lavoroprevidenza
lavoroprevidenza
lavoroprevidenza
11/11/2016
I DOCENTI E GLI ATA PRECARI O GIA´ DI RUOLO POSSONO OTTENERE PER INTERO IL RICONOSCIMENTO DEL PERIODO PRERUOLO
La sentenza n. 22558/2016 della Suprema Corte di Cassazione Sezione Lavoro del 07.11.2016 è una sentenza storica per il mondo della SCUOLA PUBBLICA.
A partire da oggi qualunque precario per i dieci anni precedenti può chiedere con un ricorso al Giudice del Lavoro il riconoscimento giuridico della m...


10/04/2016
CHI ISCRIVE IPOTECA PER UN VALORE SPROPOSITATO PAGA I DANNI
E’ di questi ultimi giorni la decisione della Suprema Corte di Cassazione che ha stabilito una responsabilità aggravata in capo a chi ipoteca il bene (es. casa di abitazione) del debitore ma il credito per il quale sta agendo è di importo di gran lunga inferiore rispetto al bene ipotecato....


19/05/2015
Eccessiva durata dei processi: indennizzi più veloci ai cittadini lesi
La Banca d´Italia ed il Ministero della Giustizia hanno firmato un accordo di collaborazione per accelerare i tempi di pagamento, da parte dello Stato, degli indennizzi ai cittadini lesi dall´eccessiva durata dei processi (legge n. 89 del 2001, c.d. “legge Pinto”).
...


26/11/2014
Sentenza Corte giustizia europea precariato: vittoria! Giornata storica.
La Corte Europea ha letto la sentenza sull´abuso dei contratti a termine. L´Italia ha sbagliato nel ricorrere alla reiterazione dei contratti a tempo determinato senza una previsione certa per l´assunzione in ruolo.
Si apre così la strada alle assunzioni di miglialia di precari con 36 mesi di preca...


02/04/2014
Previdenza - prescrizione ratei arretrati - 10 anni anche per i giudizi in corso
La Consulta boccia la norma d´interpretazione autentica di cui all’art. 38, comma 4, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, nella parte in cui prevede c...


27/11/2013
Gestione Separata Inps: obbligo d´iscrizione per i professionisti dipendenti?
Come è noto, la Gestione Separata dell’INPS è stata istituita dalla legge 335/1995 al fine di garantire copertura previdenziale ai lavoratori autonomi che ne fossero sprovvisti....


25/11/201
Pubblico dipendente, libero professionista, obbligo d´iscrizione alla Gestione Separata Inps
Come è noto, la Gestione Separata dell’INPS è stata istituita dalla legge 335/1995 al fine di garantire copertura previdenziale ai lavoratori autonomi che ne fossero sprovvisti.
...


05/05/2013
L´interesse ad agire nelle cause previdenziali. Analsi di alcune pronunce
Nell´area del diritto previdenziale vige il principio consolidato a livello giurisprudenziale, secondo il quale l’istante può avanzare all’Autorità Giudiziaria domanda generica di ricalcolo di un trattamento pensionistico che si ritiene essere stato calcolato dall’Istituto in modo errato, senza dete...









   martedì 23 ottobre 2007

APPOSIZIONE DEL TERMINE AL CONTRATTO DI LAVORO

TRIBUNALE DI REGGIO CALABRIA sent. 21/2007 G.L. dr. Natalino Sapone


A senn. 21/2007


TRIBUNALE DI REGGIO CALABRIA


SEZIONE LAVORO


DISPOSITIVO DI SENTENZA


REPUBBLICA ITALIANA


IN NOME DEL POPOLO ITALIANO



Il Tribunale di Reggio Calabria, nella persona del giudice del lavoro dott. N. Sapone, definitivamente pronunciando nel giudizio promosso da **, depositato in Cancelleria in data 15/1/2007, difesi dall avv. Giuseppe Mazzotta, nei confronti della * S.P.A., difesa dall avv. prof. Carlo Zoli e dall’avv. Giuseppe Morabito, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, così provvede:



-ACCOGLIE la domanda e per l effetto dichiara che i contratti di lavoro in oggetto vanno qualificato come contratti a tempo indeterminato, con conseguente prosecuzione del rapporto di lavoro degli odierni ricorrenti.



-Condanna parte resistente alla corresponsione, a titolo di risarcimento del danno, delle retribuzioni spettanti dall’interruzione del rapporto di lavoro sino all’effettiva reintegrazione, oltre alla rivalutazione monetaria ed agli interessi legali sulla somma originaria annualmente rivalutata.



-Pone a carico di parte convenuta le spese processuali, che liquida in complessivi € 1.500,00, di cui 760,00 per onorario e 20,00 per esborsi, oltre IVA e CP come per legge.



Reggio Calabria, 20.7.2007



Il Giudice


Proc. n. 21/2007


PROSECUZIONE DEL VERBALE D’UDIENZA DEL 20/7/2007


MOTIVI DELLA DECISIONE


Ex art. 281 sexies cpc



1. I ricorrenti espongono di avere stipulato con la società odierna convenuta contratti di lavoro a tempo determinato, giustificati da un asserito “incremento dell’attività”, con decorrenza dal 2.5.06 all’1.8.06. Espongono altresì che alla scadenza dei contratti, la società ha comunicato la volontà di risolvere i rapporti di lavoro; che avviato un tavolo di trattative con le organizzazioni sindacali, la società ha assunto l’impegno di riassumere tutti i lavoratori licenziati con contratto a tempo indeterminato; che oggi gli odierni ricorrenti restano gli unici lavoratori a non avere ripreso l’attività lavorativa alle dipendenze della società, che ha loro prospettato, come unica possibilità di assunzione, la sottoscrizione di un ulteriore contratto a tempo determinato.



Deducono i ricorrenti l’illegittimità dell’apposizione del termine in primo luogo per la mancanza del carattere ontologicamente temporaneo dell’occasione di lavoro, assumendo che il datore di lavoro avrebbe celato, dietro un generico ricorso a non meglio precisate ragioni produttive, la sussistenza di un’occasione di lavoro permanente; che la consistenza delle opere da realizzare faceva ragionevolmente prevedere un impegno lavorativo di parecchi anni;



In secondo luogo, deducono i ricorrenti la genericità della causa giustificativa dell’apposizione del termine. Infine si dolgono della violazione dell’impegno a trasformare i contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato per tutti i lavoratori.



I ricorrenti chiedono dichiararsi l’illegittimità dei contratti a termine e la conseguente loro conversione in contratti a tempo indeterminato, nonché la reintegrazione o riammissione in servizio o la prosecuzione dei rapporti di lavoro. Chiedono altresì la condanna della società convenuta alla corresponsione delle retribuzioni spettanti dalla data dell’illegittima interruzione dei rapporti di lavoro sino all’effettiva reintegrazione.



Parte resistente contesta la fondatezza della domanda, di cui chiede l integrale rigetto. In particolare assume che l’assunzione a termine è stata posta in essere per il fatto che la società cui erano stati subappaltati alcuni lavori ha cessato la collaborazione cosicché essa ha dovuto prendere in carico anche dei lavori sino a quel momento subappaltati. Fatto notare che le ore lavorate nel periodo in cui i ricorrenti sono stati alle dipendenze della società hanno subito un deciso incremento, per diminuire drasticamente nel periodo successivo. Rileva in particolare che quando essa ha deciso di non prorogare o rinnovare i contratti degli odierni ricorrenti sussisteva incertezza in ordine allo svolgimento di alcuni lavori; che ha offerto agli odierni ricorrenti una nuova assunzione a termine sino alla fine dell’anno; proposta che avrebbe consentito anche ai ricorrenti la trasformazione del rapporto di lavoro in contratto a tempo determinato a partire dal 2.1.2007; che però l’offerta è stato rifiutata.



In diritto assume che per l’assunzione a termine non sono necessarie ragioni oggettive in sé temporanee; che temporaneità del rapporto e temporaneità dell’interesse aziendale o dell’occasione di lavoro non sono concetti equivalenti o sovrapponibili; che la ragione addotta è rimessa all’apprezzamento del datore di lavoro e la sopravvenuta stabilità della esigenza non può incidere sulla legittimità del contratto di lavoro e del suo termine. Osserva che in ogni caso, anche accogliendo la tesi più restrittiva, l’attività di un cantiere è per sua stessa natura ontologicamente temporanea; che le ragioni sono state puntualmente indicate e corrispondono al vero: al momento delle assunzioni si è verificato un incremento dell’attività nel cantiere con riguardo alle opere civili, derivante dalla risoluzione del contratto di subappalto.



2. Ai fini della decisione della presente controversia sono essenziali alcune precisazioni in diritto.



L’art. 1 d.lgs. n. 368/2001 stabilisce al comma 1 che “È consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”.



Parte resistente contesta che dette ragioni debbano possedere il connotato della temporaneità, in quanto tale requisito, a suo dire, non sarebbe richiesto né dalla direttiva comunitaria 70/99 CE, né dal d.lgs. n. 368/2001. La causale connessa all’apposizione del termine, a dire della convenuta, può non essere temporanea, potendo anche consistere in un’esigenza aziendale permanente.



L’asserto non è condivisibile.



In premessa si osserva che la nozione di “ragioni” è un concetto necessariamente relativo, dovendo rapportarsi ed adattarsi all’evento che di volta in volta si tratta di giustificare. È di tutta evidenza che ad esempio le ragioni idonee a giustificare un licenziamento per giustificato motivo oggettivo non possono non essere molto diverse da quelle potenzialmente idonee a legittimare un trasferimento. E ciò pur in presenza di testi normativi dal punto di vista letterale molto simili.


Allo stesso modo non è dubitabile che, pur a fronte di espressioni normative praticamente equivalenti, le ragioni che possono giustificare un trasferimento non possono che essere molto diverse da quelle idonee a dare adito all’apposizione del termine ex art. 1 d.lgs. 368/01.



Dunque la nozione di “ragioni” può ricevere una compiuta definizione solo in intima correlazione con l’evento che di volta in volta si tratta di giustificare. Per venire alla questione specifica, occorre, come precisato da un giudice di merito: “non una qualsiasi ragione ma una ragione giustificativa del termine” (App. Bari 20.7.2005).



Siccome qui l’evento che si tratta di giustificare consiste nell’apposizione del termine a un contratto che di norma deve essere a tempo indeterminato, l’unica conclusione logicamente sostenibile è quella che la nozione di ragioni non può non includere un profilo di temporaneità.



Posto che il datore di lavoro assume sempre in vista di una qualche ragione tecnica, organizzativa o produttiva, logica impone che le “ragioni” che devono sorreggere l’apposizione del termine si caratterizzino per una loro specificità rispetto alle, per così dire, esigenze aziendali normali, immanenti ad ogni assunzione; specificità che, per come suggerito dalla dottrina citata in ricorso, non può essere costituita da altro se non dalla loro temporaneità, oggettivamente riscontrabile. Diversamente il contratto a tempo determinato non sarebbe di fatto più un’eccezione rispetto alla regola costituita dalla forma del contratto a tempo indeterminato.



Il fatto quindi che il requisito della temporaneità non sia stato esplicitamente enunciato dalla norma si può ben spiegare con la superfluità di una tale indicazione: sarebbe stata una tautologia.



2.1. Quindi non è condivisibile la posizione secondo cui per l’ammissibilità dell’assunzione a termine è necessario e sufficiente che “pur in presenza di un’occasione permanente di lavoro sussista una ragione oggettiva, non arbitraria, che in concreto renda preferibile un rapporto a termine” e secondo cui “il controllo del giudice deve limitarsi a verificare l’effettiva sussistenza di una ragione oggettiva, non arbitraria, di utilizzazione del lavoro a termine, senza sindacare le scelte organizzative del datore” (Trib. Trani).



Condizionare l’ammissibilità dell’apposizione del termine alla sola ricorrenza di ragioni oggettive e non arbitrarie, tenendo conto dei limiti del sindacato giudiziale, che non può coinvolgere il merito ossia l’opportunità della scelta datoriale, comporterebbe il superamento di fatto del principio secondo cui è il contratto a tempo indeterminato la modalità comune del rapporto di lavoro.


Tale principio è proclamato dall’accordo quadro europeo, recepito dalla direttiva comunitaria 1999/70, in esecuzione della quale è stato adottato il d.lgs. n. 368/2001. L’accordo dispone che “i contratti a tempo indeterminato continueranno ad essere la forma comune di rapporto tra lavoro”.



La Corte di Cassazione , nella pronuncia n. 7468 del 2002, ha osservato che “il termine costituisce deroga d un generale sottinteso principio: il contratto di lavoro subordinato, per sua natura, non è a termine”.



Come ha ribadito altro giudice di merito (App. Bari 20.7.2005) “Ad una casistica tassativa si è sostituita una clausola che fissa criteri, una clausola generale, ma ciò non toglie che, con tecnica diversa e probabilmente consentendo di ritagliare un’area più vasta, sempre di un’eccezione si tratti”.



Ora, una lettura che subordinasse la legittimità del termine ai soli requisiti della preferibilità e della non arbitrarietà finirebbe con il superare di fatto il rapporto regola-eccezione che deve permanere tra contratto a tempo indeterminato e contratto a tempo determinato. E ciò in quanto il criterio della preferibilità (del contratto a tempo determinato rispetto al contratto a tempo indeterminato), come detto, a motivo della non sindacabilità del merito delle scelte datoriali, appare dotato di portata troppo ridotta per garantire il mantenimento del rapporto regola-eccezione tra le due forme di contratti. Si darebbe luogo, accedendo a tale tesi, ad uno slittamento soggettivistico della giustificazione del termine, in contrasto con il carattere oggettivo delle ragioni fissate dalla norma.



2.2. Sulla natura oggettiva delle ragioni non è dato dubitare. Essa è affermata dall’accordo quadro europeo sui contratti a tempo determinato, nel preambolo (“l’utilizzazione di contratti di lavoro a tempo determinato basata su ragioni oggettive è un modo di prevenire gli abusi”), e nella clausola n. 3 , a norma della quale l’apposizione del termine deve essere determinata “da condizioni oggettive, quali il raggiungimento di una certa data, il completamento di un compito specifico o il verificarsi di un evento specifico”.



Ora, il requisito dell’oggettività rischierebbe di essere eroso ove si rinunciasse a pretendere una dimensione di temporaneità della causale giustificatrice del termine, e si ritenesse sufficiente la preferibilità , per motivo non arbitrario, del rapporto a termine. È infatti oltremodo difficile appurare dove inizia il merito della scelta datoriale, insindacabile in sede giudiziale, e dove finisce l’oggettiva preferibilità.



Dunque, può dirsi che le ragioni che danno adito all’apposizione del termine devono possedere i connotati dell’oggettività e della temporaneità.



2.3. Quanto sin qui detto non importa l’imprescindibilità, per l’assunzione a termine, di un’occasione permanente di lavoro.



Non condivide questo giudice l’opinione secondo cui l’apposizione del termine sia possibile solo in presenza di situazioni che facciano ritenere che per quelle determinate mansioni non vi sarà alla fine del periodo previsto un’ulteriore possibilità di utilizzazione ; e secondo cui occorre che al momento dell’assunzione sia configurabile ad una valutazione ex ante un licenziamento per giustificato motivo oggettivo in pectore.


Non ritiene quindi questo giudice di aderire alla tesi della dottrina richiamata in ricorso, secondo cui nel momento della stipulazione del contratto si dovrebbe poter prevedere che al compimento del termine l’occasione di lavoro non ci sarà più.



Ciò che conta è la sussistenza di un’oggettiva correlazione tra la ragione giustificativa e l’apposizione del termine. È in altri termini indispensabile la temporaneità della ragione, non dell’occasione di lavoro o delle mansioni per cui si dà luogo all’assunzione.



Si pensi in proposito alle ipotesi di avvio di attività sperimentali, all’introduzione di nuovi moduli organizzativi, di inediti sistemi di produzione. In caso di esito positivo delle innovazioni, rimarranno e si consolideranno le medesime mansioni, le medesime occasioni di lavoro. Eppure rimane riscontrabile un’oggettiva temporaneità dell’ esigenza connessa; è infatti chiaro che il periodo di sperimentazione e di prova (non dell’attitudine del lavoratore ma del modulo organizzativo o produttivo) è per definizione - e comunque deve essere ai fini de quibus - temporaneo.



Quindi per la ravvisabilità di una ragione temporanea non è necessaria una prognosi di inutilizzabilità delle mansioni o di cessazione dell’occasione di lavoro alla fine del periodo di durata del contratto. Ma è pur sempre indispensabile una causale non solo oggettiva ma anche oggettivamente temporanea, ossia la cui temporaneità emerga in modo oggettivo, e non sia cioè rimessa alla preferenza soggettiva, benché non arbitraria, del datore di lavoro.



3. Da quanto detto discende una precisa conseguenza in ordine alla motivazione della clausola con cui si appone il termine. Il comma 2 dell art. 1 del d.lgs. 368/01 prevede che “L’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma 1”.



Dunque il comma 2 impone, sotto pena di inefficacia, la forma scritta e la motivazione, ossia l’indicazione della causale giustificativa del termine. Non prevede un semplice onere di giustificazione (come per il trasferimento ed il licenziamento, salvo richiesta dei motivi), ma un onere di motivazione. Non è pertanto sufficiente la sussistenza effettiva della causale giustificativa. È necessaria l’indicazione contestuale della stessa in un atto scritto.



Ora, dal momento che le ragioni devono essere caratterizzate dai requisiti dell’oggettività e della temporaneità, la motivazione richiesta dal comma 2 dell art. 1 d.lgs. cit. deve essere idonea a evidenziare tali requisiti.



Se infatti la motivazione ha la funzione di garantire la verificabilità della sussistenza della ragione addotta dal datore di lavoro per l’apposizione del termine; ed atteso che la ragione deve essere temporanea, la motivazione è da ritenersi idonea solo se permette di verificare anche la ricorrenza del requisito della temporaneità della causale.



4. Perché sia congrua rispetto al ruolo attribuitole dal comma 2, la motivazione non può essere generica e astratta ma deve essere dettagliata in modo da permettere al lavoratore, prima, ed al giudice , poi, di appurare se in concreto, ossia in relazione alle singole assunzioni, la ragione sussista effettivamente. Non basta dunque l’indicazione del tipo di esigenza datoriale, astrattamente integrante gli estremi della temporaneità. Occorre che risulti dall’atto scritto la riferibilità dell’esigenza temporanea a ciascuna delle assunzioni a termine.



A questo riguardo si richiama quanto enunciato da un giudice di merito (Trib. Frosinone, 9.2.2005) secondo cui “la sussistenza delle circostanze enunciate dal datore deve essere oggettivamente controllabile e deve essere messa in relazione con la specifica assunzione della quale si tratta”.



Medesima è la posizione manifestata da questo Tribunale, nella persona di altro giudice, in una recente pronuncia con la quale è stato affermato, con riguardo alle ragioni in parola, che “Si tratta di concetti che richiedono di essere specificati in concreto e nei singoli casi di utilizzo dei contratti a termine, al fine di non eludere la possibilità di un reale controllo, anche giudiziale, che sarebbe vanificato dalla genericità delle indicazioni contrattuali. (Trib. Reggio Calabria 10.3.2006).



Nella stessa linea si colloca la pronuncia del Trib. Milano del 31.10.2003, secondo cui è necessario che il datore di lavoro “indichi specificamente le ragioni … e, in sede giudiziaria, provi l’effettiva ricorrenza in fatto delle esigenze che legittimano la deroga al principio generale… nonché il nesso eziologico tra tali esigenze e la stipulazione del singolo contratto a termine”.



La motivazione quindi è sufficiente se contiene l’indicazione degli elementi e circostanze dai quali il lavoratore possa inferire non solo la tipologia di causale, ma anche: a) la concreta ragione che giustifica l’apposizione del termine al singolo contratto; b) il carattere temporaneo della ragione; c) la correlazione (non necessariamente una rigorosa coincidenza) tra la ragione temporanea, da un lato, e la durata del contratto, dall’altro.



5. Da quanto puntualizzato al punto precedente deriva un’ulteriore conseguenza, decisiva ai fini della presente controversia.



Proprio in quanto il comma 2 prescrive non un semplice onere di giustificazione (come per il trasferimento ed il licenziamento, salvo richiesta dei motivi), ma un onere di motivazione, ossia di esternazione dei motivi contestuale all’atto, non è possibile un’integrazione postuma. Sarebbe infatti come integrare in via postuma l’atto stesso. Il che non è ammissibile, trattandosi di un atto a forma scritta vincolata, una copia del quale, tra l’altro, deve essere consegnata, ai sensi del terzo comma dell art. 1 d.lgs. cit., al lavoratore entro cinque giorni dall’inizio della prestazione.



Mentre in caso di onere di giustificazione i motivi rimangono semplici circostanze fattuali e pertanto possono essere allegati e provati anche in sede giudiziale, in caso di motivazione in senso proprio, essi entrano a far parte integrante dell’atto. Di talché la loro mancanza o la loro inidoneità comporta un vizio strutturale dell’atto.



La funzione della motivazione è far sì che il lavoratore sia messo in grado di verificare sin da subito la sussistenza delle ragioni, in modo che non sia costretto a proporre ricorsi “al buio”. Ammettere un’integrazione postuma, in sede giudiziale, della motivazione significherebbe vanificarne la funzione essenziale.



6. Venendo ora alla fattispecie in esame, la motivazione così recita: “stipulano il seguente contratto di lavoro a tempo determinato per la realizzazione tecnica e produttiva delle opere civili di cantiere dovuta all’incremento di attività..”.



Dal che si desume che le mansioni per le quali i lavoratore sono stati assunti attengono alla realizzazione di opere civili di cantiere e che la ragione dell’apposizione del termine consiste nell’incremento di attività.



Ora, l’applicazione delle coordinate prima delineate porta a ritenere una siffatta motivazione inidonea ai sensi e per gli effetti di cui all art. 1 comma 2 d.lgs. cit.



Essa si limita ad indicare il tipo di ragione. Tipo astrattamente caratterizzato dalla nota della temporaneità. Manca però il benché minimo elemento da cui si possa evincere : a) la concreta ragione riferibile ai singoli contratti; b) il carattere temporaneo della ragione; c) la correlazione tra ragione temporanea, da un lato, e, dall’altro, durata dei contratti de quibus.



Nella memoria di costituzione parte convenuta espone di avere proceduto all’assunzione degli odierni ricorrenti in quanto la società cui era stata subappaltata la realizzazione di alcuni lotti ha cessato la propria collaborazione, cosicché l’odierna convenuta ha dovuto prendere in carico tali lavori.


Per quanto prima detto però, anche ove si stimasse tale circostanza potenzialmente rilevante ai fini del rispetto della previsione di cui al comma 2, sarebbe comunque inutilizzabile siccome in nessun modo, neanche ad un livello embrionale, evincibile dalla motivazione del contratto.



Deve pertanto ritenersi che la motivazione de qua è inidonea ai sensi e per gli effetti di cui all art. 1 comma 2 d.lgs. n. 368.



7. Ai sensi dell art. 1 comma 2 , l’apposizione del termine rimane priva di effetto. Ne discende dunque l’inefficacia della clausola con la quale è stato apposto il termine ai contratti degli odierni ricorrenti.



L’inefficacia della clausola non determina la nullità dell’intero contratto.



E ciò sia sotto il profilo del primo comma dell art. 1419 c.c., visto che non risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella clausola. Va precisato al riguardo che deve risultare che entrambi i contraenti, quindi anche il lavoratore (in tal senso, Cass. n. 5330/2006) non avrebbero stipulato il contratto senza quella clausola. Il che nella fattispecie in esame è senza alcun dubbio da escludere.



Sia sotto il profilo del secondo comma dell’art. 1419 c.c., dato che, in forza del principio di normalità del contratto a tempo indeterminato, la clausola con cui è apposto il termine illegittimo deve ritenersi sostituita di diritto dalle norme che il predetto principio fissano.



Da tutto ciò consegue la riespansione della forma comune del contratto a tempo indeterminato. E pertanto i contratti stipulati dagli odierni ricorrenti devono essere qualificati come contratti a tempo indeterminato, con conseguente prosecuzione del rapporto di lavoro degli odierni ricorrenti che pertanto hanno il diritto alla riammissione in servizio.



I ricorsi vanno pertanto accolti e per l effetto va dichiarato che i contratti in questione vanno qualificati come contratti a tempo indeterminato.



9. Conseguentemente parte resistente va condannata alla corresponsione in favore dei ricorrenti, a titolo di risarcimento del danno, di una somma corrispondente alle retribuzioni spettanti dalla data dell’interruzione dei rapporti di lavoro alla data dell’effettiva reintegrazione, oltre alla rivalutazione monetaria ed agli interessi legali sulla somma originaria annualmente rivalutata.



10. Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.



Reggio Calabria, 20.7.2007



Il Giudice


 
Copyright © 2004 - 2008 lavoroprevidenza.com - Avvertenze legali | Ufficio Stampa | Citazione articoli