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11/11/2016
I DOCENTI E GLI ATA PRECARI O GIA´ DI RUOLO POSSONO OTTENERE PER INTERO IL RICONOSCIMENTO DEL PERIODO PRERUOLO
La sentenza n. 22558/2016 della Suprema Corte di Cassazione Sezione Lavoro del 07.11.2016 è una sentenza storica per il mondo della SCUOLA PUBBLICA.
A partire da oggi qualunque precario per i dieci anni precedenti può chiedere con un ricorso al Giudice del Lavoro il riconoscimento giuridico della m...


10/04/2016
CHI ISCRIVE IPOTECA PER UN VALORE SPROPOSITATO PAGA I DANNI
E’ di questi ultimi giorni la decisione della Suprema Corte di Cassazione che ha stabilito una responsabilità aggravata in capo a chi ipoteca il bene (es. casa di abitazione) del debitore ma il credito per il quale sta agendo è di importo di gran lunga inferiore rispetto al bene ipotecato....


19/05/2015
Eccessiva durata dei processi: indennizzi più veloci ai cittadini lesi
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26/11/2014
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02/04/2014
Previdenza - prescrizione ratei arretrati - 10 anni anche per i giudizi in corso
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27/11/2013
Gestione Separata Inps: obbligo d´iscrizione per i professionisti dipendenti?
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25/11/201
Pubblico dipendente, libero professionista, obbligo d´iscrizione alla Gestione Separata Inps
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05/05/2013
L´interesse ad agire nelle cause previdenziali. Analsi di alcune pronunce
Nell´area del diritto previdenziale vige il principio consolidato a livello giurisprudenziale, secondo il quale l’istante può avanzare all’Autorità Giudiziaria domanda generica di ricalcolo di un trattamento pensionistico che si ritiene essere stato calcolato dall’Istituto in modo errato, senza dete...









   mercoledì 9 luglio 2008

IL PROVVEDIMENTO AMMINISTRATIVO DI SOSPENSIONE DELL’ATTIVITA’ D’IMPRESA

DALLA PRIMA APPLICAZIONE NEL SETTORE DELL’EDILIZIA (L.248/06) ALL’ART.14
DEL NUOVO D.LGS.81/08 IN MATERIA DI SALUTE E SICUREZZA NEI LUOGHI DI LAVORO
Articolo del Dott. Giuliano ESPOSITO

SOMMARIO: Introduzione – 1) La sicurezza nel settore edile ed il provvedimento di sospensione di cui all’art.36 bis, comma primo l.248/06 – 2) Il provvedimento di sospensione di cui all’art.5 della legge 123/07 – 3) La problematica applicazione del provvedimento di sospensione dell’attività alle violazioni in materia di salute e sicurezza del lavoro – 4) Le novità introdotte dal d.lgs.9 aprile 2008 n.81 in tema di sospensione dell’attività imprenditoriale.

I funesti episodi di incidenti sul lavoro, anche mortali, e gli interventi normativi volti ad arginare il fenomeno continuano a rincorrersi.
L’ultimo provvedimento di una certa incisività in materia risaliva all’agosto 2007 – la legge n.123/07, intitolata “Misure in tema di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro e delega al Governo per il riassetto e la riforma della normativa in materia” – e già l’Esecutivo (con una celerità tanto più significativa se si pensa alla complessità del settore) ha esercitato la delega prevista all’art.1 della stessa legge, completando la stesura del nuovo testo sulla salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro, il d.lgs. 9 aprile 2008 n.81 ( ).
Dall’esame dei principi generali alla base del provvedimento appare evidente come il legislatore si ponga nel solco della tendenza che afferma con forza l’equazione “lavoro regolare = lavoro sicuro”, inaugurata dalla legge n.248 del 4/8/2006 (di conversione del decreto legge 4/7/2006 n.223, noto come “decreto Bersani”).
In particolare, all’art.14 del d.lgs.81/08 è previsto il provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale, introdotto dall’art.36 bis della l.248/06, confermato dall’art.5 della menzionata legge 123/07 e ora riproposto con alcune modifiche e aggiunte. Se tale misura non può tecnicamente ascriversi a quelle di tipo sanzionatorio (per le ragioni di cui si dirà), non può tuttavia dubitarsi del carattere deterrente che essa assume nel contrasto alle più gravi infrazioni ad un regolare (cioè sicuro) svolgimento della prestazione lavorativa.
Sin dall’introduzione del provvedimento di sospensione, infatti, le maggiori critiche hanno avuto ad oggetto non tanto l’efficacia di tale misura quanto le modalità applicative della stessa: a causa di un imperfetto coordinamento con la normativa vigente in fase di prima applicazione (e di successivi chiarimenti ministeriali non sempre rigorosi in punto di diritto), il nuovo provvedimento ha creato non pochi problemi agli operatori chiamati a farne applicazione.
L’entrata in vigore del d.lgs.81/08 costituisce in tal senso l’occasione per una disamina delle problematiche che sembrano aver trovato soluzione, nonché di quelle che, al contrario, restano immutate.

1) LA SICUREZZA NEI CANTIERI EDILI ED IL PROVVEDIMENTO DI SOSPENSIONE DI CUI ALL’ART.36 BIS DELLA L.248/06
L’introduzione nell’ordinamento del provvedimento in esame è dovuta, come detto, all’art.36 bis l.248/06, che l’ha limitato allo specifico ambito dell’attività svolta nei cantieri edili. Con la circolare n.29 del 28/9/2006, il Ministero del lavoro e della previdenza sociale ha chiarito come tale attività sia da identificarsi con quella compiuta dalle imprese che svolgono i lavori e le opere di cui all’allegato I del d.lgs.494/96 (“cd. direttiva cantieri”) ( ).
Fissando esclusivamente in capo al personale ispettivo del medesimo Ministero (anche su segnalazione proveniente dall’Inps e dall’Inail) la competenza ad irrogare la misura sanzionatoria ( ), il primo comma dell’art.36 bis l.248/06 ha individuato in particolare due presupposti per l’applicazione del provvedimento di sospensione:
- nell’ambito della lotta al lavoro sommerso e irregolare, “l’impiego di personale non risultante dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria, in misura pari o superiore al venti per cento del totale dei lavoratori regolarmente occupati nel cantiere”;
- per quanto riguarda il mancato rispetto dei tempi lavorativi massimi, le “reiterate violazioni della disciplina in materia di superamento dei tempi di lavoro, di riposo giornaliero e settimanale, di cui agli articoli 4, 7 e 9 del decreto legislativo 8 aprile 2003 n.66 e successive modificazioni” ( ).
Da una parte, alle violazioni sopra indicate consegue dunque l’adozione del provvedimento di sospensione, consistente nell’inibire al trasgressore ( ) il prosieguo di qualunque attività nel cantiere, fino alla regolarizzazione delle mancanze ravvisate; dall’altra, quale ulteriore misura che rafforza il carattere dissuasivo della norma, scaturisce un ulteriore provvedimento che incide sulla capacità dell’impresa a contrattare con la pubblica amministrazione e non consente la partecipazione a gare pubbliche per un periodo pari, nel minimo, al doppio di quello per cui la ditta è risultata sospesa dall’attività e, nel massimo, a due anni.
Il secondo comma dell’art.36 bis l.248/06, una volta applicato il provvedimento di sospensione nei confronti di una o più ditte operanti nel singolo cantiere, ha posto le condizioni per la revoca dello stesso: nel caso dell’accertato impiego di lavoratori in nero, ne è presupposto “la regolarizzazione dei lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria”; nell’ipotesi di reiterate violazioni alla disciplina in materia di superamento dei tempi di lavoro, di riposo giornaliero e settimanale, la legge richiedeva “l’accertamento del ripristino delle regolari condizioni di lavoro”.
Ferma restando la competenza all’emanazione del provvedimento di revoca in capo all’organo di vigilanza che ha disposto la sospensione dell’attività, sugli indicati presupposti si è soffermata la circolare 29/06: quanto alla violazione relativa all’orario di lavoro, il Ministero aveva chiarito che, nell’impossibilità di reintegrazione dell’ordine giuridico violato, la regolarizzazione non poteva che aversi mediante il pagamento delle sanzioni amministrative; nel caso di impiego di lavoratori non registrati, accanto al pagamento delle sanzioni amministrative e civili ed al versamento dei contributi previdenziali ed assicurativi, si è richiesta l’ottemperanza agli obblighi di natura prevenzionistica fissati dal d.lgs. 626/94 “con specifico riferimento almeno alla sorveglianza sanitaria (visite mediche preventive) ed alla formazione ed informazione sui pericoli legati all’attività svolta nel cantiere nonché alla fornitura dei dispositivi di protezione individuale”.
Così delineato l’atto di sospensione delle attività nel cantiere edile, non poche problematiche applicative ne sono scaturite: se molte delle più pressanti sono state risolte dalla circolare 29/06, su alcune la norma interna ha mancato di pronunciarsi, mentre altre ne sono scaturite ex novo (come si vedrà oltre).
In ogni caso, rinviando ai paragrafi successivi l’analisi delle questioni teorico-pratiche che si ripropongono per il provvedimento di sospensione delle attività così come riscritto dalla normativa posteriore alla l.248/06, va detto che il complesso delle misure introdotte dall’art.36 bis (provvedimento di sospensione, obbligo di esibizione dei tesserini di riconoscimento o di tenuta del registro di cantiere, comunicazione preventiva di instaurazione dei rapporti di lavoro, nuova cornice sanzionatoria della cd. “maxisanzione” introdotta dalla l.73 del 2002) ha prodotto notevoli risultati in tema di regolarizzazione dei rapporti di lavoro nel settore edile, pur continuandosi – purtroppo – a registrare incidenti in ambito lavorativo.

2) IL PROVVEDIMENTO DI SOSPENSIONE DI CUI ALL’ART.5 DELLA LEGGE 123/07
L’art.5 della l.123/07, nel delineare il provvedimento di sospensione delle attività, ha introdotto una serie di novità che hanno inciso profondamente sull’istituto come originariamente concepito.
E’ risultata di immediata evidenza l’estensione dell’ambito di operatività del provvedimento di sospensione: la norma ha sancito la generalizzata applicabilità dell’atto al ricorrere dei presupposti di legge, indipendentemente dal tipo di attività imprenditoriale esercitata ( ), tenendo fermo quanto previsto all’art.36 bis della l.248/06 relativamente al settore dell’edilizia.
In secondo luogo, ferma restando la competenza all’emanazione da parte del personale ispettivo del Ministero del lavoro e della previdenza sociale ( ) – ispettori del lavoro, accertatori del lavoro, addetti alla vigilanza e militari del Nucleo carabinieri presso le Direzioni provinciali del lavoro –, la segnalazione dei fatti che possono portare all’adozione del provvedimento in discorso non stata più limitata all’Inps ed all’Inail, ma estesa a tutte le amministrazioni pubbliche che, “secondo le rispettive competenze” e nell’ambito della propria azione, si trovino a verificare l’esistenza di presupposti per l’applicazione dell’atto di sospensione dell’attività.
Altra rilevante novità, anch’essa volta all’estensione della sfera operativa dell’istituto, ha riguardato i casi di applicabilità della sospensione. Accanto alle sopra citate ipotesi di impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria e di reiterate violazioni della disciplina relativa al superamento dei tempi di lavoro, è stata aggiunta una nuova previsione che giustifica l’adozione del provvedimento: il verificarsi di “gravi e reiterate violazioni della disciplina in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro”.
Se il dato testuale ha sollevato forti perplessità sulla “tenuta” di tale previsione quanto all’ambito di applicazione ( ), nell’intenzione del legislatore essa rappresenta una significativa “chiusura del cerchio” sulle tutele apprestate attraverso il provvedimento di sospensione dell’attività di impresa. Con le “previsioni-obiettivo” di cui all’art.36 bis – il contrasto al lavoro sommerso ed al superamento dei tempi massimi di lavoro – il legislatore ha posto l’attenzione sulle violazioni maggiormente insidiose ai fini di uno svolgimento “sicuro” della prestazione lavorativa. L’ipotesi di nuova introduzione non è altro che una “macroprevisione” attraverso la quale si è inteso sanzionare con la misura della sospensione dell’attività il complesso delle violazioni che attentano gravemente al profilo della salute e sicurezza dei lavoratori.
Contestualmente, anche in tema di revoca del provvedimento da parte del personale ispettivo ministeriale (e di quello delle aziende sanitarie locali relativamente agli atti di sospensione da esso adottati a norma del comma sesto dell’art.5 l.123/07), si sono rilevate alcune novità su cui vale la pena operare delle rapide riflessioni.
Anzitutto, è rimasta ferma la condizione della “regolarizzazione dei lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria”, che deve ritenersi applicabile alla sola ipotesi di impiego di lavoratori “a nero”.
In costanza di una prima interpretazione dei singoli uffici periferici del Ministero, volta a considerare “regolarizzata” la situazione di quei lavoratori per i quali – ragionando a contrario dal testo dell’art.36 bis, primo comma, l.248/06 – sia stata data dimostrazione sia dell’avvenuto adempimento alle norme in tema di collocamento che delle corrette e complete registrazioni sui libri obbligatori (al più del versamento dei contributi previdenziali e assicurativi), la menzionata circolare n.29/06 si è espressa nel senso che ai suddetti adempimenti vanno aggiunti anche quelli relativi agli immediati obblighi di natura prevenzionistica, nonché il versamento degli importi dovuti per la comminazione di sanzioni.
Se, in tale sede, la previsione della norma interna sul richiesto adempimento agli obblighi di natura prevenzionistica si conforma all’impianto ed alle finalità della legge, forti perplessità ha destato da subito il riferimento al “pagamento delle sanzioni amministrative e civili”. In tal modo, infatti, si è condizionato ad un adempimento considerevolmente oneroso sotto l’aspetto patrimoniale (quantomeno nel caso di accertato impiego di lavoratori “a nero”) ( ) la revoca della sospensione e, dunque, la ripresa dell’attività ( ): in applicazione della circolare 29/06, infatti, il personale ispettivo avrebbe dovuto negare la revoca del provvedimento in mancanza di prova certa dell’avvenuto pagamento di tutte le sanzioni derivanti dalle violazioni che hanno giustificato l’applicazione del provvedimento di sospensione.
Tuttavia, una tale interpretazione è apparsa viziata sotto l’aspetto delle garanzie procedimentali che la legge – sia in sede civile che amministrativa – riconosce al trasgressore. Si pensi al termine di sessanta giorni che l’art.16 l.689/81 accorda al trasgressore per il pagamento delle sanzioni in misura ridotta; o, ancora, all’istanza di riesame della fondatezza dell’accertamento che l’art.18 della medesima legge riconosce al privato nel caso di avvenuta contestazione dell’illecito amministrativo (con contestuale inflizione della sanzione amministrativa): dal punto di vista formale risulta chiaro che l’interpretazione data dalla circolare 29/06 all’art.36 bis, primo comma, l.248/06 non pregiudica tali possibilità al trasgressore (o presunto tale); dal punto di vista sostanziale, tuttavia, in costanza dell’esercizio del diritto di opporsi alle risultanze dell’accesso ispettivo (così come fissate dai funzionari negli atti e provvedimenti adottati) potrà pesare sullo stesso trasgressore il protrarsi dell’effetto sospensivo dell’attività d’impresa.
La competente Direzione Generale del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, con nota dell’11/4/07, prendeva atto del problema esclusivamente sul piano pratico. Ribadito, difatti, che l’operazione di regolarizzazione richiede “la reintegrazione dell’ordine giuridico violato anche attraverso il pagamento delle sanzioni amministrative”, essa poneva l’accento sulle difficoltà finanziarie nelle quali l’impresa avrebbe potuto trovarsi in virtù di “provvedimenti sanzionatori che prevedono il pagamento di rilevanti importi pecuniari” (e di conseguenza compromettono la possibilità di ottenere la revoca della sospensione) ( ). In tali casi, la soluzione proposta consisteva nel richiedere all’azienda la cui attività è sospesa la sola regolarizzazione della posizione dei lavoratori “in nero”: la valutazione di tale ultimo carattere doveva peraltro essere fondata “sull’incidenza dell’onere sanzionatorio in relazione alle possibilità economico-finanziarie dell’impresa, desunte dalle sue condizioni economiche complessive, dall’entità del valore dell’appalto, dalla situazione di liquidità e dal fatturato complessivo aziendale”.
Tacendo dell’indubbia indeterminatezza della valutazione relativa al criterio proposto e dell’ampia discrezionalità attribuita all’organo di vigilanza nell’effettuare la medesima valutazione (discrezionalità suscettibile, in assenza di indirizzi pratici, di sconfinare in pericolose incertezze applicative), è evidente come la nota in questione non toccasse in alcun modo il nodo giuridico relativo alle garanzie procedimentali.
Diversamente, l’entrata in vigore della l.123/07 ha introdotto una decisa innovazione in tema di revoca del provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale: anzitutto, ha previsto una sanzione aggiuntiva pari ad un quinto delle sanzioni amministrative complessivamente irrogate; in secondo luogo, come chiarito dalla successiva circolare esplicativa del 22/8/2007, ha condizionato al pagamento di tale ulteriore somma (e non più delle complessive sanzioni amministrative previste per le violazioni) l’ottenimento della revoca dell’atto da parte dell’imprenditore ( ). In tal modo, introducendo un “onere economico accessorio” ( ) collegato all’immediato accertamento dei presupposti per l’applicazione del provvedimento di sospensione, il legislatore ha lasciato impregiudicata al trasgressore la possibilità di esperire gli ordinari rimedi di carattere amministrativo ai fini della contestazione delle sanzioni complessivamente irrogate.
Per tale via si è inteso, in altre parole, superare le perplessità di ordine teorico che si sono esposte in precedenza: resta fermo, infatti, che l’eventuale accoglimento delle istanze dell’imprenditore in merito all’infondatezza di quanto accertato dagli organi ispettivi (e posto a base della sospensione dell’attività) costituirà titolo per il rimborso di quanto versato per ottenere la revoca del provvedimento di sospensione (la quale, cadute le ragioni di quest’ultimo atto, non avrà più motivo di essere).
Detto dell’impiego di lavoratori “in nero” nelle fasi dell’attività imprenditoriale, la lett,b) dell’art 5 l.123/07 ha “accorpato” in sé le previsioni in tema di salute e sicurezza del lavoro e di tempi di lavoro e riposi: è condizione per la revoca, difatti, “l’accertamento del ripristino delle regolari condizioni di lavoro nelle ipotesi di reiterate violazioni della disciplina in materia di superamento dei tempi di lavoro, di riposo giornaliero e settimanale, di cui al decreto legislativo 8 aprile 2003 n.66, o di gravi e reiterate violazioni della disciplina in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro”.
Va rilevato come la previsione abbia l’indubbia funzione di scoraggiare ulteriormente i datori di lavoro dall’intraprendere “strategie d’impresa” in dispregio dell’integrità psicofisica dei prestatori di lavoro, a tal fine appesantendo un carico sanzionatorio di per sé già inasprito dai precedenti interventi normativi.
In virtù della lett.c) del comma secondo dell’art.5 l.123/07, la maggiorazione del quinto delle complessive sanzioni amministrative è stata estesa anche alle violazioni del d.lgs.66/03 in materia di tempi di lavoro ( ), così come al settore dell’edilizia ( ).
In tutte le ipotesi analizzate, viceversa, il provvedimento di sospensione non si applica qualora siano ravvisabili esigenze ulteriori che lo rendano inopportuno.
Accanto alla concreta eventualità in cui l’interruzione dell’attività possa comportare l’insorgenza di un pericolo per i lavoratori o i terzi (contemplata già dalla circolare 29/06 nel settore dell’edilizia), il competente Ministero ha espressamente previsto quelle in cui “l’interruzione dell’attività di impresa comporti un irrimediabile degrado degli impianti o delle attrezzature” (circolare del 22/8/07) o “venga a compromettere il regolare funzionamento di una attività di servizio pubblico, anche in concessione (ad es. attività di trasporto, di fornitura di energia elettrica, acqua, luce, gas, ecc.), così pregiudicando il godimento di diritti costituzionalmente garantiti” (circolare del 14/11/07).
Se in tali casi appare opportuno non adottare il provvedimento di sospensione, va anche detto che da ciò – soprattutto dopo quanto affermato nella circolare del 14/11/2007 – sembrano scaturire forti dubbi in relazione a possibili disparità di trattamento: coerentemente con quanto previsto all’art.5 l.123/07, infatti, alla non applicazione del provvedimento di sospensione conseguirà la non assoggettabilità al pagamento dell’onere economico accessorio (cui invece sarà tenuta l’azienda che, subendo per la medesima violazione il provvedimento in discorso, intenda annullarne gli effetti e riprendere l’attività). Ciò non può meravigliare: in presenza di un “onere economico accessorio” che non segue le regole di cui alla l.689/81 ( ), l’irrogazione di tale sanzione non avrebbe alcun effetto repressivo né dissuasivo. In forza del testo di legge, inoltre, nemmeno sarà possibile sanzionare il trasgressore con il divieto a contrattare con la pubblica amministrazione o a partecipare a gare pubbliche.
Più opportuno sarebbe stato, a parere di chi scrive, comminare un provvedimento di sospensione con “congelamento” degli effetti: l’imprenditore – pur mancando quel tipico effetto dell’atto che “costringe” alla reintegrazione dell’ordine giuridico violato – sarebbe comunque assoggettato alle sanzioni previste (conseguenza che, nell’evitare le disparità, comporterebbe inoltre ovvi benefici per le entrate dello Stato).
In questo senso ci si domanda se l’interpretazione offerta dal Ministero sull’inapplicabilità della l.689/81 – pur nell’intenzione di evitare problemi giuridici coinvolgenti il profilo delle garanzie procedimentali – non abbia finito per sconfessare troppo frettolosamente quanto stabilito (testualmente) nella legge 123/07.

3) LA PROBLEMATICA APPLICAZIONE DEL PROVVEDIMENTO DI SOSPENSIONE DELLE ATTIVITA’ ALLE VIOLAZIONI IN MATERIA DI SALUTE E SICUREZZA DEL LAVORO
Delle novità introdotte dalla l.123/07 sul provvedimento in discorso, l’ipotesi per la quale la legge ne ha previsto l’estensione – le gravi e reiterate violazioni della disciplina in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro – ha creato da subito le maggiori perplessità (peraltro acuite, come si vedrà, dalla circolare del 22/8/07).
Sin dalla connotazione delle dette violazioni, la norma è apparsa di difficile interpretazione: quand’è che esse possono ritenersi gravi? E come deve interpretarsi il riferimento alla loro reiterazione?
Quanto al primo carattere – la gravità –, la nominata circolare, a dispetto della dichiarata intenzione di “eliminare quanto più possibile ogni incertezza interpretativa”, è ricaduta in un’evidente tautologia: dopo aver premesso che la disposizione di legge si rivolge ai soli responsabili aziendali, ha individuato le gravi violazioni nelle “disposizioni sanzionatorie (…) punite con le pene più gravi (sia di carattere detentivo che pecuniario)”: l’oscurità dell’espressione legislativa “gravi violazioni” si è convertita nell’indeterminatezza dell’ulteriore espressione “pene più gravi”, posto che è risultato del pari indefinito il criterio di individuazione della gravità delle une (le violazioni) e delle altre (le pene previste per le violazioni stesse). Pur facendo correttamente riferimento al diritto penale (che governa le violazioni di cui si discute), la circolare pare aver ignorato le note difficoltà legate alla determinazione del criterio di maggiore o minore gravità delle pene ( ); né lo stesso criterio avrebbe potuto essere accettato alla stregua dei principi di diritto amministrativo ( ).
La successiva circolare 24/2007, introducendo un reale criterio di individuazione delle violazioni più gravi, afferma che esse giustificano l’adozione del provvedimento in discorso, in quanto “ledono i principi fondamentali del sistema prevenzionale e mettono a repentaglio gli interessi generali dell’ordinamento”: l’individuazione delle stesse, sulla base di tali presupposti, è stata allora rimessa ad un’elencazione da concordarsi con il Coordinamento tecnico delle Regioni “nel rispetto di un principio di tassatività che non può non connotare il presupposto per l’adozione di un provvedimento di rilevante gravità”. Il criterio determinativo della “gravità delle violazioni” così proposto – e finalmente ancorato al parametro sostanziale della gravità in riferimento al danno o al pericolo per la salute e la sicurezza dei lavoratori, conformemente alla stessa rubrica dell’articolo 5 l.123/07, e non alla “quantità” di pena prevista dal legislatore per la singola condotta – pare rimediare all’incerto riferimento della precedente lettera circolare ( ).
L’operazione di individuazione delle violazioni più gravi risulta ora trasfusa in legge, in seguito all’entrata in vigore del d.lgs.81/00: in attesa di specifico decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale – da adottarsi dopo aver sentito la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano –, l’allegato I al d.lgs.81/00 (cui fa rinvio l’art.14) elenca le violazioni ai beni della salute e sicurezza sul lavoro “che costituiscono presupposto per l’adozione del provvedimento di sospensione dell’attività”.
Sulla reiterazione delle violazioni ai fini dell’irrogazione del provvedimento non sembrano sussistere particolari problemi interpretativi, ferma restando la necessità di alcune precisazioni conseguenti all’affermazione – contenuta ancora nella lettera circolare del 22/8/2007 – secondo cui la reiterazione dell’illecito è da intendersi come “recidiva aggravata”:
- oltre che alle pene, il richiamo a tale istituto ( ) – del tutto assente nella legge, dove si parla di “reiterazione” delle violazioni – implicitamente esclude dalle condotte oggetto del provvedimento di sospensione quelle amministrativamente sanzionate: a violazioni di carattere amministrativo non può infatti applicarsi un istituto proprio del diritto penale quale è quello della recidiva;
- la definizione di “recidiva aggravata” come “riferita ad una violazione necessariamente della stessa indole (violazione grave in materia di sicurezza e salute del lavoro) e commessa nei cinque anni precedenti all’ultima condotta oggetto di prescrizione obbligatoria ovvero di giudicato penale” appare comunque non corretta ai sensi dell’art.99 c.p.: la norma penale, infatti, individua le varie ipotesi in cui può parlarsi di recidiva aggravata ( ), distinguendo il caso in cui il nuovo reato è della stessa indole (cd. recidiva specifica) da quello in cui, al di là di tale dato, esso è stato commesso nei cinque anni dalla condanna precedente (cd. recidiva infraquinquennale), mentre la circolare “fonde” le due diverse ipotesi in una sola (in virtù della particella congiuntiva “e” al posto della disgiuntiva “o”) ( ).
In realtà, come si è premesso, tali imprecisioni testuali della circolare possono essere superate: se si è d’accordo sul fatto che il riferimento della l.123/07 alla tutela della salute e della sicurezza del lavoro ha inglobato in ogni caso reati della stessa indole (in quanto medesimo è il bene tutelato), può allora ritenersi che la circolare abbia voluto infine limitare l’operatività del provvedimento di sospensione delle attività imprenditoriali al caso di gravi violazioni di carattere penale commesse prima del passaggio dei cinque anni dalla commissione di una precedente violazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro ( ).
Dal discorso su gravità e reiterazione delle violazioni, si capisce come la maggiore difficoltà incontrata dagli estensori della lettera circolare del 22/8/07 abbia riguardato la sovrapposizione – si vedrà se reale o apparente – tra la normativa antinfortunistica vigente ed il nuovo provvedimento di sospensione delle attività imprenditoriali: quest’ultimo si inserisce difatti in un campo nel quale il legislatore ha apprestato una tutela penale ad ampio raggio ed una residuale tutela extrapenale per le fattispecie considerate di minore allarme sociale ( ).
In presenza dei reati che hanno ad oggetto la sicurezza e la salute dei lavoratori, gli organi di vigilanza intervengono in veste di ufficiali di polizia giudiziaria: ai sensi dell’art.55 c.p.p., pertanto, essi “devono, anche di propria iniziativa, prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale”. Gli atti che normalmente vengono compiuti dall’ispettore quale ufficiale di polizia giudiziaria all’atto dell’accertamento di reati nella materia in discorso sono:
- ex art.20 d.lgs.758/94, la prescrizione obbligatoria, mediante la quale, ai sensi del comma terzo della norma citata “l’organo di vigilanza può imporre specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro”;
- ex art.321 c.p.p., il sequestro preventivo, nei casi in cui “vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati” ( ).
Le circolari esplicative del Ministero – a partire da quella del 22/8/2007, che dedica un apposito paragrafo (seppur ridotto) alla questione dell’adozione di prescrizioni obbligatorie in costanza di un eseguito provvedimento di sospensione dell’attività – tacciono invece del tutto sul rapporto tra quest’ultimo ed il sequestro preventivo.
Ciò sebbene tra tali atti esistano analogie ben più evidenti. Entrambi, infatti, hanno natura cautelare: la sospensione dei lavori e delle attività per espressa menzione delle circolari ministeriali del 28/9/06 e del 22/8/07, il sequestro preventivo in quanto collocato – nel codice di procedura penale – tra le misure cautelari reali. Entrambi, una volta esecutivi, prevedono l’immediata sospensione (totale o parziale) dell’attività di impresa.
Preso atto dell’identità di natura ed effetti, l’analogia tra i due istituti giuridici – nel caso in cui sia accertata la reiterazione di condotte che vìolano la normativa antinfortunistica – è tale da spingere a chiedersi se non possano essere l’uno un “doppione” dell’altro. A prima vista, infatti, appare intuitivo che l’applicazione di uno tra essi, comportando la sospensione delle attività, farebbe venire meno ogni esigenza cautelare che possa giustificare la comminazione anche del secondo. E, se così fosse, ci si dovrebbe chiedere quale dei due avrebbe “priorità logica” sull’altro, ed in base a quale o quali criteri. In tal senso, poco ausilio verrebbe dal fatto che il sequestro preventivo ha, quale specifica finalità, di evitare “che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati”: sarebbero davvero poche, infatti, le “gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza del lavoro” di cui alla l.123/07 (ora d.lgs.81/08) che non comportano l’aggravamento o la protrazione di un reato o la commissione di altro reato, potendo perciò essere assoggettate al solo provvedimento di sospensione delle attività imprenditoriali.
In realtà la questione non è del tutto nuova, risultando affrontata dalla Cassazione in tema di abusi edilizi: in tale settore, oltre al sequestro preventivo dell’immobile abusivo ex art.321 c.p.p., ben può aversi un’ordinanza amministrativa di sospensione dei lavori ai sensi della legge n.47 del 1985 ( ). Intravedendo la similitudine degli effetti scaturenti dai due provvedimenti, la Suprema Corte ha motivato la “coesistenza” degli stessi in base ad osservazioni di carattere eminentemente formale: “senza necessità di richiamare la possibile commissione di altri reati quali la violazione dell´ordinanza di sospensione dei lavori durante il suo periodo di efficacia, il pericolo concreto ed attuale di prosecuzione del reato e di aggravamento delle sue conseguenze permane immutato per le diversità strutturali dei due provvedimenti (sequestro ed ordinanza di sospensione dei lavori) già richiamate, che comportano il possibile venir meno dell´efficacia e/o dell´operatività per una serie di atti (revoca da parte del Sindaco o sospensiva del TAR) o di inerzie (del Sindaco e del Presidente della Giunta regionale), provenienti da autorità differenti e basate su presupposti e requisiti distinti da quelli su cui si fonda la misura cautelare reale (sussistenza di un reato)” (Cass. 20/3/1996 n.340, in Giust.pen. 1997, II, 283) ( ).
Astrattamente, dunque, anche in materia di salute e sicurezza dei lavoratori non si vedono ostacoli all’applicazione di entrambi i provvedimenti in discorso da parte degli organi di vigilanza del Ministero del lavoro e della previdenza sociale o delle Aziende sanitarie locali, tenuto conto delle diverse conseguenze in caso di inosservanza degli stessi: mentre il mancato rispetto della sospensione amministrativa comporta necessariamente la violazione di cui all’art.650 c.p. (come ricordato dalla circolare del 22/8/2007), l’inottemperanza al sequestro penale potrà configurare ulteriori reati (si pensi alla violazione di sigilli).
Concludendo sul provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale di cui all’art.5 l.123/07, tale strumento – sia per la mancanza di una puntuale analisi sull’inevitabile commistione tra profili penali e amministrativi, che per la poca chiarezza conseguente alla sovrapposizione di istruzioni ministeriali mal coordinate tra loro e con le norme di legge –, ha creato molti più problemi di quanti non fossero originati dal precedente provvedimento di cui alla l.248/06 (che peraltro, lo si ripete, si è dimostrato molto efficace in termini di emersione del lavoro nero, e dunque di sicurezza sui luoghi di lavoro).

4) LE NOVITA’ INTRODOTTE DAL D.LGS. 9 APRILE 2008 N.81 IN TEMA DI SOSPENSIONE DELL’ATTIVITA’ IMPRENDITORIALE
Il recentissimo esercizio della delega di cui all’art.1 della legge 123/07 appare aver risolto (se non tutte le questioni evidenziate nel precedente paragrafo) quantomeno la problematica più pressante per l’applicabilità della specifica ipotesi di sospensione dell’attività imprenditoriale conseguente alla violazione delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro: l’allegato I al d.lgs.81/08 contiene infatti l’elenco delle violazioni cui riferirsi per la piena operatività del provvedimento in discorso.
Quanto alle ulteriori disposizioni introdotte, va anzitutto rimarcato come l’art.14 del d.lgs.81/08 abbia riunito in un unico atto le due tipologie di provvedimento sinora esaminate: il “nuovo” atto di sospensione dell’attività imprenditoriale (come espressamente affermato dalla norma) si applica anche ai lavori nell’ambito dei cantieri edili. Per quanto riguarda l’ipotesi dell’impiego di personale “in nero”, in particolare, la verifica sulla percentuale di lavoratori non regolari dovrà essere riferita al “totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro”, sia nel settore dell’edilizia – ove il presupposto resta immutato rispetto a quanto previsto dall’art.36 bis della l.248/06 – che in tutti gli altri settori – ove, invece, l’art.5 l.123/07 imponeva di considerare il complessivo numero dei lavoratori occupati dall’impresa). Viene dunque a cadere la differenziazione nel calcolo della predetta percentuale.
In tema di revoca del provvedimento di sospensione, la novità rilevante riguarda il fatto che il precedente quinto delle complessive sanzioni amministrative da irrogare per le violazioni riscontrate, sia ora sostituito da un’unica somma aggiuntiva pari ad € 2500,00.
Diversamente, la mancata ottemperanza dell’impresa al provvedimento di sospensione e la ripresa dell’attività prima o indipendentemente dall’ottenimento della revoca comporta espressamente per il datore di lavoro l’arresto fino a sei mesi (comma decimo della norma citata). Se nel vigore della precedente normativa doveva ritenersi in tal caso applicabile l’art.650 c.p. (come già detto), il nuovo decreto sanziona la specifica ipotesi comminando una pena più aspra (rispetto all’arresto fino a tre mesi o all’ammenda fino a € 206,00 prevista dalla disposizione contenuta nel codice penale): ciò è pienamente conforme, d’altronde, al testo dell’art.650 c.p., che lascia spazio ad ipotesi in cui il fatto costituisca più grave reato, e testimonia del maggior rigore con cui il legislatore ha voluto punire la specifica violazione.
Una prima difficoltà interpretativa conseguiva, invece, alla nuova condizione posta in materia di reiterate violazioni della disciplina in tema di tempi di lavoro e riposi, ovvero la considerazione, ai fini dell’adozione del provvedimento di sospensione, delle “specifiche gravità di esposizione al rischio di infortunio”: nessun chiarimento veniva infatti offerto sulle valutazioni della gravità di esposizione al rischio (nemmeno mediante il rinvio ad un apposito allegato, come invece accaduto per la gravi violazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro). La previsione, e la relative incertezze interpretative, sono comunque venute a cadere con la menzionata abrogazione di cui al d.l.25/6/2008 n.112 ( ): in ipotesi di reiterate violazioni della disciplina in materia di superamento dei tempi di lavoro, di riposo giornaliero e settimanale non è più prevista l’applicazione del provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale.
Particolare attenzione, infine, merita la questione (di portata generale) destinata a sorgere per effetto dell’ultima parte del primo comma dell’art.14 d.lgs.81/08, in virtù del quale al provvedimento di sospensione dell’attività d’impresa “non si applicano le disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990 n.241”, la quale, com’è noto, detta la disciplina generale in tema di procedimento amministrativo.
Il precetto appare come la “risposta” normativa al principio fissato da una recente sentenza del T.A.R. Veneto ( ). La pronuncia ha annullato un provvedimento di sospensione dell’attività adottato da ispettori del lavoro ex art.5 l.123/07, in quanto “non vi sono elementi da cui si possa desumere che ai procedimenti in subiecta materia non si applicano le norme generali di cui alla l.241/90, e così, le previsioni di cui all’art.7 della stessa sulla comunicazione d’avvio del procedimento”, che nel caso concreto risultava omesso.
Il dictum del Tribunale regionale lascia in realtà perplessi. Ciò soprattutto in quanto, dopo aver espressamente affermato che la misura di cui all’art.5 l.123/07 può avere carattere cautelare, evita qualsiasi esame concreto sul carattere di celerità riconoscibile ad un provvedimento che inibisce la prosecuzione dell’attività mediante utilizzo di lavoratori “al nero” (e dunque “a rischio” per le motivazioni che si sono abbondantemente illustrate) ( ).
Ma è indubbio che la presa di posizione del legislatore contenuta nell’art.14 d.lgs.81/08 – laddove si sottrae il provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale (non all’art.7 sulla comunicazione di avvio del procedimento ma) all’intera legge 241/90 – lascia ben più perplessi. Se si pensa soltanto al fatto che sono principi generali dell’ordinamento giuridico quelli fissati dalla l.241/90 (per espressa menzione dell’art.29 della stessa legge), si capisce come la pretesa inapplicabilità della legge generale sul procedimento amministrativo al provvedimento di sospensione ex art.14 d.lgs.81/08 (indubbiamente atto di una sequenza procedimentale, come si è visto) sia destinata a creare ulteriori ostacoli ad una piana applicazione dell’istituto in discorso.

Dott. Giuliano ESPOSITO
Ispettore del lavoro in servizio presso l’Area di vigilanza tecnica
della Direzione provinciale del lavoro di Arezzo (  )

 
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