lavoroprevidenza
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11/11/2016
I DOCENTI E GLI ATA PRECARI O GIA´ DI RUOLO POSSONO OTTENERE PER INTERO IL RICONOSCIMENTO DEL PERIODO PRERUOLO
La sentenza n. 22558/2016 della Suprema Corte di Cassazione Sezione Lavoro del 07.11.2016 è una sentenza storica per il mondo della SCUOLA PUBBLICA.
A partire da oggi qualunque precario per i dieci anni precedenti può chiedere con un ricorso al Giudice del Lavoro il riconoscimento giuridico della m...


10/04/2016
CHI ISCRIVE IPOTECA PER UN VALORE SPROPOSITATO PAGA I DANNI
E’ di questi ultimi giorni la decisione della Suprema Corte di Cassazione che ha stabilito una responsabilità aggravata in capo a chi ipoteca il bene (es. casa di abitazione) del debitore ma il credito per il quale sta agendo è di importo di gran lunga inferiore rispetto al bene ipotecato....


19/05/2015
Eccessiva durata dei processi: indennizzi più veloci ai cittadini lesi
La Banca d´Italia ed il Ministero della Giustizia hanno firmato un accordo di collaborazione per accelerare i tempi di pagamento, da parte dello Stato, degli indennizzi ai cittadini lesi dall´eccessiva durata dei processi (legge n. 89 del 2001, c.d. “legge Pinto”).
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26/11/2014
Sentenza Corte giustizia europea precariato: vittoria! Giornata storica.
La Corte Europea ha letto la sentenza sull´abuso dei contratti a termine. L´Italia ha sbagliato nel ricorrere alla reiterazione dei contratti a tempo determinato senza una previsione certa per l´assunzione in ruolo.
Si apre così la strada alle assunzioni di miglialia di precari con 36 mesi di preca...


02/04/2014
Previdenza - prescrizione ratei arretrati - 10 anni anche per i giudizi in corso
La Consulta boccia la norma d´interpretazione autentica di cui all’art. 38, comma 4, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, nella parte in cui prevede c...


27/11/2013
Gestione Separata Inps: obbligo d´iscrizione per i professionisti dipendenti?
Come è noto, la Gestione Separata dell’INPS è stata istituita dalla legge 335/1995 al fine di garantire copertura previdenziale ai lavoratori autonomi che ne fossero sprovvisti....


25/11/201
Pubblico dipendente, libero professionista, obbligo d´iscrizione alla Gestione Separata Inps
Come è noto, la Gestione Separata dell’INPS è stata istituita dalla legge 335/1995 al fine di garantire copertura previdenziale ai lavoratori autonomi che ne fossero sprovvisti.
...


05/05/2013
L´interesse ad agire nelle cause previdenziali. Analsi di alcune pronunce
Nell´area del diritto previdenziale vige il principio consolidato a livello giurisprudenziale, secondo il quale l’istante può avanzare all’Autorità Giudiziaria domanda generica di ricalcolo di un trattamento pensionistico che si ritiene essere stato calcolato dall’Istituto in modo errato, senza dete...









   martedì 24 giugno 2008

RETRIBUIBILITA’ DELLE MANSIONI SUPERIORI, SVOLTE DI FATTO, IN MODO EFFETTIVO, DAL PUBBLICO IMPIEGATO: NESSUNO SBARRAMENTO TEMPORALE ALL’APPLICABILITA’ DELL’ART. 36 COST.

Il rapporto giuridico retributivo si sgancia dal novero dei diritti di credito e si inscrive nel registro dei diritti assoluti della persona
Corte di Cassazione, Sezioni Unite civili, sentenza 11 dicembre 2007 n. 25837 (Pres. Carbone – rel. Vidimi)
di GIUSEPPE BUFFONE
(Magistrato ordinario)

1. La retribuibilità delle prestazioni di fatto nel P.I.
La retribuibilità delle mansioni superiori, svolte in fatto ed in modo effettivo, dal pubblico impiegato, ha costituito (ed, invero, tuttora costituisce) uno dei nodi interpretativi maggiormente problematici in tema di rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A. , se non altro per la convergenza di disposizioni costituzionali che paiono porsi in posizione conflittuale. Il punctum pruriens investe la più generale problematica della rilevanza giuridica delle prestazioni di fatto svolte nel pubblico impiego. Nel vigore della disciplina precedente il d.lg. n. 165/2001 (cd. T.U. del pubblico impiego), la giurisprudenza si era già “sforzata” di reperire strumenti di tutela a favore del lavoratore (ad es. in caso di assunzioni nulle per violazione di divieti legali) ora dando la stura alla possibilità di configurare un rapporto di lavoro pubblico “di mero fatto”, ora nel senso di attribuire al lavoratore l’azione di indebito arricchimento ; in ambo i casi, al fine di salvaguardare il trattamento economico e previdenziale corrispondente alle mansioni svolte. Più volte, quindi, si era fatto applicazione dell´art. 2126 c.c. e le fattispecie a cui in passato prevalentemente si applicava la norma de qua erano quelle dell´assunzione disposta in difetto di previo concorso e quella dello svolgimento di mansioni superiori in mancanza di un provvedimento formale di assegnazione . Un ostacolo alla retribuibilità delle prestazioni di fatto rimaneva, però, il divieto di corresponsione della retribuzione corrispondente alle mansioni superiori stabilito dall´art. 56, comma 6, del d.lgs. n. 29 del 1993 (poi modificato dall´art. 25 del d. lgs. n. 80 del 1998) il quale stabiliva che: “in nessuno caso lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza può comportare il diritto a differenze retributive o ad avanzamenti automatici nell’inquadramento professionale del lavoratore”. Con una inversione di rotta, il legislatore decideva, tuttavia, di sopprimere siffatto enunciato, mediante intervento correttivo realizzato con l’introduzione dell´art. 15 del d. lgs. n. 387 del 1998 (“all´articolo 56, comma 6, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 , all´ultimo periodo sono soppresse le parole: «a differenze retributive o»”). In tal modo il legislatore manifestava la volontà di rendere anticipatamente operativa la disciplina di cui all’art. 56 del d.lgs. n. 29/1993, almeno con riguardo al diritto del dipendente pubblico, che ne avesse svolto le funzioni, a conseguire il trattamento economico relativo alla qualifica immediatamente superiore.
Proprio con riguardo a siffatto enunciato normativo si pongono delicati problemi ermeneutici particolarmente significativi, oggetto di interpretazioni opposte in seno alle Alte Corti e che involgono, anche, la applicazione di principi costituzionali di primaria importanza (art. 36 Charta Chartorum)

2. Art. 15 d.lgs. 387/1998: efficacia retroattiva?
Ci si è chiesti, infatti, per effetto della modifica in parola, se il decreto 387/1998 sia da considerare come lo spartiacque in materia di retribuibilità delle mansioni superiori ovvero se abbia o meno efficacia anche per il passato. La giurisprudenza amministrativa ha ritenuto che, per effetto della modifica apportata dall’art. 15 cit., il diritto del dipendente pubblico, che ne abbia svolto le funzioni, al trattamento economico relativo alla qualifica immediatamente superiore vada riconosciuto con carattere di generalità solo a decorrere dalla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 387/1998 (22 novembre 1998). Si è detto, in tal senso, che il riconoscimento legislativo di siffatto diritto possiede evidente carattere innovativo e non riverbera in alcun modo la propria efficacia su situazioni pregresse. Così interpretato, l’art. 56 del d.lgs. n. 29/1993, nel testo modificato dall’art. 15 del d.lgs. n. 387/1998, con riguardo al periodo precedente l´entrata in vigore di quest’ultimo, non consente che lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica ricoperta formalmente comporti il pagamento delle differenze retributive eventualmente pretese dal pubblico dipendente. L’assunto sin qui richiamato è stato di recente ribadito dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza 24 marzo 2006 n. 3. Ha affermato il Collegio di Palazzo Spada che la norma non appare incostituzionale, non essendo, sotto l’aspetto dello svolgimento di mansioni superiori da parte del dipendente, il rapporto di pubblico impiego assimilabile al rapporto di lavoro privato, in quanto nell’ambito del rapporto di pubblico impiego concorrono, con l’art. 36 della cost. (il quale afferma il principio di corrispondenza della retribuzione dei lavoratori alla qualità e quantità del lavoro prestato), altri principi di pari rilevanza costituzionale; quali quelli previsti dall´art. 98 della cost. (il quale, nel disporre che i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione, vieta che la valutazione del rapporto di pubblico impiego sia ridotta alla pura logica del rapporto di scambio) e dall´art. 97 della cost., contrastando l´esercizio di mansioni superiori rispetto alla qualifica rivestita con i principi di buon andamento e imparzialità dell´amministrazione, nonché con la rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità dei funzionari. In ogni caso, il generale riconoscimento del diritto dei pubblici dipendenti alle differenze retributive per lo svolgimento delle mansioni superiori svolte solo a decorrere dall´entrata in vigore del d.lgs. n. 387/1998 trova la sua ratio con l’organica disciplina delle mansioni introdotta dall’art. 25 del d.lgs. n. 80/1998, che ha sostituito e abrogato le disposizioni apportate in materia, rispettivamente, dagli artt. 56 e 57 del d.lgs. n. 29/1993 . “L’art. 25 del d.lgs. n. 80/1998, una volta delineata la completa disciplina della materia in parola in un quadro di armonico rispetto dei principi costituzionali ricavabili dagli artt. 51, 97 e 98 della cost., ha consentito di recepire nell’ordinamento del pubblico impiego il pur primario valore di cui all’art. 36 della cost.; disponendo che, per il periodo di effettiva prestazione delle mansioni superiori, il lavoratore ha diritto al trattamento economico previsto per la corrispondente qualifica. Il che non fa dubitare della costituzionalità della pregressa disciplina, dato che essa tende - in maniera razionale, in assenza di un compiuto quadro di regolamentazione dell’istituto e in vista dell’equo contemperamento dei principi costituzionali sopra enunciati - soltanto a evitare che le attribuzioni delle mansioni e del relativo trattamento economico potessero, nel pubblico impiego, essere oggetto di libere determinazioni da parte dei funzionari .
L’indirizzo pur recepito dal Supremo Consesso Amministrativo non ha trovato conferma nella giurisprudenza della Cassazione che ha precisato che l´assoluta esclusione, a opera del nuovo art. 56, comma 6, del d.lgs. n. 29/1993, del diritto a differenze di retribuzione nel caso di svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza, è giustificatamente apparsa al legislatore delegato, a un più meditato esame, come una norma in contrasto con i principi costituzionali, da espungere quindi in occasione del primo intervento correttivo. Tale essendo la ratio della disposizione correttiva, è giustificata l´interpretazione che attribuisce alla medesima la sua massima potenzialità rispetto alla sua ragione e alla sua funzione, e cioè un´efficacia retroattiva. In sostanza, l´attribuzione dell’efficacia retroattiva alla disposizione correttiva di cui all´art. 15 del d.lgs. n. 387/1998 assicura - diversamente dell’opposta interpretazione - la conformità ai principi costituzionali della normativa vigente precedentemente, e quindi è rispettosa del criterio interpretativo secondo cui deve preferirsi l´interpretazione che comporta un quadro normativo compatibile con le prescrizioni costituzionali.
Nel solco di siffatta linea di pensiero – pur dopo l’arresto dell’Adunanza Plenaria del 2005 – la Cassazione non ha mutato corrente di pensiero avendo, anche di recente, a Sezioni Unite, disatteso e censurato l’indirizzo sposato dal Consiglio di Stato (Sezioni Unite, sentenza 11 dicembre 23847) affermando che, in materia di pubblico impiego che all’art. 15 d. lgs. 29 ottobre 1998 n. 387 deve essere riconosciuta efficacia retroattiva cosicché l´impiegato cui sono state assegnate, al di fuori dei casi consentiti, mansioni superiori, anche corrispondenti ad una qualifica di due livelli superiori a quella di inquadramento, ha diritto ad una retribuzione proporzionata e sufficiente ex art. 36 Cost. Norma questa che deve, quindi, trovare integrale applicazione — senza sbarramenti temporali di alcun genere - pure nel settore del pubblico impiego privatizzato.
Come è facile intuire, la quaestio juris involge l’applicabilità o meno dell’art. 36 Cost anche al Pubblico Impiego: per la Cassazione possibile senza limitazioni temporali; per il Consiglio di Stato da profilare solo all’indomani del decreto 387/1998 (nel balancing costituzionale tra detta norma ed artt. 97 e 98 cost.).
E’ opportuno addentrarsi nelle argomentazioni a sostegno dell’una e dell’altra tesi muovendo, tuttavia, dal dato normativo attualmente vigente: l’art. 52 d.lgs. 165/2001.


3. Entrata in vigore del Testo Unico sul Pubblico Impiego
Con l´emanazione del testo unico sul lavoro alle dipendenze delle p.a. (già cit. d.lg. n. 165/2001) sono stati posti due fondamentali punti fermi al dibattito in merito alle prestazioni di fatto e, quindi, sui profili applicativi dell´art. 2126 c.c. (come evidenzia la migliore dottrina) : “in primo luogo qualunque vizio riguardante la fase dell´assunzione e della precedente selezione comporta (ex art. 36, c. 2, d.lg. citato) la nullità del contratto per violazione delle disposizioni imperative; inoltre, in tutti i casi in cui l´assunzione del lavoratore avvenga in violazione di norme sostanziali e procedurali, l´accertamento di tale violazione impone al giudice ordinario di emettere una sentenza con effetto estintivo del rapporto di lavoro (art. 63, c. 2, d.lg. citato)” . La nuova disciplina ha comportato una estensione delle ipotesi di applicabilità della disciplina della prestazione di fatto, sebbene il ricorso all’art. 2126 c.c. sia divenuto superfluo a seguito dell´espresso riconoscimento - operato dall´art. 52 d.lg. citato - del diritto al trattamento economico corrispondente alle mansioni superiori di fatto svolte.
Ai sensi del già citato art. 52, comma I, del d.lgs. 165/2001, il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni considerate equivalenti nell´ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi, ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto dello sviluppo professionale o di procedure concorsuali o selettive. L´esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell´inquadramento del lavoratore o dell´assegnazione di incarichi di direzione. La norma non esclude che il prestatore di lavoro possa essere adibito a mansioni proprie della qualifica immediatamente superiore ma purché ciò avvenga “per obiettive esigenze di servizio” e nei casi previsti dall’art. 52, comma II, T.U. cit. :
a) nel caso di vacanza di posto in organico, per non più di sei mesi, prorogabili fino a dodici qualora siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti;
b) nel caso di sostituzione di altro dipendente assente con diritto alla conservazione del posto, con esclusione dell´assenza per ferie, per la durata dell´assenza.
Nei casi evidenziati, se il dipendente svolge i compiti delle mansioni superiori con “attribuzione degli stessi in modo prevalente, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale”, per il periodo di effettiva prestazione, il lavoratore ha diritto al trattamento previsto per la qualifica superiore. La disposizione in esame ha, poi, cura di tenere distinti da un lato il fascio applicativo della retribuibilità delle mansioni superiori e dall’altro la validità della modifica nell’assetto organizzativo: “al fuori delle ipotesi di cui al comma 2, è nulla l´assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore, ma al lavoratore è corrisposta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore. Il dirigente che ha disposto l´assegnazione risponde personalmente del maggiore onere conseguente, se ha agito con dolo o colpa grave”.
Se questo sin qui brevemente richiamato è il quadro in punto di “an” della retribuibilità, controverso è, tuttavia, risultato – come già anticipato - il riconoscimento [o meno] del diritto ad un´equa retribuzione ex art. 36 Cost. al lavoratore cui vengano assegnate mansioni superiori al di fuori delle procedure prescritte per l´accesso agli impieghi ed alle qualifiche pubbliche (con precipuo riguardo al periodo anteriore al d.lgs. 387/1998). La particolare importanza della questione di diritto trattata ha indotto, di recente, le Sezioni unite ai sensi del disposto dell´art. 384, comma primo, c.p.c. (nel testo riscritto dall´art. 12 del d. lgs 2 febbraio 2006 n. 40) - nella cui ratio non è affatto estraneo il rafforzamento della funzione nomofilattica della Corte di cassazione - ad enunciare specifico principio di diritto, particolarmente significativo. Gli orientamenti della giurisprudenza, sul punto, sono in netta posizione di antitesi. Un primo indirizzo ermeneutico, dell’A.G.O. - dopo avere evidenziato come il divieto di corresponsione della retribuzione corrispondente alle mansioni superiori stabilito dall´art. 52, comma 6, del d. lgs. n. 29 del 1993 (poi modificato dall´art. 25 del d. lgs. n. 80 del 1998) sia stato soppresso dall´art. 15 del d. lgs. n. 387 del 1998 con efficacia retroattiva - reputa che sia ormai principio acquisito la necessità un giusto contemperamento, da perseguirsi attraverso il ricorso alla ex art. 36 Cosi, fra retribuzione e quantità e qualità del lavoro svolto anche nel caso che l´utilizzazione del dipendente avvenga in mansioni che siano state irregolarmente acquisite. La giurisprudenza amministrativa ha seguito, invece, un orientamento volto al diniego dell´applicabilità dell´art. 36 Cost. al pubblico impiego sul presupposto che su detta norma volta al rispetto della giusta retribuzione debbano prevalere gli artt. 97 e 98 Cost. non potendo il rapporto di pubblico impiego essere in alcun modo assimilato ad un rapporto di scambio e dovendosi, anche ai fini del controllo della spesa, rispettare l´esigenza di conservazione di un assetto della pubblica amministrazione rigido e trasparente, espressione della quale è quella della supremazia del parametro della qualifica su quello delle mansioni, sicché in una siffatta ottica ostano all´applicabilità dell´art. 36 Cost. pure le norme codicistiche dell´art. 2116 c.c. e 2041 c.c.

Indirizzi a confronto

ART. 36 COST. APPLICABILE A DECORRERE DALL’ENTRATA IN VIGORE DEL D.LGS. 387/1998 ART. 36 COST. APPLICABILE SENZA SBARRAMENTI TEMPORALI
Adunanza Plenaria 3/2006 Sezioni Unite 23847/2007

il riconoscimento legislativo di siffatto diritto possiede evidente carattere innovativo e non riverbera in alcun modo la propria efficacia su situazioni pregresse

L’art. 15 d.lgs. 387/1998 ha efficacia retroattiva, in ottemperanza al criterio interpretativo secondo cui deve preferirsi l´interpretazione che comporta un quadro normativo compatibile con le prescrizioni costituzionali.

Sotto l’aspetto dello svolgimento di mansioni superiori da parte del dipendente, il rapporto di pubblico impiego non è assimilabile al rapporto di lavoro privato, in quanto nell’ambito del rapporto di pubblico impiego concorrono, con l’art. 36 della cost. altri principi di pari rilevanza costituzionale; quali quelli previsti dall´art. 98 della cost. e dall´art. 97 della cost., contrastando l´esercizio di mansioni superiori rispetto alla qualifica rivestita con i principi di buon andamento e imparzialità dell´amministrazione, nonché con la rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità dei funzionari
Nel pubblico impiego privatizzato, il divieto di corresponsione della retribuzione corrispondente alle mansioni superiori, stabilito dal comma sesto dell´art. 56 del d. lgs. n. 29 del 1993, come modificato dall´art. 25 del d. lgs. n. 80 del 1998, è stato soppresso dall´art. 15 del d. lgs. n. 387 del 1998, con efficacia retroattiva, atteso che la modifica del comma 6 ultimo periodo disposta dalla nuova norma è una disposizione di carattere transitorio, non essendo formulata in termini atemporali, come avviene per le norme ordinarie, ma con riferimento alla data ultima di applicazione della norma stessa e quindi in modo idoneo a incidere sulla regolamentazione applicabile all´intero periodo transitorio.

In ogni caso, il generale riconoscimento del diritto dei pubblici dipendenti alle differenze retributive per lo svolgimento delle mansioni superiori svolte solo a decorrere dall´entrata in vigore del d.lgs. n. 387/1998 trova la sua ratio con l’organica disciplina delle mansioni introdotta dall’art. 25 del d.lgs. n. 80/1998, che ha sostituito e abrogato le disposizioni apportate in materia, rispettivamente, dagli artt. 56 e 57 del d.lgs. n. 29/1993

Il principio della retribuzione proporzionato e sufficiente ex art. 36 Cost è applicabile anche al pubblico impiego senza limitazioni temporali

La lettura ermeneutica in esame è stata anche di recente ribadita dal Supremo Consesso di Giustizia Amministrativa (Cons. Stato, Sez. V, 6 luglio 2007, n. 3861) allorché ha affermato che “l´art. 36 della Cost., non può trovare incondizionata applicazione nel rapporto di pubblico impiego, concorrendo in detto ambito altri principi di pari rilevanza costituzionale, quali quelli previsti dall´art. 98 Cost., che, nel disporre che i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione, vieta che la valutazione del rapporto di pubblico impiego sia ridotta alla pura logica del rapporto di scambio, e quelli previsti dall´art. 97 Cost., contrastando l´esercizio di mansioni superiori rispetto alla qualifica rivestita, con il buon andamento e l´imparzialità dell´Amministrazione, nonché con la rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità dei funzionari”.
Nonostante tale indirizzo - secondo cui, come visto, il principio della corrispondenza ex art. 36 Cost. della retribuzione dei lavoratori alla qualità e quantità del lavoro prestato, non può trovare applicazione nel rapporto di pubblico impiego, concorrendo in detto ambito altri principi di pari rilevanza costituzionale - si sono sul punto tuttavia manifestate, in alcune pronunzie dell´Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, significative aperture verso una maggiore tutela del lavoratore essendosi ritenuto : che le differenze retributive vanno riconosciute al lavoratore sin dal momento dell´emanazione del d. lgs. n. 387/1998 e non a partire dalla stipulazione dei nuovi contratti collettivi (Cons. Stato, Ad, plen. 28 gennaio 2000 n. 10), e che è consentita la trasposizione di regole privatistiche nell´area del pubblico impiego, sicché l´art. 2126 c.c. può trovare applicazione anche in un rapporto instauratosi con la pubblica amministrazione, senza il rispetto delle norme che ne regolano la costituzione, con l´effetto che al dipendente di mero fatto della pubblica amministrazione devono essere riconosciute le prestazioni retributive e previdenziali (Cons. Stato, Ad. plen. 29 febbraio 1992 n. 1).
A diverse conclusioni è pervenuta la giurisprudenza dei giudici della legge per avere, infatti, la Corte costituzionale con numerose pronunzie patrocinato la diretta applicabilità al rapporto di pubblico impiego dei principi dettati dall´art. 36 della Costituzione, specificando al riguardo che detta norma a prescindere dalla eventuale irregolarità dell´atto o dall´assegnazione o meno dell´impiegato a mansioni superiori (Corte Cost. 23 febbraio 1989 n. 57; Corte Cost ord. 26 luglio 1988 n. 908) ; che (Corte Cost. 27 maggio 1992 n. 236); che il mantenere da parte della pubblica amministrazione l´impiegato a mansioni superiori, oltre i limiti prefissati per legge, determina una mera illegalità, che però non priva il lavoro prestato della tutela collegata al rapporto - ai sensi dell´art. 2126 c.c.. e, tramite detta disposizione, dell´art,. 36 Cost - perché non può ravvisarsi nella violazione della mera ristretta legalità quella illiceità che si riscontra, invece, nel contrasto e che, alla stregua della citata norma codicistica, porta alla negazione di ogni tutela del lavoratore (Corte Cost 19 giugno 1990 n. 296 attinente ad una fattispecie riguardante il trattamento economico del personale del servizio sanitario nazionale in ipotesi di affidamento di mansioni superiori in violazione del disposto dell´art. 29, comma 2, d.p.r. n. 761 del 1979) .
Nella sentenza dell’11 dicembre c.a. (Sezioni Unite, decisione n. 25837, già cit.) il Collegio di Cassazione rimarca che l´estensione della norma costituzionale all´impiego pubblico è condivisa anche dalla dottrina giuslavoristica che evidenzia come - pur essendo a seguito del d. lgs. n. 165 del 2001 il trattamento economico dell´impiegato disciplinato dalla contrattazione collettiva e pur essendo detta contrattazione non priva di vicoli unilateralmente opposti per fini di controllo della spesa pubblica (quali quelli derivanti dai primi tre commi dell´art 48 del suddetto decreto) - i suddetti vincoli derivanti da esigenze di bilancio non impediscano comunque la piena operatività, anche nel settore del lavoro pubblico, dei principi costituzionali di proporzionalità ed efficienza della retribuzione espressi dall´art. 36 Cost. “Principio questo che per poggiare sulla peculiare corrispettività del rapporto lavorativo - qualificato dalla specifica rilevanza sociale che assume in esso la retribuzione volta a compensare e della ostativa a qualsiasi rapporto gerarchico tra gli stessi, che l’attenuazione del principio sinallagmatico, integrato nel caso in esame dalla rilevanza della persona umana (che determina una traslazione del datore di lavoro del rischio della inattività del prestatore di lavoro, come in caso di sospensione del rapporto) attestano una dimensione sociale della retribuzione e la sentita esigenza della copertura a livello costituzionale dei diritti inderogabili del lavoratore”.
Le considerazioni svolte hanno fornito alle Sezioni Unite le coordinate per la soluzione della problematica in esame. Ed, infatti, alla stregua di quanto sinora enunciato e proprio in conformità della ricordata giurisprudenza della Corte Costituzionale, gli ermellini reputano che deve essere ribadito il principio fissato dai giudici di legittimità secondo il quale, “nel pubblico impiego privatizzato, il divieto di corresponsione della retribuzione corrispondente alle mansioni superiori, stabilito dal comma sesto dell´art. 56 del d. lgs. n. 29 del 1993, come modificato dall´art. 25 del d. lgs. n. 80 del 1998, è stato soppresso dall´art. 15 del d. lgs. n. 387 del 1998, con efficacia retroattiva, atteso che la modifica del comma 6 ultimo periodo disposta dalla nuova norma è una disposizione di carattere transitorio, non essendo formulata in termini atemporali, come avviene per le norme ordinarie, ma con riferimento alla data ultima di applicazione della norma stessa e quindi in modo idoneo a incidere sulla regolamentazione applicabile all´intero periodo transitorio. Ne consegue che il principio della retribuzione proporzionato e sufficiente ex art. 36 Cost è applicabile anche al pubblico impiego senza limitazioni temporali . Corollario di quanto sinora esposto è che - stante la valenza generale dei criteri parametrici fissati dalla norma costituzionale in materia di retribuzione -il disposto dell´art. 36 Cost. non può non trovare applicazione anche nelle fattispecie, analoghe a quella in esame, in cui la pretesa del lavoratore alla retribuzione corrispondente allo svolgimento dell´attività prestata riguardi mansioni superiori corrispondenti ad una qualifica di due livelli superiori a quella di inquadramento (cfr. sul punto : Cass. 25 ottobre 2004 n.; 20692). Sul versante fattuale, poi, l´estensione della norma costituzionale nei sensi innanzi precisati richiede in ogni caso che le mansioni assegnate siano in concreto svolte nella loro pienezza, sia per quanto attiene al profilo quantitativo che qualitativo dell´attività spiegata sia per quanto attiene all´esercizio dei poteri ed alle correlative responsabilità attribuitegli, al riguardo; circostanze queste che ben possono ritenersi provate sulla base dei fatti allegati in causa (ad esempio, lunga durata nello svolgimento delle mansioni, mancata denunzia di inadempimenti o di inesatti assolvimenti degli obblighi derivanti dalle mansioni assegnate) nonché della condotta processuale della parte datoriale (acquiescenza o mancata contestazione ex art. 416 c.p.c. dei fatti e degli elementi di diritto della domanda di controparte) .
Le Sezioni Unite hanno cura di precisare che al fine di patrocinare una interpretazione del dato normativo diversa da quella seguita sulla scia della giurisprudenza costituzionale, non vale prospettare la possibilità di abusi conseguenti al riconoscimento del diritto ad un´equa retribuzione ex art. 36 Cost. al lavoratore cui vengano assegnate mansioni superiori al di fuori delle procedure prescritte per l´accesso agli impieghi ed alle qualifiche pubbliche, perché, come è stato rimarcato da più parti, il cattivo uso di assegnazione di mansioni superiori impegna la responsabilità disciplinare e patrimoniale (e sbianche penale qualora si finisse per configurare un abuso di ufficio per recare ad altri vantaggio) del dirigente preposto alle gestione dell´organizzazione del lavoro, ma non vale di certo sul piano giuridico a giustificare in alcun modo la lesione di un diritto di cui in precedenza si è evidenziata la rilevanza costituzionale .
Questo, in conclusione, il principio di diritto enunciato dal Supremo Collegio:
“In materia di pubblico impiego - come si evince anche dalla lettura dell´art. 56, comma sesto, d. lgs. 3 febbraio 1993 n. 29 (nel testo sostituito dall´art. 25 del d. lgs. 31 marzo 1998 n. 80, così come successivamente modificato dall´art. 15 d. lgs. 29 ottobre 1998 n. 387) - l´impiegato cui sono state assegnate, al di fuori dei casi consentiti, mansioni superiori, anche corrispondenti ad una qualifica di due livelli superiori a quella di inquadramento, ha diritto, in conformità della giurisprudenza della Corte Costituzionale, ad una retribuzione proporzionata e sufficiente ex art. 36 Cost. Norma questa che deve, quindi, trovare integrale applicazione — senza sbarramenti temporali di alcun genere - pure nel settore del pubblico impiego privatizzato, sempre che le superiori mansioni assegnate siano state svolte, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, nella loro pienezza, e sempre che in relazione all´attività spiegata siano stati esercitati i poteri ed assunte le responsabilità correlate a dette superiori mansioni”.

4. Diritto alla retribuzione
Il grimaldello costituzionale di cui all’art. 36 – norma-principio - sancisce che il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un´esistenza libera e dignitosa: aggancia, cioè, il trattamento retributivo al requisito della proporzionalità ed a quello della sufficienza. La norma non consente distinzioni ingiustificate né scollature temporali se non attraverso interpretazioni che si rivelino essere un chiaro vulnus alla stessa disposizione ovvero all’art. 3 cost. Essa, cioè, si riferisce alla “persona” del lavoratore, che sia dipendente del settore privato ovvero dell’impiego pubblico. Risulta, pertanto, condivisibile la lettura della Corte di Cassazione, in calce alla disposizione, che nega soggiorno alla diagnosi ermeneutica pur patrocinata dal Consiglio di Stato: ed, infatti, il balancing costituzionale non si traduce necessariamente nel sacrificio di un principio in favore dell’altro potendosi ben estrinsecare in un giusto compromesso che, tuttavia, non dimentica la centralità della persona umana nella Carta costituzionale. Ciò vuol dire che anche per il passato (ante decreto 387/98) non può che essere riconosciuta la retribuibilità delle mansioni superiori, in ossequio alle giustissime osservazioni riportate dalle Sezioni Unite.
E ciò valorizzando una considerazione che merita di essere condivisa: l’inquadramento del rapporto giuridico retributivo tra i diritti assoluti della persona poiché, come pur evidenziato dalla più autorevole dottrina, nel rapporto di lavoro entra in gioco l’ottica “dell’essere” a fronte degli altri rapporti contrattuali in cui emerge quella dell’”avere”.






NOTE di giurisprudenza


In materia di pubblico impiego - come si evince anche dalla lettura dell´art. 56, comma sesto, d. lgs. 3 febbraio 1993 n. 29 (nel testo sostituito dall´art. 25 del d. lgs. 31 marzo 1998 n. 80, così come successivamente modificato dall´art. 15 d. lgs. 29 ottobre 1998 n. 387) - l´impiegato cui sono state assegnate, al di fuori dei casi consentiti, mansioni superiori, anche corrispondenti ad una qualifica di due livelli superiori a quella di inquadramento, ha diritto, in conformità della giurisprudenza della Corte Costituzionale, ad una retribuzione proporzionata e sufficiente ex art. 36 Cost. Norma questa che deve, quindi, trovare integrale applicazione — senza sbarramenti temporali di alcun genere - pure nel settore del pubblico impiego privatizzato, sempre che le superiori mansioni assegnate siano state svolte, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, nella loro pienezza, e sempre che in relazione all´attività spiegata siano stati esercitati i poteri ed assunte le responsabilità correlate a dette superiori mansioni
Cassazione, Sezioni Unite, sentenza 11 dicembre 2007 n. 23847

Prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 387/1998, nel settore del pubblico impiego, salva diversa disposizione di legge, le mansioni svolte da un pubblico dipendente erano da assumersi del tutto irrilevanti; affermazione che trova peraltro la sua ratio nell’organica disciplina delle mansioni introdotta dall’art. 25 del d.lgs. n. 80/1998 il quale ultimo (nel sostituire ed abrogare le disposizioni apportate in materia, rispettivamente, dagli artt. 56 e 57 del d.lgs. n. 29/1993), una volta delineata la completa disciplina della materia in parola in un quadro di armonico rispetto dei principi costituzionali ricavabili dagli artt. 51, 97 e 98 della Cost., ha consentito di recepire nell’ordinamento del pubblico impiego il pur primario valore di cui all’art. 36 della Carta fondamentale disponendo che, per il periodo di effettiva prestazione delle mansioni superiori, il lavoratore ha diritto al trattamento economico previsto per la corrispondente qualifica. Detta circostanza non fa peraltro dubitare della costituzionalità della pregressa disciplina, tendendo quest’ultima ragionevolmente (ed in assenza di un compiuto quadro di regolamentazione dell’istituto, oltre che in vista dell’equo contemperamento dei principi costituzionali sopra enunciati) soltanto a scongiurare che l’attribuzione di mansioni superiori (col correlativo trattamento economico) potesse, nel pubblico impiego, essere oggetto di libere determinazioni da parte dei funzionari”
Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 24 marzo 2006 n. 3

La norma di cui all´art. 15 del D.Lgs. n. 387/1998, non avendo carattere interpretativo, non può che disporre per il futuro. Il carattere di norma di interpretazione autentica va, infatti, riconosciuto soltanto alle norme dirette a chiarire il senso di quelle preesistenti, ovvero a escludere o a enucleare uno dei sensi tra quelli ragionevolmente ascrivibili alle norme interpretate; mentre, nel caso della suddetta disposizione la scelta assunta dalla norma non rientra in nessuna delle varianti di senso compatibili con il tenore letterale del combinato disposto dei pregressi artt. 56 e 57 del D.Lgs. n. 29/1993.
Cons. Stato, Sez. V, 12/04/2007, n.1722

La circostanza che l´art. 56 del D.Lgs. n. 29/1993, nel testo modificato dall´art. 15 del D.Lgs. n. 387/1998, con riguardo al periodo precedente l´entrata in vigore di quest´ultimo, non consenta che lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica ricoperta formalmente comporti il pagamento delle differenze retributive eventualmente pretese dal pubblico dipendente, non ne evidenzia l´incostituzionalità. Infatti, sotto l´aspetto dello svolgimento di mansioni superiori da parte del dipendente, il rapporto di pubblico impiego non può dirsi assimilabile al rapporto di lavoro privato, in quanto nell´ambito del rapporto di pubblico impiego concorrono, con l´art. 36 della Cost. (il quale afferma il principio di corrispondenza della retribuzione dei lavoratori alla qualità e quantità del lavoro prestato), altri principi di pari rilevanza costituzionale, quali quelli previsti dall´art. 98 della Cost. (che nel disporre che i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione, vieta che la valutazione del rapporto di pubblico impiego sia ridotta alla pura logica del rapporto di scambio) e dall´art. 97 della Cost., in quanto l´esercizio di mansioni superiori rispetto alla qualifica rivestita contrasta con i principi di buon andamento e imparzialità dell´Amministrazione, nonché con la rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità dei funzionari.
Cons. Stato, Sez. V, 12/04/2007, n.1722

Il generale riconoscimento del diritto dei pubblici dipendenti alle differenze retributive per lo svolgimento delle mansioni superiori svolte solo a decorrere dall´entrata in vigore del D.Lgs. n. 387/1998 trova la sua ratio con l´organica disciplina delle mansioni introdotta dall´art. 25 del D.Lgs. n. 80/1998, che ha sostituito e abrogato le disposizioni apportate in materia, rispettivamente, dagli artt. 56 e 57 del D.Lgs. n. 29/1993.
Cons. Stato, Sez. V, 12/04/2007, n.1722

Solo con l´art. 56, D.Lgs. n. 29 del 1993, nel testo sostituito dall´art. 25, D.Lgs. n. 80 del 1998, è stata regolamentata ex novo la materia relativa alla retribuibilità delle mansioni superiori del pubblico dipendente, attribuendosi al lavoratore del settore pubblico le differenze retributive dovute per svolgimento delle mansioni superiori anche nel caso di assegnazione nulla per violazione delle condizioni prescritte, con la contestuale attribuzione di responsabilità al Dirigente che ha disposto l´incarico in caso di dolo o colpa grave. Detta nuova disciplina è però inapplicabile alle situazioni esauritesi prima del 1998.
Cons. Stato, Sez. V, 13/12/2006, n.7356


 
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