lavoroprevidenza
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11/11/2016
I DOCENTI E GLI ATA PRECARI O GIA´ DI RUOLO POSSONO OTTENERE PER INTERO IL RICONOSCIMENTO DEL PERIODO PRERUOLO
La sentenza n. 22558/2016 della Suprema Corte di Cassazione Sezione Lavoro del 07.11.2016 è una sentenza storica per il mondo della SCUOLA PUBBLICA.
A partire da oggi qualunque precario per i dieci anni precedenti può chiedere con un ricorso al Giudice del Lavoro il riconoscimento giuridico della m...


10/04/2016
CHI ISCRIVE IPOTECA PER UN VALORE SPROPOSITATO PAGA I DANNI
E’ di questi ultimi giorni la decisione della Suprema Corte di Cassazione che ha stabilito una responsabilità aggravata in capo a chi ipoteca il bene (es. casa di abitazione) del debitore ma il credito per il quale sta agendo è di importo di gran lunga inferiore rispetto al bene ipotecato....


19/05/2015
Eccessiva durata dei processi: indennizzi più veloci ai cittadini lesi
La Banca d´Italia ed il Ministero della Giustizia hanno firmato un accordo di collaborazione per accelerare i tempi di pagamento, da parte dello Stato, degli indennizzi ai cittadini lesi dall´eccessiva durata dei processi (legge n. 89 del 2001, c.d. “legge Pinto”).
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26/11/2014
Sentenza Corte giustizia europea precariato: vittoria! Giornata storica.
La Corte Europea ha letto la sentenza sull´abuso dei contratti a termine. L´Italia ha sbagliato nel ricorrere alla reiterazione dei contratti a tempo determinato senza una previsione certa per l´assunzione in ruolo.
Si apre così la strada alle assunzioni di miglialia di precari con 36 mesi di preca...


02/04/2014
Previdenza - prescrizione ratei arretrati - 10 anni anche per i giudizi in corso
La Consulta boccia la norma d´interpretazione autentica di cui all’art. 38, comma 4, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, nella parte in cui prevede c...


27/11/2013
Gestione Separata Inps: obbligo d´iscrizione per i professionisti dipendenti?
Come è noto, la Gestione Separata dell’INPS è stata istituita dalla legge 335/1995 al fine di garantire copertura previdenziale ai lavoratori autonomi che ne fossero sprovvisti....


25/11/201
Pubblico dipendente, libero professionista, obbligo d´iscrizione alla Gestione Separata Inps
Come è noto, la Gestione Separata dell’INPS è stata istituita dalla legge 335/1995 al fine di garantire copertura previdenziale ai lavoratori autonomi che ne fossero sprovvisti.
...


05/05/2013
L´interesse ad agire nelle cause previdenziali. Analsi di alcune pronunce
Nell´area del diritto previdenziale vige il principio consolidato a livello giurisprudenziale, secondo il quale l’istante può avanzare all’Autorità Giudiziaria domanda generica di ricalcolo di un trattamento pensionistico che si ritiene essere stato calcolato dall’Istituto in modo errato, senza dete...









   venerdì 26 settembre 2008

IL DIPENDENTE PUBBLICO CHE ATTESTA FALSAMENTE LA SUA PRESENZA IN UFFICIO INCORRE NEL REATO DI FALSO IDEOLOGICO

Sentenza della Cassazione penale 10 settembre 2008, n.
35058, relativa alle ipotesi in cui il dipendente pubblico che attesta falsamente la sua presenza in ufficio incorre nel reato di falso ideologico.
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Rispondono del reato di falso ideologico i dipendenti che attestano falsamente l’orario di lavoro, in virtù di una funzione loro affidata dalla pubblica amministrazione, non avendo alcuna rilevanza il fatto che l’ente non abbia subito alcun danno perché gli stessi hanno portato a termine tutti i lavori previsti, posto che non si tratta di liberi professionisti che devono fornire un risultato ma di dipendenti che devono fornire, con regolarità e puntualità, una prestazione di lavoro subordinato, implicante, tra gli altri obblighi da adempiere, anche quello del rispetto dell´orario.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, seconda sezione penale, nella sentenza 10 settembre 2008, n. 3505.
Il caso ha riguardato alcuni operai forestali condannati in primo e secondo grado per il reato di falso e tentata truffa di cui agli artt. 81, 100, 479-493, 640, primo e secondo comma, 56, 110, 640, primo e secondo comma, cp, per aver fato risultare, in concorso o inducendo in errore i capisquadra, la propria presenza sul posto di lavoro mentre invece si trovavano altrove.
Gli interessati hanno dunque fatto ricorso alla Suprema Corte di Cassazione adducendo l’errata qualificazione in atto pubblico dell’attestazione dell´orario di inizio e fine dell´attività lavorativa, nonché la mancanza produzione di danni a carico dall’ente, in quanto gli imputati hanno portato a termine tutti i lavori previsti dalle progettazioni e l´ente non ha dovuto far ricorso ad ulteriori spese per la realizzazione delle opere programmate.
A sostegno della loro tesi, venne richiamata la decisione delle Sezioni unite 10 maggio 2006, n. 15983, la quale aveva affermato il principio secondo cui “"non integra il delitto di falso ideologico in atto pubblico la falsa attestazione del pubblico dipendente circa la sua presenza in ufficio riportata nei cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, in quanto documenti che non hanno natura di atto pubblico, ma di mera attestazione del dipendente inerente al rapporto di lavoro, soggetto a disciplina privatistica, documenti che, peraltro, non contengono manifestazioni dichiarative o di volontà riferibili alla P.A”
La Corte, nel giudizio di che trattasi, ha sottolineato la necessità di fare una distinzione tra il pubblico dipendente che attesta la sua presenza in ufficio timbrando il cartellino marcatempo o firmando sui fogli di presenza, ed il soggetto al quale la pubblica amministrazione ha affidato la funzione di attestare l´orario di lavoro dei dipendenti.
Solo nel primo caso (rientrante nella fattispecie citata dalle Sezioni unite) l’attestazione non ha natura di atto pubblico, mentre nel secondo – che secondo il Collegio fa rientrare nel caso in esame – la falsa attestazione della presenza, sia per la qualifica del soggetto che lo ha posto in essere, che con riferimento alla sua natura, è da considerarsi atto pubblico e, pertanto, in caso di falsa attestazione, si risponde del reato di falso ideologico.

Gesuele Bellini


CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SECONDA SEZIONE PENALE
Sentenza 10 settembre 2008, n. 35058

Svolgimento del processo

La Corte d´Appello di Catanzaro ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Paola condannò i ricorrenti, operai forestali del "Consorzio di bonifica Valle del Lao", per il reato di falso e tentata truffa di cui agli artt. 81, 100, 479-493, 640, primo e secondo comma, 56, 110, 640, primo e secondo comma, cp, per aver fato risultare, in concorso o inducendo in errore i caposquadra, la propria presenza sul posto di lavoro mentre invece si trovavano altrove, come accertato da personale di P.G. in una lunga serie di giornate lavorative tra il 1996 ed il 2001, tutte riportate nel capo d´imputazione.
Con un unico ricorso gli imputati chiedono duplice motivo.
In primo luogo per errata applicazione della presenza che attestano l´orario di inizio e fine dell´attività lavorativa non possono essere considerati atti pubblici".
A sostegno della tesi, viene richiamata la decisione delle Sezioni unite 10 maggio 2006, n. 15983, il cui principio di diritto a parere dei ricorrenti deve essere applicato anche al caso, come quello in esame in cui non è il lavoratore che autocertifica il suo lavoro timbrando il cartellino di presenza, ma tale attestazione viene formulata dal capo-squadra. Ciò perché "la mera qualifica di pubblico ufficiale dell´impiegato capo-squadra ed in generale del pubblico dipendente che attesti falsamente fatti dei quali l´atto è destinato a provare la verità, non puoi costituire l´unico presupposto sul quale fondare la sussistenza del reato di falso ideologico". Il secondo motivo contiene più censure.
Si sostiene che la prova della falsificazione non è stata raggiunta perché ad eccezione di un unico foglio di presenza del mese di ottobre 2001, non sono stati acquisiti al processo gli altri atti falsificati, così violando l´art. 194 cpp.
Inoltre si sostiene che il Consorzio non avrebbe subito alcun danno perché gli imputati hanno portato a termine tutti i lavori previsti dalle progettazioni e l´ente non ha dovuto far ricorso ad ulteriori spese per la realizzazione delle opere programmate.
Con autonomo ricorso a sua firma chiede l´annullamento della sentenza riproponendo la tesi per cui i fogli di presenza non hanno natura di atto pubblico. Nella parte finale del ricorso, si aggiunge peraltro che, per quanto attiene alla truffa, la Corte d´Appello ha omesso di individuare sia gli artifici che i raggiri e sia soprattutto il danno cagionato al Consorzio.
Motivi della decisione
I ricorrenti richiamano la nota sentenza delle Sezioni unite, 11 aprile 2006, n. 15983. Deve ricordarsi che tale sentenza affermò: "non integra il delitto di falso ideologico in atto pubblico la falsa attestazione del pubblico dipendente circa la sua presenza in ufficio riportata nei cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, in quanto documenti che non hanno natura di atto pubblico, ma di mera attestazione del dipendente inerente al rapporto di lavoro, soggetto a disciplina privatistica, documenti che, peraltro, non contengono manifestazioni dichiarative o di volontà riferibili alla P.A. (Fattispecie in cui gli imputali, pubblici dipendenti, si erano allontanati dal luogo di lavoro senza far risultare tale allontanamento, non dovuto a ragioni di servizio, attraverso la prescritta marcatura del cartellino. Il caso riguardava dipendenti della Sovrintendenza ai beni culturali ed ambientali di Agrigento, che erano imputati (anche) di falso ideologico per avere falsamente attestato la loro presenza al lavoro nell´ufficio regionale presso il quale prestavano servizio, allontanandosene, invece, senza formale permesso e sottoscrivendo fogli di presenza e timbrando il proprio cartellino presso l´apposito orologio marcatempo facendo così risultare orari di entrata e di uscita non rispondenti a quelli effettivi. Le Sezioni unite ritennero che questo comportamento non integrasse il reato di falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici (art. 479 cp), in quanto nel caso al loro esame mancavano gli estremi dell´atto pubblico, tanto con riferimento alla qualità del soggetto, quanto sul piano del documento. I lavoratori dipendenti di enti pubblici che certificano il proprio orario di ingresso e di uscita dal lavoro non sono pubblici ufficiali quando svolgono tale funzione e l´atto che compiono non involge una funzione dichiarativa o attestativa o di volontà riferibile alla pubblica amministrazione.
Il caso in esame, come mette ben in evidenza la sentenza impugnata, è del tutto diverso perché gli imputati concorrono nel reato di falso ideologico commesso dai soggetti ai quali la pubblica amministrazione ha affidato la funzione di attestare l´orario di lavoro dei dipendenti. L´atto in cui si è concretizzato il fatto reato pertanto, sia per la qualifica del soggetto che lo ha posto in essere, che con riferimento alla sua natura, è atto pubblico. Del resto le Sezioni unite, nel chiudere la sentenza del 2006, ebbero cura di precisare "torna opportuno da ultimo rilevare che ove poi tali attestazioni del pubblico dipendente siano utilizzate, recepite in atti della pubblica amministrazione a loro volta attestativi, dichiarativi o di volontà della stessa, tanto può dar luogo ad ipotesi di falso per induzione". Ciò significa che era ben chiaro, alle Sezioni unite la differenza tra l´atto autocertificatorio posto in essere dal dipendente e quello, riportabile alla volontà della pubblica amministrazione ed avente funzione di attestazione, posto in essere dal soggetto al quale la amministrazione pubblica affida compiti di controllo del lavoro dei dipendenti. La natura pubblicistica ai fini penali di questo atto non può essere discussa e il comportamento induttivo o concorrente del dipendente pubblico nella sua formazione comportala corresponsabilità. Anche gli altri motivi sono manifestamente infondati.
Quanto alla completezza della prova, la questione posta è puramente di merito e comunque è formulata in modo contraddittorio, riconoscendo che almeno in parte in fogli di presenza sono stati acquisiti.
Assolutamente infondato è il motivo con il quale si sostiene che il Consorzio non avrebbe subito alcun danno perché gli imputati hanno portato a termine tutti i lavori previsti dalle progettazioni e l´ente non ha dovuto far ricorso ad ulteriori spese per la realizzazione delle opere programmate. L´afférmazione è indimostrata e priva di qualsiasi riscontro. Essa è comunque del tutto inconsistente, posto che non si tratta di liberi professionisti che devono fornire un risultato ma di dipendenti che devono fornire, con regolarità e puntualità, una prestazione di lavoro subordinato, implicante, tra gli altri obblighi da adempiere, anche quello del rispetto dell´orario. Infine, infondate sono anche le considerazioni svolte nel ricorso singolo, concernenti gli artifizi e i raggiri, che sicuramente sussistono come ha costantemente affermato questa Corte, anche a Sezioni unite, in situazioni del tutto sovrapponibili sotto questo profilo, e il danno. A quest´ultimo riguardo, deve ricordarsi che in presenza di tale eccezione questa stessa Sezione ha precisato: "il palese ingiustificato protrarsi della assenza dal posto di lavoro dell´imputato, ha realizzato una sospensione di fatto del rapporto di impiego che ha necessariamente prodotto un danno patrimoniale per l´ente, chiamato a retribuire una "frazione" effettuata, e con l´ulteriore danno (patrimoniale e della prestazione giornaliere non d´immagine) correlato alla mancata presenza del dipendente nel presidio lavorativo, rimasto così sguarnito della corrispondente unità di lavoro. Circostanze tutte, quelle esposte, al cui risalto, agli effetti della configurazione del reato contestato, non può certo far velo la eventuale difficoltà di quantificazione del danno, considerato che, nella specie, la relativa sussistenza ed apprezzabilità in termini economici è a reputarsi sussistente al di là di ogni ragionevole dubbio" (Cass., Sez. II, 6 ottobre 2006, n. 34210). I ricorsi sono pertanto inammissibili. All´inammissibilità consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché al pagamento della somma indicata in dispositivo alla Cassa delle ammende. Quest´ultima condanna si impone in quanto, nel caso in esame, non vi sono ragioni idonee ad escludere la colpa dei ricorrenti nella proposizione di un ricorso inammissibile.
PQM
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali e ciascuno di essi al versamento della somma di 1.000,00 euro alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 24 giugno 2008 Il Consigliere estensore
Depositata in cancelleria il 10 settembre 2008

 
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