la verifica del mandato; nella rappresentanza politica con nuove elezioni, anche prima della scadenza della legislatura: se il Presidente della Repubblica rileva che non viene rispecchiata la volontà degli elettori, scioglie, infatti, le camere. Così, in quella sindacale, le manifestazioni di dissenso dei lavoratori possono comportare la revoca del mandato per gli iscritti e l’invito a dimettersi da parte di tutti i lavoratori.(12)


Accanto a punti di contatto tra la rappresentanza politica e quella sindacale si possono evidenziare anche elementi di differenziazione. Tra tanti, quelli più rilevanti sono due: il primo, assolutamente irriducibile, è nel potere di governare del rappresentante politico, che non è ravvisabile nel sistema sindacale. Il sindacato rappresentativo è titolare solo del potere di rappresentare i lavoratori nelle negoziazioni con la parte datoriale (e in alcuni casi con il Governo)(13). L’altra importante differenza è quella che la rappresentanza sindacale è rappresentanza di interessi (collettivi), che non è riconducibile (14) a quella politica. Per altra parte della dottrina(15) quest’ultima distinzione appare molto problematica da individuare nel concreto, e pertanto ritenuta non particolarmente indicativa.


E’ stato detto che la rappresentatività trova il suo fondamento nella legge, in quanto fonte di attribuzione e di regolamentazione dei poteri connessi.


Ciò è anche per la rappresentanza legale, in questa, infatti, è il legislatore che con apposita regolamentazione attribuisce la rappresentanza di determinati soggetti ad altri. A parte questa si rilevano però pochi altri elementi di analogia. In particolare l’attribuzione della rappresentanza legale viene utilizzata per la tutela di interessi, o meglio ancora diritti individuali, e non collettivi e inoltre i soggetti rappresentati sono in una situazione di “soggezione” senza che possano manifestare alcunché (con le opportune garanzie: p. es. per l’interdetto è vero che il rappresentante legale dispone nei suoi confronti, ma sotto la sorveglianza del giudice tutelare).


Un’altra forma di rappresentanza, tipica del diritto amministrativo, che si avvicina alla rappresentatività sindacale, è quella organica. Anche qui, accanto a indiscussi collegamenti si affiancano diverse difformità: il riconoscimento della personalità giuridica da un lato e il sindacalismo di fatto dall’altro, e ancora in merito all’attività compiuta dal rappresentante e direttamente imputata alla persona giuridica, nella rappresentanza organica si esercita attraverso un organo, mentre in quella sindacale essendovi più sindacati vi è una pluralità di rappresentanti.


In definitiva si possono trovare molti elementi in comune tra la rappresentatività sindacale e altre forme di rappresentanza, ma con nessuna di esse è identificabile, e allora deve necessariamente essere qualificata come una forma di rappresentanza completamente a se stante con proprie caratteristiche.



3. La nozione di rappresentatività



Dopo aver chiarito che è nella legge il fondamento della rappresentatività, la quale nella individuazione dei sindacati rappresentativi deve tenere conto delle simpatie dei lavoratori, individuando direttamente o implicitamente, perciò criteri di selezione che rispettino questo loro consenso, l’ulteriore passaggio è quello di ricavare la nozione di rappresentatività.


La nozione va cercata, vista la carenza dell’ordinamento, nelle ricostruzioni dottrinali e giurisprudenziali.


Vari sono stati gli orientamenti costruiti dalla dottrina che in genere hanno definito la rappresentatività con l’ausilio dei vari modelli di rappresentanza.


E’ interessante esaminarne alcune.


Per taluni, la rappresentatività è la capacità del sindacato di esprimere l’interesse del gruppo cui esso si riferisce.(16) Per altri, si tratta pur sempre di rappresentanza degli interessi, ma a differenza della rappresentanza, con la quale si costituisce un rapporto tra gruppo organizzato e singolo, la rappresentatività esprime un rapporto tra struttura organizzativa e tutto il gruppo di riferimento, comprendente sia gli iscritti che i non iscritti. Da sottolineare che l’interesse di cui è portatore il sindacato è sempre un interesse autonomo e distinto da quello della collettività, e viene definito “interesse finale”.(17) Per altri ancora, la rappresentatività appartiene al mondo della sociologia politica, ed è “un segno riassuntivo di elementi di fatto ed insieme di giudizi di valore”. (18) Viene definita come la capacità di essere portavoce di interessi diversi da quelli dei rappresentati, ovvero di interessi “ego- altruistici”, diversamente da quanto avviene nella rappresentanza, in forza della quale il rappresentante è portatore di interessi specifici dei rappresentati, cioè di “interessi egoistici”(19)


Tutte queste ricostruzioni, mettono in risalto la natura del rapporto tra rappresentanti e rappresentati, collegandolo per lo più al modulo della rappresentanza ora in senso civilistico, ora in chiave sociologica. Ma non si rileva il dato essenziale, essendo la legge ad attribuire la qualifica della rappresentatività ad una organizzazione sindacale, è proprio e solo con essa che eventualmente rileva sul piano giuridico il rapporto tra rappresentante e rappresentati, a prescindere da qualsiasi altro elemento, compreso il consenso.


Il consenso, tuttavia, è normalmente il dato che il legislatore tiene presente per la selezione dei sindacati rappresentativi, tenendo in considerazione il dato sociologico secondo il quale è rappresentativo il sindacato che riesce a “unificare i comportamenti dei lavoratori in modo che gli stessi operino non ciascuno secondo scelte proprie ma come gruppo”(20): in altre parole, sono i sindacati che raccolgono maggior consenso, nella loro fase storica di riferimento.


Sul fronte giurisprudenziale, in tema di rappresentatività, si è espressa, come è ampiamente noto, la Corte costituzionale, con le sentenze n. 54 del 1974, n. 334 del 1988 e n. 30 del 1990.(21) E’ stata affermata, dalla Corte, la legittimità della selezione dei sindacati rappresentativi, a cui attribuire diritti e prerogative ulteriori rispetto quelli attribuiti a tutte le associazioni sindacali, se tale selezione ha luogo in virtù di elementi giustificativi rispondenti a criteri di ragionevolezza.


Il criterio della rappresentatività, come strumento selettivo, secondo l’orientamento della Corte, è quello che il legislatore ritiene più idoneo a favorire l’aggregazione e il coordinamento “degli interessi dei vari gruppi professionali, di sintesi delle varie istanze rivendicative e di raccordo con i lavoratori non occupati”, e quindi permettere “l’ordinato svolgimento del conflitto sociale”.(22)




4. Un mondo particolare anche per la rappresentatività: il pubblico impiego




Il d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 ha segnato la svolta del passaggio, seppure graduale, del pubblico impiego improntato esclusivamente ad una tradizione pubblicistica, verso la legislazione del lavoro di diritto comune applicata all’impresa.


Tra le varie norme, il d.lgs. 4 novembre 1997, n. 396 è quello che più ci interessa.


Con tale decreto, il legislatore ha introdotto espressamente, nell’ordinamento vigente, dei criteri certi e un preciso procedimento attraverso i quali si rileva la rappresentatività sindacale.


Attualmente troviamo ancora questi criteri nell’art. 43 del d.lgs 165/2001.


Ad essere assunti come criteri di misurazione sono previsti degli indici quantitativi, che si basano esclusivamente su due dati: il dato associativo e quello elettorale. Tralasciando le disposizioni transitorie, che prevedono delle deroghe, sono solo questi i due indici che, in materia di rappresentatività delle confederazioni o delle organizzazioni sindacali, sostituiscono qualsiasi altro diverso criterio.


La soglia minima introdotta per essere considerati rappresentativi consta nel raggiungimento della percentuale del 5%, considerando la media tra il dato associativo e quello elettorale.


E’ la stessa norma che fornisce gli ulteriori chiarimenti riguardo ai due criteri. Del primo di essi, il dato associativo, precisa che “è espresso dalla percentuale delle deleghe per il versamento dei contributi sindacali rispetto al totale delle deleghe rilasciate nell’ambito considerato”.


In pratica, viene calcolata la percentuale degli iscritti all’organizzazione sindacale, con riferimento al totale dei lavoratori iscritti a tutte le organizzazioni, nel comparto di riferimento, lasciando fuori dal calcolo del dato associativo tutti i lavoratori non sindacalizzati.


Il secondo criterio di misurazione della rappresentatività è quello inerente il dato elettorale, che “ è espresso dalla percentuale dei voti ottenuti nelle elezioni delle rappresentanze unitarie del personale, rispetto al totale dei voti espressi nell’ambito considerato”.


Anche in questo secondo caso, non si fa riferimento alla totalità dei lavoratori, ma solo a quelli che hanno esercitato il diritto di voto nella elezioni di organismi di rappresentanza unitaria del personale, dei quali sarà trattato più avanti.


Tali meccanismi potrebbero portare ad una anomala conseguenza.


Nel calcolo del dato associativo, se si considera un ipotetico ambito di riferimento in cui siano presenti un numero relativamente basso di sindacalizzati, i quali in prevalenza iscritti ad una sola organizzazione sindacale, in tale ipotesi, quest’ultima raggiungerebbe un’alta percentuale da utilizzare come dato associativo, ai fini del calcolo della rappresentatività.(23)


Così come nel calcolo del dato elettorale, ipotizzando un’esigua partecipazione al voto, con voti confluenti verso un solo sindacato, si ricadrebbe in una situazione simile a quella considerata per l’altro dato associativo.(24)


Per riassumere, il meccanismo del calcolo della rappresentatività presta il fianco ad una incontestabile obiezione. In sostanza, è prevedibile la possibilità, al di là delle ipotesi considerate, che sembrerebbero inverosimili, che la soglia minima fissata dal legislatore sia troppo bassa e pertanto facilmente superabile, anche da organizzazioni sindacali che godono solo di un marginale consenso, per il fatto che, come spiegato, il riferimento ai soli dipendenti sindacalizzati, relativamente al dato associativo, e la possibilità di un’esigua partecipazione elettorale, relativamente al dato elettorale, lasciano in vita un criterio a maglie larghe.(25)


Tuttavia, a tale meccanismo selettivo, vanno riconosciuti numerosissimi meriti, tanto che nel complesso non si può non attribuire un giudizio di fondo senz’altro che positivo.


Primo tra tutti, di aver elevato il “tasso di democraticità del sistema di selezione degli interlocutori”, con l’introduzione di criteri certi, di natura legale. Inoltre, ulteriore pregio di tale sistema si rileva nell’abbandono del “criterio autoreferenziale” con “l’inversione del flusso dei fattori legittimanti”, che con l’attuale criterio selettivo assumono una direzione ascendente, cioè dal basso verso l’alto, in senso opposto ai precedenti criteri.(26)


In altre parole, il precedente meccanismo, prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 396 del 1997, prevedeva che attraverso i diversi criteri, per lo più di natura giurisprudenziale, di cui alcuni di natura qualitativa, si giungeva ad attribuire la rappresentatività ad una determinata organizzazione sindacale, poi consequenzialmente si procedeva, dall’alto verso il basso, al riconoscimento di ulteriori diritti per le articolazioni inferiori.


Attualmente, il meccanismo è invertito. Si parte dal basso, contando gli iscritti e i voti ottenuti nelle consultazioni elettorali per la designazione gli organismi di rappresentanza unitaria, poi sulla base di tale dato, ottenuta la rappresentatività minima, si riconosce alla organizzazione di categoria il potere di contrattare nel relativo comparto e, proseguendo verso l’alto, si legittima alla contrattazione anche la confederazione.


Si può ammettere, pertanto, che la rappresentatività confederale debba, sulla base del presente sistema, essere dipendente da quella nazionale. Ma, alle confederazioni è ammesso di partecipare alle trattative nazionali, nei comparti in cui le proprie organizzazioni di categoria sono legittimate, anche prescindendo da ogni loro diretto requisito di rappresentatività(27). L’ulteriore obiettivo mancato dal legislatore, sarebbe stato, in linea con il descritto sistema, non ammettere le confederazioni alla contrattazione collettiva nazionale se esse non sono in grado di poter contare su proprie organizzazioni sindacali di categoria presenti in più comparti o aree(28).


Nel complesso, la rappresentatività alla luce del vigente ordinamento, si fregia di due elementi fondamentali: l’originarietà e l’effettività.


E’ originaria, nel senso illustrato del meccanismo ascendente, secondo il quale, la rappresentatività viene attribuita direttamente al sindacato sulla base del raggiungimento di un obiettivo legalmente predefinito: la soglia minima del 5%; senza che invece essa debba derivare, indirettamente, dal riconoscimento di sindacato rappresentativo – presunto – alla confederazione, dall’alto verso il basso, agli altri sindacati ad essa aderenti.


E’ effettiva, per i criteri indicati che non lasciano spazi suscettibili di interpretazione, in quanto sono di natura quantitativa, matematicamente misurabili.


L’ottenimento del sindacato della qualifica di rappresentativo, nel pubblico impiego, ammette esso di determinate prerogative: la legittimazione alla contrattazione collettiva e l’attribuzione dei diritti sindacali.


Rimandando la trattazione dei diritti sindacali più avanti nell’opera, occorre evidenziare, nell’ambito della contrattazione collettiva, che il requisito della rappresentatività comporta solamente l’ammissione alla contrattazione collettiva. In altre parole, il sindacato individuato come rappresentativo potrà sedere al tavolo delle trattative con la controparte datoriale e, eventualmente, giungere solo a sottoscrivere un’ipotesi di accordo.


Infatti, secondo la previsione dell’art. 47-bis del d.lgs. n. 29 del 1993, trasfuso nell’art. 43 del d.lgs 165/2001, la verifica della rappresentatività, come precedentemente descritto, è si una condizione necessaria ma non sufficiente ai fini della sottoscrizione definitiva del contratto da parte dell’ARAN.


L’ARAN prima di sottoscrivere definitivamente il contratto procede ad una seconda verifica della rappresentatività sindacale.


Essa verifica che le organizzazioni sindacali le quali hanno “firmato” l’ipotesi di accordo soddisfino un’ulteriore condizione, e cioè, che l’insieme di essi rappresenti, nel comparto o area contrattuale il 51% come media del dato associativo e dato elettorale ovvero, in alternativa, il 60% del solo dato elettorale.


In pratica, il meccanismo appena descritto funge da un secondo “filtro” che le organizzazioni sindacali devono attraversare. Riassumendo, affinché si possa sottoscrivere efficacemente un contratto collettivo nazionale, non è sufficiente che a negoziare vi siano i sindacati che tramite le citate procedure di selezione superano il primo “filtro” d’ingresso e sono ammessi alla contrattazione collettiva, ma, è necessario che – con il permesso del gioco di parole – una certa rappresentatività di sindacati rappresentativi aderisca all’ipotesi di accordo.


Secondo parte della dottrina,(29) l’introduzione di questo doppio sbarramento è in contraddizione con la scelta del legislatore di fondare la rappresentatività principalmente nel consenso. Invero, secondo questo orientamento, dovrebbe essere eliminato il primo sbarramento, cioè la prima selezione per l’ammissione alla contrattazione collettiva. Tale eliminazione avrebbe lasciato libera l’ARAN di scegliere i soggetti sindacali, ma, in sede di sottoscrizione, attraverso il solo secondo sbarramento, l’avrebbe comunque vincolata al principio della rappresentatività.







1. N. BOBBIO, Il futuro della democrazia, Einaudi, 1995 pag. 33 e ss.


2. G. GIUGNI Diritto sindacale, Cacucci, 1996 pag. 89. L’autore con tale linea intende escludere l’applicazione al rapporto sindacato – lavoratori dell’istituto civilistico della rappresentanza.


3. B. VENEZIANI, in A.I.D.L.A.S.S. Rappresentanza e rappresentatività del sindacato. Atti delle giornate di studio di Macerata, 5 e 6 maggio, 1989, pagg. 3 e ss.


4. P. GRECO, La rappresentatività sindacale, Giappichelli, 1996 pag. 60. Con la legge vene meno il problema inerente l’attribuzione del consenso dei lavoratori. Infatti, dato che la sindacalizzazione dei lavoratori è indicativamente inferiore alla metà della forza lavoro, le decisioni assunte dai sindacati sono minoritarie se si considera la totalità dei lavoratori.


5. P. GRECO, La rappresentatività sindacale, op. cit. pag. 68.


6. N. BOBBIO, Il futuro della democrazia, op. cit., pag. 41.


7. B. CARUSO, Rappresentanza sindacale e consenso, 1992, pagg. 211 e ss. L’Autore scompone in due parti la relazione di rappresentanza: quella che rileva i diritti e i poteri dei rappresentati verso i rappresentanti, che qualifica ascendente, e l’altra che attiene ai poteri dei rappresentanti verso i rappresentati..


9. P. GRECO, La rappresentatività sindacale, op. cit. pagg. 74 -75.


10. M. CARRIERI, L’incerta rappresentanza, Il mulino, 1995 pagg. 130 e ss.


11. R. DEL PUNTA, Intervento, in A.I.D.LA.S.S. Rappresentanza e rappresentatività del sindacato, op. cit., pag. 196.


12. Questo rappresenta invece un elemento di differenza per CARUSO in Rappresentanza sindacale e consenso, op. cit. pag. 202. L’Autore ritiene che tale differenza che rileva sul piano della responsabilità dei rappresentanti, nella rappresentanza politica, la partecipazione degli elettori si atrofizza nel periodo del mandato ed emerge solo nel successivo periodo del rinnovo elettorale con la mancata riconferma.


13. B. CARUSO, Rappresentanza sindacale e consenso, op. cit. pag. 203.


14. B. CARUSO, Rappresentanza sindacale e consenso, op. cit. pag. 201


15. P. GRECO, La rappresentatività sindacale, op. cit. pag. 83


16. F. CARINCI- R. DE LUCA TAMAJO- P. TOSI- T. TREU, Diritto sindacale, 1994, pag. 118.


17. B. VENEZIANI, Relazione, in A.I.D.L.A.S.S. Rappresentanza e rappresentatività del sindacato, op. cit. pag. 14.


18. U. ROMAGNOLI, in S.I., 1988, n. 8, pag. 4.


19. G. GHEZZI – U. ROMAGNOLI, Il diritto sindacale, Zanichelli, 1992, pag. 85.


20. G. GIUGNI, Diritto sindacale, op. cit. pag. 89. Il legislatore, commenta l’Autore, ha utilizzato questa nozione per attribuire le posizioni giuridiche solo ai sindacati che hanno la qualità di essere capaci di una forza unificatrice i comportamenti del gruppo.


21. M. MAGNANI – P. TOSI, Diritto sindacale. Casi e materiali. Monduzzi, 1994, pagg. 4-5; 85-88;19-23; 89-90.


22. Sentenza Corte Costituzionale, 26 gennaio 1990, n. 30, in M. MAGNANI- P. TOSI, Diritto sindacale – Casi e materiali, Monduzzi, 1994, pag. 20.


23. Si fornisce per maggior chiarezza il seguente esempio: comparto di riferimento n. 10.000 dipendenti; sindacalizzati totali n. 150 (numero relativamente basso rispetto ai 10.000) dei quali, iscritti al sindacato "x" n. 100. In tale esempio, puramente teorico, il sindacato “x”, benché abbia un’esigua rappresentanza relativamente all’intero comparto, otterrebbe la percentuale del 66,6% nel calcolo del dato associativo, da utilizzare ai fini della rappresentatività. (150:X=100:10.000=66,6%)


24.Rimanendo nella composizione numerica del comparto di riferimento prima citato, ammettendo che i dipendenti votanti siano solo 100, e la maggior parte di essi esprimano la loro preferenza alla lista del sindacato “x”, si ponga n. 70 voti, tale sindacato otterrebbe una percentuale del 70% come dato elettorale.


25. Così, M. G. GAROFALO e M. BARBIERI, Contrattazione collettiva e lavoro pubblico: un modello per tutti?, in LPA, 2, 1998, pag. 415.


26. M. PALLINI, Contratto collettivo di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni: natura, efficacia soggettiva, dissenso, in RIDL, 1998, pag. 563.


27. M. BARBIERI, Problemi costituzionali della contrattazione collettiva nel lavoro pubblico, Cacucci, 1997, pag. 233 e ss.


28 F. CARINCI, Una riforma in itinere: la c.d. privatizzazione del rapporto di impiego pubblico, in Atti in onore di Federico Mancini, Giuffrè, 1998, pag. 184.


29. M. G: GAROFALO e M. BARBIERI, Contrattazione collettiva e lavoro pubblico: un modello per tutti? op. cit. pagg. 415 e ss.






 
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