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11/11/2016
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10/04/2016
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25/11/201
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Come è noto, la Gestione Separata dell’INPS è stata istituita dalla legge 335/1995 al fine di garantire copertura previdenziale ai lavoratori autonomi che ne fossero sprovvisti.
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   martedì 27 luglio 2004

FERIE E RETRIBUZIONE

Sezione Lavoro

“La retribuzione dovuta al lavoratore subordinato durante il periodo di ferie annuali deve essere calcolata tenendo conto di tutto ciò che viene normalmente corrisposto al lavoratore stesso, conformemente del resto alla ratio dell’art. 36 Cost., e tenuto conto che, ove fosse riconosciuta alle parti la facoltà si determinare liberamente la retribuzione dovuta per le ferie, sarebbe possibile eludere la norma costituzionale (Cassazione Ciivile, sez. lav., 12.07.1996, n. 6372), posto che non esiste nel nostro ordinamento un principio di omnicomprensività della retribuzione per tutti gli istituti retributivi -nè tale principio è imposto dalla normativa internazionale- e che l’art. 36 Cost. sancisce esclusivamente il diritto del lavoratore a ferie annuali retribuite, ma non ne stabilisce la quantità nè contiene criteri per la determinazione della retribuzione feriale, la determinazione della base di calcolo del compenso dovuto al lavoratore deve essere ricavata dalla contrattazione collettiva”

nota a cura dell’Avv. Rocchina Staiano-Dottore di ricerca Università di Salerno



SEGUE TESTO INTEGRALE DELLA SENTENZA





LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Guglielmo SCIARELLI - Presidente -

Dott. Giovanni MAZZARELLA - Consigliere -

Dott. Guido VIDIRI - Rel. Consigliere -

Dott. Giuseppe CELLERINO - Consigliere -

Dott. Camilla DI IASI - Consigliere -

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

L.E., elettivamente domiciliato in ROMA VIA MONTE SANTO

25, presso lo studio dell avvocato M.P., che lo

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro

TELECOM ITALIA SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELLE TRE MADONNE 8, presso lo

studio dell avvocato M.M., che lo rappresenta e difende,

giusta delega in atti;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 16056/01 del Tribunale di ROMA, depositata il

05/05/01 - R.G.N. 13697/96;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/10/03 dal Consigliere Dott. Guido VIDIRI;

udito l Avvocato P.;

udito l Avvocato D. F. per delega M.;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Orazio FRAZZINI che ha concluso, in via principale rimessione Sezione

Unite ed in subordine il rigetto del ricorso.



Fatto

Con ricorso ritualmente notificato E.L., già dipendente della Società Italcalbe, chiedeva la condanna della s.p.a. TeleCom Italia (già Italcalbe) al pagamento delle somme indicate in ricorso. A sostegno delle sue domande il ricorrente assumeva che aveva prestato la sua attività secondo turni avvicendati ultrasettimanali con orari notturni e diurni nonché domenicali, ricevendo per il lavoro notturno e domenicale compensi maggiorati. Lamentava ancora che il datore di lavoro non aveva computato, nella base di calcolo per ferie, 13° mensilità e festività, le suddette maggiorazioni.

Il Pretore di Roma rigettava le domande.

A seguito di gravame, il Tribunale di Roma con sentenza 5 Maggio 2001 rigettava l appello e compensava le spese del grado.

Il Tribunale, precisato in diritto che nel nostro sistema non vige il principio dell onnicomprensività della retribuzione, affermava poi che spetta alla contrattazione collettiva fissare la retribuzione parametro su cui computare ciascuno degli istituti della retribuzione indiretta o differita, salvo i limiti che all autonomia negoziale privata, sia collettiva che individuale, derivano da norme imperative di legge o da contratti collettivi efficaci erga omnes, che impongono, appunto, nozioni onnicomprensive di retribuzione - parametro.

Ne consegue che nell ipotesi in cui non si sia in presenza di alcun espresso divieto deve ritenersi che la legge rimandi, nella determinazione della retribuzione, alla competenza dell autonomia collettiva, che pertanto è abilitata ad escludere determinate voci retributive dalla base sulla quale va determinato il compenso.

Orbene dalla lettura della contrattazione collettiva - e specificamente da quella dell art. 33 (regolante le ferie), dell art. 16, primo comma, lettera a) (regolante la tredicesima mensilità) e dell art. 32 (regolante le festività lavorate) era dato evincere che, nella formulazione delle norme contrattuali, non si faceva riferimento alla locuzione di "retribuzione globale di fatto" (o ad altra equivalente), indice di una nozione di retribuzione onnicomprensiva. Doveva quindi farsi riferimento al disposto dell art. 19 del contratto di categoria che, sia nell individuare gli elementi che concorrono a formare la retribuzione (secondo comma) sia nell individuare esemplificativamente quegli elementi che non fanno parte di tale nozione (terzo comma), esclude in maniera inequivoca il compenso per il lavoro straordinario, notturno, festivo e domenicale. In definitiva la contrapposizione tra "indennità" continuative, menzionate nel secondo comma, e gli altri compensi o "trattamenti" elencati nel terzo comma del medesimo articolo, fa comprendere l esistenza di una volontà delle parti di escludere comunque dal concetto della "retribuzione" le prestazioni espressamente elencate, qualunque carattere abbiano.

Tutto ciò portava ad escludere le maggiorazioni per lavoro notturno e gli altri emolumenti indicati dai lavoratori nella base di computo della retribuzione feriale, nella 13§ mensilità e nel compenso per le festività lavorate.

Più specificamente per andare in contrario avviso per la 13§ non valeva il richiamo all accordo Interconfederale 27 ottobre 1946 perché derogato dalla successiva disciplina contrattuale più favorevole ai lavoratori; né per il computo delle ferie era conferente il riferimento all art. 36 Cost., 2109 c.c., e la Convenzione OIL del 24 giugno 1970 (ratificata e resa esecutiva con legge n. 157/1981), non imponendo detta normativa una nozione onnicomprensiva della retribuzione, per cui la retribuzione - parametro anche in questo caso andava ricavata dalla contrattazione collettiva; né infine per le festività risultava utile il richiamo all art. 5 della legge n. 260/1949, distinguendo la norma tra lavoratori retribuiti non in misura fissa e quelli - come l attuale ricorrente - retribuiti invece in misura fissa e rispetto ai quali la retribuzione per le ore lavoratore doveva basarsi sulla nozione di retribuzione-parametro adottata dalla contrattazione collettiva.

Avverso tale sentenza E.L. propone ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, illustrati anche con memoria difensiva.

Resiste con controricorso la s.p.a. Telecom Italia (già costituitasi in appello in quanto incorporante della Italcalbe).



Diritto

1. Con il primo motivo di ricorso il lavoratore denunzia violazione e falsa applicazione di norme di legge (art. 1362, 1363, 1364 e 1365 c.c., 2094 e 2099 c.c.), nonché omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.).

Lamenta in particolare che il Tribunale ha dato una interpretazione errata dell art. 18 del contratto collettivo di categoria, perché ha frainteso il termine "perciò" che correla il terzo al secondo comma della disposizione; perché ha omesso di spiegare la ragione per la quale le fonti collettive non hanno previsto come ordinaria la prestazione di lavoro straordinario, notturno e festivo; perché ha errato nel concludere che il termine "indennità" di cui al comma 2 del citato art. 12 si riferisce soltanto alle voci elencate negli artt. 13 e 17 del contratto collettivo, laddove esso invece denota l emolumento destinato a compensare particolari modalità di esecuzione della prestazione lavorativa (come è dato constatare per il compenso per lavoro notturno); perché, infine, non ha tenuto conto del comportamento complessivo delle parti, che hanno incluso il compenso per lavoro notturno nella base di calcolo del t.f.r., la cui determinazione è rimessa alla volontà delle parti stesse.

1.1. Il motivo è infondato e, pertanto, va rigettato.

E giurisprudenza costante di questa Corte che l interpretazione delle disposizioni collettive di diritto comune, compiuta dal giudice di merito, è censurabile in sede di legittimità, solo per violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale e per vizi della motivazione (cfr. tra le tante: Cass. 23 novembre 1999 n. 13026; Cass. 22 luglio 1992 n. 8821). La parte che censuri, in sede di legittimità, l interpretazione di un contratto da parte del giudice di merito, non può poi limitarsi a richiamare genericamente le regole di cui agli artt. 1362 e segg. c.c., ma deve invece specificare i canoni in concreto violati nonché il punto della motivazione interessato ed il modo in cui i suddetti canoni siano stati violati atteso che, altrimenti, la censura si risolverebbe nella inammissibile esposizione di una interpretazione diversa da quella contestata (cfr. Cass. 21 marzo 2002 n. 4090; Cass. 2 febbraio 1996 n. 914).

1.2. Orbene, la sentenza impugnata, con una motivazione congrua e corretta sul piano logico - giuridico - e pertanto non censurabile in questa sede di legittimità - ha evidenziato le ragioni per le quali la contrattazione di categoria non prevede una nozione onnicomprensiva della retribuzione ai fini della base di calcolo per ferie, festività e 13§ mensilità. E, sulla base delle esposte ragioni, la suddetta sentenza ha escluso che le maggiorazioni per lavoro notturno e domenicale e gli altri emolumenti indicati dal lavoratore potessero essere computati ai fini della determinazione del compenso per gli istituti indiretti.

A fronte di una motivazione della sentenza del Tribunale di Roma esente da vizi, nel ricorso non si rinvengono specifiche censure volte ad individuare i canoni ermeneutici violati, ma si risconta soltanto una inammissibile ricostruzione della volontà delle parti sociali in termini diversi da quella seguita dal giudice d appello.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denunzia violazione e/o falsa applicazione di norme di legge, dell art. 416, comma 3, dell art. 437, comma 2, c.p.c., degli artt. 112 e 115 c.p.c., dell art. 2697 c.c., dell art. 7 della legge 741/1959, dell art. 17 dell A.I. 27 ottobre 1946, reso valido erga omnes con d.p.r. 1070/1960(art. 360 n. 3 c.p.c.).

Il Tribunale, in particolare, ha errato nel non considerare nuova, perché basata su circostanze mai prima espresse, la eccezione della società che, dopo avere dedotto in primo grado che le maggiorazioni notturne e domenicali non rientravano nella nozione di "retribuzione globale di fatto" di cui all art. 17 dell A.I. 27 ottobre 1945, in quanto non aventi natura retributiva, in secondo grado ha poi dedotto che l accoglimento della domanda era precluso, ex art. 7 legge 741/59, dalla previsione nel c.c.n.l. Italcable di una quattordicesima mensilità avente funzione integrativa della tredicesima, onde il trattamento che ne risultava era complessivamente più favorevole di quello legale. Per di più l accertamento di un trattamento più favorevole non poteva avvenire che sulla base delle allegazioni rimesse alla disponibilità delle parti, e risultava comunque soggetto ai limiti derivanti dagli artt. 416 e 437 c.p.c.

2.1. Anche questo motivo non merita accoglimento.

Nel caso di specie il Tribunale di Roma si è limitato ad applicare corretti principi giuridici a circostanze di fatto acquisite al giudizio, sicché non si riscontrano i vizi denunziati in ricorso atteso che il giudice ha il dovere di controllare la corretta applicazione delle norme legali e contrattuali invocate anche in difetto di tempestiva contestazione sul punto (cfr. al riguardo: Cass. 23 gennaio 2003 n. 1014).

Il Tribunale di Roma nella controversia in oggetto si è limitato a ricostruire, alla luce di una disposizione di legge (quella appunto scaturente da un accordo collettivo avente efficacia erga omnes), gli elementi fattuali acquisiti ritualmente al processo, facendone con coerenza logica scaturire gli effetti conseguenziale.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione di norme di legge art. 2697 c.c., art. 7 legge 741/59, art. 17 dell A.I. 27 ottobre 1946, reso valido erga omnes con d.p.r. 1070/60, art. 1362, comma 2, c.c. nonché omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.). In particolare deduco ancora una volta che l inapplicabilità dell accordo interconfederale presuppone che la successiva contrattazione collettiva abbia assicurato un trattamento migliorativo per i lavoratori. Nel caso di specie non poteva escludersi che la tredicesima mensilità fosse computata così come prescritto dall accordo interconfederale. A tal fine bisognava accertare se la quattordicesima mensilità, riconosciuta dai contratti collettivi successivi, avesse la stessa funzione della tredicesima e, quindi, configurasse quel trattamento migliorativo indispensabile, come detto, per la disapplicazione dell accordo.

Accertamento però che non era stato effettuato dal giudice di appello. Del resto l esame delle due indennità attestava che la tredicesima e quattordicesima differivano per la determinazione della base di computo, per la diversità di date e modalità di pagamento e per la natura dell istituto.

3.1. Il motivo risulta privo di fondamento.

Questa Corte ha ripetutamente ribadito proprio in controversie simili a quella in esame che il criterio di computo della tredicesima mensilità dettato dall accordo interconfederale per l industria 27 ottobre 1946, esteso erga omnes con d.p.r. n. 1070 del 1960, ed in particolare il riferimento alla retribuzione globale di fatto, e cioè ad una nozione onnicomprensiva di retribuzione, è derogabile - per effetto dell art. 7, ultimo comma, della legge n. 741 del 1959 - da successivi contratti collettivi di diritto comune che assicurino un trattamento di migliore favore relativamente allo specifico istituto; tale maggiore favore va valutato "in base ad una interpretazione delle sopravvenute disposizioni contrattuali effettuate nell ambito dei singoli istituti" (cfr. Cass. 8 luglio 2002 n. 9871; Cass. 13 giugno 2002 n. 8501; Cass. 17 ottobre 2001 n. 12683).

Principio questo enunciato, come si è detto, in controversie analoghe a quelle in oggetto, ed in cui si è ritenuto che la contrattazione collettiva di settore, di natura privatistica, doveva considerarsi - per prevedere non solo la tredicesima mensilità ma anche la quattordicesima mensilità - più favorevole di quella fissata dall Accordo Interconfederale del 27 ottobre 1946, che riconosceva, come detto, una sola mensilità aggiuntiva ai dipendenti (13§ mensilità), anche se ai fini della quantificazione di detta mensilità adottava una nozione onnicomprensiva della retribuzione (cfr. al riguardo: Cass. 8 luglio 2002 n. 9871 cit. Cass. 13 giugno 2002 cit.; Cass. 17 ottobre 2001 n. 12683).

Orbene, questa Corte ritiene di aderire all indirizzo ora indicato, che si fonda su valide ragioni logico - giuridiche, perché, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, non può disconoscersi la identità dei tratti caratterizzanti le due mensilità aggiuntive, che come mostra la loro genesi (nell ordinamento statale e nell assetto delle relazioni industriali) sono state viste in funzione di un accrescimento e di un miglioramento delle generali condizioni economiche dei lavoratori, capace di consentire loro di usufruire di maggiori entrate con riferimento a specifici e determinati periodi dell anno (festività di fine anno e periodi feriali) e che, per tale motivo, presentano il tratto comune di non essere collegate con stretto legame di sinallagmaticità con il concreto svolgimento dell attività lavorativa o con specifiche modalità di esecuzione di detta attività.

4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione di norme di legge art. 2109 c.c. e 36 Cost., dell art. 7 della Convenzione OIL n. 132 del 24 giugno 1990, ratificata dall Italia con la legge 10 aprile 1091 n. 157 (art. 360 n. 3 c.p.c.).

Sostiene in particolare che l istituto delle ferie ha una tutela costituzionale e ciò induce a preferire quell opinione secondo la quale deve accogliersi per tale istituto una nozione di retribuzione globale, suscettibile pertanto di includere, nella base di computo, anche quelle maggiorazioni assicurate al lavoratore per la maggiore penosità della sua attività svolta per il lavoro notturno prestato normalmente in turni periodici predeterminati.

Se, di contro, come ritenuto dal Tribunale di Roma, fosse consentito alla contrattazione collettiva di determinare la base di computo per le ferie ciò potrebbe determinare - in caso di una accentuata differenza tra retribuzione mensile e retribuzione per ferie - una elusione del dettato costituzionale inducendo il lavoratore a non usufruire del riposo annuale. Per di più la Convenzione OIL doveva essere interpretata - in modo diverso da quanto ritenuto da Cass., Sez. Un., nella sentenza 3888/1993 - nel senso che la contrattazione collettiva dello stato nazionale, al quale era demandato il compito di determinare il corrispettivo per ferie, non poteva fissare detto corrispettivo in misura minore alla retribuzione normale o media percepita dal lavoratore stesso.

4.1. Anche questa censura risulta destituita di giuridico fondamento.

E stato più volte affermato dai giudici di legittimità che, ancorché nel nostro ordinamento la retribuzione durante il periodo feriale sia garantita da norma costituzionale (art. 36 Cost., comma 3, Cost.) oltre che da norma codicistica (art. 2109), queste fonti legali non contengono alcuna previsione sulla determinazione e sui criteri di computo della retribuzione stessa; tale determinazione deve essere rimessa alla contrattazione collettiva - e, nel rispetto di questa, al patto individuale - perché ad essa compete l individuazione, tra quelle di natura retributiva, delle singole voci che concorrono a formarla.

Tale conclusione non contrasta con la Convenzione OIL n. 132 del 24 giugno 1970 (ratificata e resa esecutiva con legge 10 aprile 1981 n. 157) la quale, nel garantire al lavoratore in ferie "almeno la normale e media retribuzione", non ne impone una nozione onnicomprensiva (o, comunque, inderogabile), ma rinvia, per la determinazione della retribuzione garantita, agli ordinamenti nazionali (cfr. in tali sensi: Cass. 22 novembre 2002 n. 16510; Cass. 13 giugno 2002 n. 8501 cit; Cass. 17 ottobre 2001 n. 12683 cit.; Cass. 17 aprile 1985 n. 2549 relativa al rapporto di lavoro tra Italcable e un suo dipendente).

4.2. Questa Corte ritiene di condividere il suddetto indirizzo, accolto da numerose pronunzie, in luogo dell opposto (e minoritario) orientamento. Secondo quest ultimo orientamento, la retribuzione dovuta al lavoratore subordinato, durante il periodo di ferie annuali, deve essere calcolata tenendo conto di tutto ciò che viene normalmente corrisposto al lavoratore stesso (e, quindi, anche della maggiorazione contrattualmente prevista per il lavoro prestato di notte sulla base di turni periodici predeterminati), conformemente - si aggiunge - alla ratio della disposizione di cui all art. 36, terzo comma, della Costituzione e, tenendo conto che, ove fosse riconosciuta alle parti la facoltà di determinare liberamente la retribuzione dovuta per le ferie, sarebbe a queste consentito, mediante la fissazione di una retribuzione pressoché irrisoria, una osservanza solo apparente del precetto costituzionale e, quindi, la sua sostanziale elusione (così Cass. 13 luglio 1996 n. 6372).

4.3. Contro tale assunto va però obiettato, da un lato, che la Costituzione, con riferimento alle ferie ed ai riposi settimanali, pone con l art. 36, terzo comma, la regola della loro irrinunciabilità a tutela della salute del lavoratore, dopo avere nel primo comma accolto una nozione di retribuzione - non in senso «onnicomprensivo», da valere quindi per tutti gli istituti indiretti - ma rispondente al criterio della «sufficienza», da valutarsi sulla base del trattamento economico globale assicurato al lavoratore (cfr. per il riconoscimento, alla stregua di tali ragioni, della legittimità di una retribuzione per l orario straordinario in misura non superiore a quella riconosciuta per l orario normale, Corte Cost. 22 novembre 2002 n. 470, cui adde in generale - per il principio secondo cui l art. 36 Cost. «nel proclamare il diritto del lavoratore a una retribuzione proporzionata al suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare una esistenza libera e dignitosa, non può essere riferito alle singole voci della retribuzione del lavoratore, ma alla sua globalità» - cfr. Corte Cost. 19 gennaio 1995 n. 15; Corte Cost. 28 aprile 1994 n. 164; Corte Cost. 22 dicembre 1982 n. 227).

4.4. Né in contrario vale addurre che una diversa interpretazione potrebbe comportare il pericolo di legittimare retribuzioni irrisorie per il congedo per ferie. Tale obiezione trascura di considerare il principio della irrinunciabilità delle ferie, che trova la sua ragione, come è stato detto, nella tutela delle salute del lavoratore disposta dall art. 36 Cost. Norma la cui indisponibilità emerge, in maniera chiara, anche nell art. 10, comma 2, del recente d. lgs. 8 aprile 2003 n. 66, che statuisce che il periodo minimo di quattro settimane di ferie «non può essere sostituito dalla relativa indennità per ferie non godute, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro». A tale riguardo va anche evidenziato che il silenzio della norma costituzionale sulla struttura della retribuzione e delle singole voci che la compongono va letto, non nel senso della sua onnicomprensività, ma nel diverso senso che è rimessa alla contrattazione collettiva la determinazione degli elementi che concorrono a formare il trattamento economico dei lavoratori; contrattazione suscettibile di garantire costoro dalla eventualità di retribuzioni insufficienti e irrisorie, e la cui congruità rispetto ai parametri costituzionali, potrà, in ogni caso, essere verificata dal giudice (cfr. Corte Cost. 22 novembre 2002 n. 470 cit.; Corte Cost. 19 gennaio 1995 n. 15 cit.).

5. Con il quinto motivo il ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione di norme di legge:art. 2099 c.c., 1362, 1363, 1364 e 1365, art. 1 della legge 1029/1960 nonché omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia(art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.). In particolare lamenta che il Tribunale - nel ritenere che l art. 32 della contrattazione collettiva si riferisse per le festività alla "normale retribuzione" - ha proceduto ad una erronea interpretazione della contrattazione collettiva, ed è incorso nella violazione dell art. 2109 c.c., a tenore del quale la retribuzione è rimessa in primo luogo alla contrattazione collettiva.

5.1. La censura ancora una volta si palesa priva di fondamento.

Va ribadito che il Tribunale di Roma ha dato, come si è già evidenziato, una corretta interpretazione della contrattazione collettiva a fronte della quale nel ricorso non sono indicati i precisi canoni ermeneutici che si assumono violati. Va rimarcato, infine, che il giudice d appello sul punto ha fatto una corretta applicazione dei principi più volte enunciati da questa Corte secondo cui il criterio della onnicomprensività della retribuzione adottato in tema di festività infrasettimanali dall art. 5 della legge 27 maggio 1949 n. 260, modificato dall art. 1 della legge 31 marzo 1954 n. 90, si riferisce al compenso stabilito per il solo fatto della ricorrenza della festività (primo comma del citato art. 5) e non riguarda il compenso spettante (ai sensi del secondo comma dello stesso articolo 5) "per le ore effettivamente prestate", il quale essendo istituto contrattuale rimesso all autonomia delle parti, salvo il limite dell art. 36 Cost., va determinato alla stregua della disciplina collettiva, cui perciò occorre fare riferimento anche per accertare se determinati emolumenti siano computabili ai fini della maggiorazione per il lavoro festivo (cfr. tra le altre Cass. 16 luglio 2002 n. 10309; Cass. 11 luglio 2000 n. 9206).

6. Per concludere il ricorso va rigettato.

7. Ricorrono giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma il 21 ottobre 2003.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 02 FEB. 2004.




 
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