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11/11/2016
I DOCENTI E GLI ATA PRECARI O GIA´ DI RUOLO POSSONO OTTENERE PER INTERO IL RICONOSCIMENTO DEL PERIODO PRERUOLO
La sentenza n. 22558/2016 della Suprema Corte di Cassazione Sezione Lavoro del 07.11.2016 è una sentenza storica per il mondo della SCUOLA PUBBLICA.
A partire da oggi qualunque precario per i dieci anni precedenti può chiedere con un ricorso al Giudice del Lavoro il riconoscimento giuridico della m...


10/04/2016
CHI ISCRIVE IPOTECA PER UN VALORE SPROPOSITATO PAGA I DANNI
E’ di questi ultimi giorni la decisione della Suprema Corte di Cassazione che ha stabilito una responsabilità aggravata in capo a chi ipoteca il bene (es. casa di abitazione) del debitore ma il credito per il quale sta agendo è di importo di gran lunga inferiore rispetto al bene ipotecato....


19/05/2015
Eccessiva durata dei processi: indennizzi più veloci ai cittadini lesi
La Banca d´Italia ed il Ministero della Giustizia hanno firmato un accordo di collaborazione per accelerare i tempi di pagamento, da parte dello Stato, degli indennizzi ai cittadini lesi dall´eccessiva durata dei processi (legge n. 89 del 2001, c.d. “legge Pinto”).
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26/11/2014
Sentenza Corte giustizia europea precariato: vittoria! Giornata storica.
La Corte Europea ha letto la sentenza sull´abuso dei contratti a termine. L´Italia ha sbagliato nel ricorrere alla reiterazione dei contratti a tempo determinato senza una previsione certa per l´assunzione in ruolo.
Si apre così la strada alle assunzioni di miglialia di precari con 36 mesi di preca...


02/04/2014
Previdenza - prescrizione ratei arretrati - 10 anni anche per i giudizi in corso
La Consulta boccia la norma d´interpretazione autentica di cui all’art. 38, comma 4, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, nella parte in cui prevede c...


27/11/2013
Gestione Separata Inps: obbligo d´iscrizione per i professionisti dipendenti?
Come è noto, la Gestione Separata dell’INPS è stata istituita dalla legge 335/1995 al fine di garantire copertura previdenziale ai lavoratori autonomi che ne fossero sprovvisti....


25/11/201
Pubblico dipendente, libero professionista, obbligo d´iscrizione alla Gestione Separata Inps
Come è noto, la Gestione Separata dell’INPS è stata istituita dalla legge 335/1995 al fine di garantire copertura previdenziale ai lavoratori autonomi che ne fossero sprovvisti.
...


05/05/2013
L´interesse ad agire nelle cause previdenziali. Analsi di alcune pronunce
Nell´area del diritto previdenziale vige il principio consolidato a livello giurisprudenziale, secondo il quale l’istante può avanzare all’Autorità Giudiziaria domanda generica di ricalcolo di un trattamento pensionistico che si ritiene essere stato calcolato dall’Istituto in modo errato, senza dete...









   lunedì 20 luglio 2009

Regime decadenziale delle prestazioni previdenziali

Regime dedacadenziale delle prestazioni previdenziali alla luce di Cass. Sez. Unite nn. 12718 e 12720 del 12/05/2009
di Ilario Maio
Ricorsi e controversie in materia di prestazioni previdenziali; Natura giuridica della decadenza; Abbreviazione dei termini decadenziali; Decorrenza del termine di decadenza; Irrilevanza delle vicende successive al compimento del termine. Il principio affermato dalla Sezioni Unite; Fattispecie soggetta alla disciplina della decadenza; irrilevanza degli adempimenti parziali; La composizione del contrato con la decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.


Ricorsi e controversie in materia di prestazioni previdenziali.
Il D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, con gli artt. 44 e segg. disciplinava i ricorsi e le controversie in materia di prestazioni dell´Inps; gli art. 44 - 46 sono stati abrogati dall’articolo 46 della legge n. 88/89 di ristrutturazione dell’INPS e dell’INAIL che ha attribuito la competenza sul contenzioso amministrativo in materia di prestazioni al Comitato Provinciale, l’articolo 47 che disciplina, esauriti i ricorsi amministrativi, i termini per l’esercizio dell’azione dinanzi l’autorità giudiziaria non è stato interessato dalla legge di ristrutturazione degli enti e continua trovare applicazione .
Già nell’ambito della disciplina dettata dal d.p.r. n. 639/70 in tema di ricorsi e controversie in materia previdenziale, particolare rilievo nell’ambito di tali norme assumeva l’articolo 47, secondo cui l´azione giudiziaria può (poteva) essere proposta dopo l´esperimento dei ricorsi amministrativi "entro il termine di dieci anni dalla data di comunicazione della decisione definitiva del ricorso pronunziata dai competenti organi dell´istituto o dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronunzia della decisione medesima, se trattasi di controversie in materia di trattamenti pensionistici, di cinque anni se trattasi di controversia in materia di prestazione minore".
La normativa in esame è stata oggetto di interpretazioni divergenti in giurisprudenza, mentre si era affermato in modo univoco che l´art. 47 si riferisse, per quanto concerne le prestazioni pensionistiche, ai ratei di pensione non ancora liquidati, a contrastanti risultati avevano dato luogo le questioni se il previsto termine decennale fosse un termine di prescrizione o di decadenza, e se la decadenza fosse da considerarsi sostanziale o procedimentale.
L´interpretazione fornita dalla giurisprudenza, in ordine al termine decennale stabilito nella citata norma, dopo differenti posizioni circa la sua natura prescrizionale o decadenziale, si era orientata nel senso che esso avesse natura meramente procedimentale: non dava luogo ad effetti sostanziali delimitando unicamente l´efficacia temporale della condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
La scadenza del termine, pertanto, comportava “esclusivamente” il difetto di procedibilità dell’azione, rendendosi necessaria la ripetizione della procedura amministrativa, per poi agire in giudizio.
Sul piano sostanziale, dovevano ritenersi prescritti i ratei anteriori ai dieci anni precedenti la presentazione della nuova domanda amministrativa, alla quale andava riconosciuta efficacia interruttiva della prescrizione decennale . Discendeva da tale interpretazione, ai fini dell´agibilità della pretesa diretta a conseguire una prestazione pensionistica, che l’azione giudiziaria dovesse essere proposta entro il termine di dieci dalla data di comunicazione del ricorso amministrativo o dalla scadenza del termine previsto per la formazione del silenzio-rigetto; se il termine fosse trascorso senza l´instaurazione del giudizio, la domanda in via amministrativa doveva essere riproposta, per poi adire il giudice.
Alla luce dell’interpretazione giurisprudenziale circa la natura e gli effetti del termine previsto dall´art. 47 del d.P.R. n. 639 del 1970, veniva emanato il decreto legge 29 marzo 1991 n. 103, (intitolato «Regime delle prescrizioni delle prestazioni previdenziali»), convertito in legge 1 giugno 1991 n. 166 il cui articolo 6 avente carattere di norma d´interpretazione autentica dispone: “1. I termini previsti dall´art. 47, commi 2 e 3 , del d.P.R. 30 aprile 1970 n. 639, sono posti a pena di decadenza per l´esercizio del diritto alla prestazione previdenziale. La decadenza determina l´estinzione del diritto ai ratei pregressi delle prestazioni previdenziali e l´inammissibilità della relativa domanda giudiziale; in caso di mancata proposizione di ricorso amministrativo, i termini decorrono dall´insorgenza del diritto ai singoli ratei.
2. Le disposizioni di cui al comma 1 hanno efficacia retroattiva, ma non si applicano ai processi che sono in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto".
A questo fine, il legislatore ha statuito (art. 6, primo comma) che il termine previsto dall´art. 47 del d.P.R. n. 639 del 1970 - così come quello quinquennale indicato dal terzo comma dell´art. 47, deve intendersi posto a pena di decadenza, nel senso che il suo decorso "determina l´estinzione del diritto ai ratei pregressi delle prestazioni previdenziali".
Dunque, il termine ha valore sostanziale e non procedimentale, come invece aveva affermato la giurisprudenza delle Sezioni unite della Cassazione.
Con la legge di interpretazione autentica il legislatore, quindi, senza modificare il tenore testuale della norma interpretata, ne precisa il significato precettivo.
Tali elementi ricorrono puntualmente nell´art. 6 con cui il legislatore da un´interpretazione dell´art. 47 del d.P.R. n. 639 del 1970 diversa da quella cui era pervenuta la richiamata giurisprudenza, esplicandone in tal senso il contenuto.
Come precisato dalla Corte Costituzionale “in questa visione interpretativa l´art. 6, primo comma, del d.l. n. 103 del 1991 - così come l´art. 47 del d.P.R. n. 639 del 1970 al quale si riferisce - non può riguardare la disciplina del diritto a pensione, ma solo quella del diritto ai ratei di essa”.
Il diritto a pensione, infatti, secondo giurisprudenza costante ed uniforme, è imprescrittibile, né sottoponibile a decadenza, in conformità di un principio costituzionalmente garantito che non può comportare deroghe legislative.
Tel principio è rispettato nell´art. 6, primo comma, del d.l. n. 103 del 1991, avendo nell´interpretare autenticamente l´art. 47 del d.P.R. n. 639 del 1970, espressamente stabilito che la decadenza ivi prevista determina l´estinzione del diritto "ai ratei pregressi".
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Natura giuridica della decadenza.
La decadenza è l´effetto conseguente del mancato esercizio del diritto durante il tempo stabilito e corrisponde alla esigenza di limitare nel tempo l´esercizio di un diritto.
Ogni termine può essere indifferentemente di prescrizione o di decadenza a seconda della disciplina dettata dal legislatore, ma si tratta dello stesso fenomeno liberatorio (estintivo) nel quale la disciplina della decadenza è più rigorosa perché maggiore è l´esigenza di certezza: “la prescrizione elimina l´effetto di una fattispecie già realizzatasi, la decadenza, invece, fa mancare la possibilità che si verifichi uno degli elementi della fattispecie ed integra l´impossibilità di esercitare un potere in un singolo caso pur rimanendo in vita in tutti gli altri casi in cui ricorre”.
Alla base della decadenza vi è, pertanto, la fissazione, da parte del legislatore, di un termine perentorio entro il quale il titolare del diritto deve compiere una determinata attività, in difetto della quale resta precluso l’esercizio del diritto.
La decadenza determina l’estinzione del diritto in conseguenza del fatto oggettivo del decorso del tempo e “implica, quindi l’onere di esercitare il diritto esclusivamente entro il termine prescritto dalla legge”.
La decadenza può, dunque, essere evitata solo dall’esercizio del diritto mediante il compimento dell’atto previsto; nella fattispecie può essere impedita solo con la proposizione della domanda giudiziale. “Con l’esercizio del diritto viene meno, infatti, la stessa ragione d’essere della decadenza: l’onere, a cui era condizionato l’esercizio del diritto, è ormai soddisfatto”.
Nelle materie sottratte alla disponibilità delle parti, la decadenza è rilevabile d´ufficio dal giudice ( decadenza legale stabilita nell’interesse generale) e le parti non possono “né modificare il regime previsto dalla legge né rinunziare alla decadenza” ed il giudice a differenza di quanto si verifica nei casi di prescrizione del diritto, come già evidenziato, deve rilevarla d’ufficio.
I giudici di legittimità hanno più volte ribadito che la decadenza sostanziale in materia previdenziale <<è di ordine pubblico in quanto annoverabile fra quelle dettate a protezione dell’interesse alla definitività e certezza delle determinazioni concernenti erogazioni di spese gravanti su bilanci pubblici ed è, pertanto, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, con il solo limite del giudicato, dovendosi escludere la possibilità, per l’ente previdenziale, di rinunziare alla decadenza stessa ovvero di impedirne l’efficacia riconoscendo il diritto ad essa soggetto>> .
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Abbreviazione dei termini decadenziali.
Il legislatore è nuovamente intervenuto sull’articolo 47 del d.P.R. n. 639/70, (art. 4 del d.l. 19 settembre 1992 n. 384, convertito, sul punto, senza modificazioni con la legge 14 novembre 1992 n. 438) stabilendo:
1. I commi secondo e terzo dell´art. 47 del d.P.R. 30 aprile 1970 n. 639, sono sostituiti dai seguenti: "Per le controversie in materia di trattamenti pensionistici l´azione giudiziaria può essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine di tre anni dalla data di comunicazione della decisione del ricorso pronunziata dai competenti organi dell´Istituto o dalla scadenza del termine stabilito per la pronunzia della predetta decisione, ovvero dalla data di scadenza dei termini prescritti per l´esaurimento del procedimento amministrativo, computati a decorrere dalla data di presentazione della richiesta di prestazione.
Per le controversie in materia di prestazioni della gestione di cui all´art. 24 della legge 9 marzo 1989 n. 88, l´azione giudiziaria può essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine di un anno dalle date di cui al precedente comma".
2. Sono abrogati l´art. 57 della legge 30 aprile 1969 n. 153, e l´art. 152 delle disposizioni per l´attuazione del codice di procedura civile, approvate con R.d. 18 dicembre 1941 n. 1368 e successive modificazioni.
3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non si applicano ai procedimenti instaurati anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto ancora in corso alla medesima data.
La norma esclude espressamente l´applicazione dei nuovi termini «ai procedimenti instaurati anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto ancora in corso alla medesima data».
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che l´applicabilità della nuova ipotesi di decadenza presuppone la presentazione della richiesta di prestazione dopo l´entrata in vigore del D.L. n. 384 del 1992.
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Decorrenza del termine di decadenza.
In ordine, al dies a quo di decorrenza del termine di decadenza la predetta disposizione (art. 47 cit.), nella nuova formulazione, prevede quanto alla decorrenza del termine decadenziale per l’esercizio dell’azione giudiziaria, alternativamente, tre ipotesi di dies a quo:
1) dalla data di comunicazione della decisione del ricorso pronunziata dai competenti organi dell´istituto;
2) dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronuncia della decisione;
3) dalla data di scadenza dei termini prescritti per l´esaurimento del procedimento amministrativo, computati a decorrere dalla data di presentazione della richiesta di prestazione; ove, manchi il ricorso amministrativo, alla data della richiesta, dunque, si sommano i termini presuntivi (art. 7 legge n. 533 del 1973, art. 46 commi 5 e 6 della legge n. 88 del 1989) per l´esaurimento del procedimento amministrativo ai quali si aggiungono i tre anni o un anno di decadenza a secondo della prestazione richiesta.
In ogni caso, sia che il diritto sorga a seguito di una domanda amministrativa, sia che sorga indipendentemente dalla domanda, per essersi verificato un determinato fatto previsto dalla legge, la decorrenza resta fissata dal giorno in cui la domanda giudiziale è proponibile.
La norma, nel dettare un nuovo testo del secondo comma dell´art. 47 del d.P.R. n. 639 del 1970, dunque, non solo sostituisce al termine decennale quello triennale e a quello quinquennale quello annuale, ma introduce, altresì, un´ulteriore decorrenza del termine di decadenza con riguardo alla «data di scadenza dei termini prescritti per l´esaurimento del procedimento amministrativo, computati a decorrere dalla data di presentazione della richiesta di prestazione».
Il riferimento alla scadenza dei termini prescritti per l´esaurimento del procedimento amministrativo, contestualmente ed alternativamente alla previsione del dies a quo costituito dalla comunicazione della decisione sul ricorso ovvero del termine per renderla, assorbe proprio l´eventualità della mancata proposizione di ricorsi.
Il termine per proporre l’azione giudiziaria decorre, pertanto, anche dall’esaurimento del procedimento amministrativo e determina l’improponibilità della stessa qualora non sia proposta nei termini di tre anni, se di tratta di prestazione pensionistica e di un anno, se si tratta di prestazione di cui all’articolo 24 legge n. 88/78.
La «scadenza dei termini prescritti per l´esaurimento del procedimento amministrativo», individua la soglia oltre la quale la presentazione di un ricorso tardivo non può essere utilizzata al fine di determinazione del dies a quo del termine di decadenza per il successivo inizio dell’azione giudiziaria e dello spostamento in avanti di esso, ottenibile ormai nel solo limite dello sbarramento costituito della scadenza dei termini prescritti per l´esaurimento del procedimento amministrativo.
La scadenza suddetta, costituendo il limite estremo di utilità di ricorsi proposti tardivamente, ma pur sempre anteriormente al suo verificarsi, determina anche l´effetto dell´irrilevanza di un ricorso proposto solo successivamente.


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Irrilevanza delle vicende successive al compimento del termine. Il principio affermato dalla Sezioni Unite.
Nelle materie disciplinate dall’articolo 47 d.p.r. n. 639/70, diventa irrilevante la mancata o tardiva comunicazione della decisione degli organi amministrativi; la decadenza iniziata a decorrere da una delle tre ipotesi previste alternativamente “è dettata a protezione dell’interesse pubblico alla definitività e certezza delle determinazioni concernenti erogazioni di spese gravanti su bilanci pubblici e, di conseguenza, essendo sottratta alla disponibilità delle parti, è rilevabile d’ufficio – salvo il limita del giudicato - in ogni stato e grado del giudizio ed opponibile anche tardivamente dall’Istituto previdenziale” .
In considerazione della indicata natura pubblicistica dei termini in materia, la decadenza deve trovare applicazione quale che sia il comportamento delle parti, sicché sul decorso dei diversi termini attraverso i quali si articola – ed è stata legislativamente cadenzata- la procedura contenziosa amministrativa non può incidere né il privato, con un ricorso amministrativo tardivo, né l’Ente di previdenza, con un provvedimento amministrativo o con una decisione anch’essa tardiva “Sono quindi irrilevanti le vicende verificatesi dopo il compimento del termine, il che porta ad escludere che il dies a quo del termine decadenziale possa dipendere dalla data di provvedimento eventuale da parte dell’ente previdenziale” o che possa rimanere sospeso e non decorrere in assenza di pronuncia da parte dell’ente di previdenza o di mancata comunicazione della decisione sul ricorso da parte del medesimo ente.
Che la decadenza decorre, anche in assenza di ricorso amministrativo, è stato confermato dalla giurisprudenza del Supremo Collegio. La Corte di cassazione , confermando il costante e maggioritario indirizzo giurisprudenziale, ha ulteriormente precisato che la decadenza, perfezionatasi per una delle tre ipotesi di dies a quo alternativamente previsto, determina l’estinzione del diritto ai ratei pregressi e l’improponibilità dell’azione giudiziaria.
Con la richiamata pronuncia la Corte di Cassazione per quanto concerne la decadenza ex art. 47 d.p.r. 639/70 come sostituito dall’art. 4 D.l. n. 484/92 convertito in legge n. 438/92, ha statuito che “trattasi indubbiamente di un termine di decadenza, che ha natura sostanziale, al riguardo si richiama la giurisprudenza della Corte Costituzionale (sentenza n. 246/92) e di questa Corte (sentenze n. 12498 del 2003 e n. 3853 del 2003, nonché sentenze n. 5924 del 2001 e n. 9595 del 1997”.
La Corte, con la sentenza in oggetto ha altresì osservato, “che il termine di decadenza decorre comunque dalla scadenza dei termini (di complessivi trecento giorni dalla presentazione della domanda amministrativa della prestazione) per l’esaurimento del procedimento amministrativo. Tali termini risultano dal cumulo del termine di 120 giorni per la pronuncia sulla domanda amministrativa (art. 7 della legge n. 533 del 1973), nonché di due ulteriori termini (di 90 giorni ciascuno di cui all’art. 46 commi 5 e 6 della legge n. 88 del 1989) per la presentazione del ricorso amministrativo e per la decisione relativa (Cass. 16138 del 2004; Corte Costituzionale n. 128 del 1996).
Pur in presenza dell’indirizzo giurisprudenziale maggioritario sopra richiamato, formatosi all’interno della stessa Sezione, la Sezione lavoro della Corte di Cassazione, con ordinanza del 2 luglio 2008, n. 18104, rilevando che si era manifestato all’interno della predetta Sezione un contrasto in ordine al tema del decidere e cioè sulla questione del decorso o meno del termine di decadenza di cui all’art. 47 del d.p.r. 30 aprile 1970 n. 639 nel caso di mancanza di provvedimento ovvero di omissione delle indicazioni prescritte dal quinto comma del richiamato articolo 47, disponeva la trasmissione ex art. 374 2° comma c.p.c. del ricorso al primo Presidente che assegnava il ricorso alle Sezioni Unite.
Le sezioni Unite (Cass. Sez. Un. 12 maggio 2009 n. 12718), preliminarmente, hanno richiamato i due diversi indirizzi contrapporti contrapposti.
Il primo indirizzo afferma che la mancanza di un provvedimento esplicito dell’INPS ovvero l’omissione nel provvedimento delle indicazioni prescritte nel quinti comma dell’art. 47 del d.p.r. n. 639 del 1970, impediscono il decorso del termine di dice cadenza.
A sostegno di tale indirizzo, è stato sostenuto che in tema di decadenza dell’azione giudiziaria per il conseguimento di prestazioni previdenziali, ai sensi dell’art. 47, sia la mancanza di un provvedimento esplicito dell’INPS sulla domanda sia l’omissione nel provvedimento delle indicazioni prescritte dal comma quinto del detto articolo (precisazione dei gravami esperibili e dei termini per l’esercizio dell’azione giudiziaria) configurano degli impedimenti al decorso del termine di decadenza prescritto per l’esaurimento del procedimento amministrativo .
Il secondo indirizzo, maggioritario, arriva a conclusioni opposte ritenendo che l’omissione dell’indicazione nell’atto dell’ente previdenziale degli elementi di cui al comma 5 dell’articolo 47 non impedisce il decorso del termine decadenziale, essendo del tutto irrilevante poiché attinente a termini di legge che il privato è tenuto a conoscere e rispettare .
Le Sezioni Unte , per la specialità e la peculiarità dell’assetto normativo regolante la materia previdenziale, “che osta all’estensione di disposizioni che, nel silenzio della legge, risultino di impedimento al perseguimento delle finalità sottese”, hanno condiviso quest’ultimo indirizzo ed hanno affermato il seguente principio <>.

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Fattispecie soggetta alla disciplina della decadenza; irrilevanza degli adempimenti parziali.
Il regime decadenziale fin qui esaminato, trova applicazione solo per le ipotesi di richiesta dell’intera prestazione previdenziale .
La decadenza, invece, non trova applicazione nei casi di riconoscimento parziale, di errore di calcolo o di mancata liquidazione o erogazione di una componente del diritto di credito di natura previdenziale riconosciuto nella sua quota capitale.
Le ulteriori rivendicazioni successive concernenti la stessa prestazione previdenziale già riconosciuta non sono, pertanto, soggette al decadenza, dovendo invece trovare applicazione soltanto il regime ordinario di prescrizione decennale.
Sulla tematica in questione non si riscontrava una uniformità di situazioni, né si rinveniva l’enunciazione di un principio di generale applicazione, capace di coprire con il suo ambito applicativo tutti i casi di riliquidazioni di prestazioni previdenziali “aventi ad oggetto discrasie circa il quantum spettante o che abbiano ad oggetto analoghe fattispecie relative alle prestazioni previdenziali, quali domanda di rivalutazione monetaria delle prestazione per il diniego di automatismi economici; richiesta di accessori da ritardo o di inclusioni di specifiche componenti della prestazione già riconosciuta”.
In giurisprudenza, dunque, si rinvenivano una diversità di indirizzi.
Secondo un primo orientamento, infatti, con riferimento alla particolare fattispecie di prestazioni corrisposte non nella loro integrità, si è rilevato che qualora la legge preveda la decadenza di un diritto di credito – per il caso di suo mancato esercizio entro un certo termine predeterminato- la richiesta di pagamento soltanto parziale è atto di esercizio idoneo ad impedire la decadenza con riguardo alla prestazione dovuta – stante la facoltà del creditore di chiedere ed accettare l’adempimento parziale ai sensi dell’art. 1181 c.c. – ad a fare si che la richiesta di pagamento non si poi soggetta ad alcun termine della stessa natura .
“Corollario di tale assunto è l’ulteriore affermazione che l’esercizio di un diritto di credito previdenziale –esercitato entro il termine decadenziale previsto dalla legge- impedisce tale decadenza anche in relazione alle somme ulteriori eventualmente richieste allo stesso titolo, dal momento che la somma successivamente richiesta costituisce sempre una componente essenziale del credito previdenziale ed atteso che non è prospettabile una rinuncia in assenza di uno specifico atto dal quale possa evincersi in maniera univoca una manifestazione di volontà in tali sensi.
In conclusione quindi la richiesta di un prestazione previdenziale (soddisfatta parzialmente) impedirebbe definitivamente la decadenza di cui all’art. 47 d.p.r. n. 639 del 1970, con l’effetto che la richiesta di integrazione non sarebbe assoggettata ad alcun termine di decadenza, per essere ad essa applicabile solo il termine prescrizionale.
Un altro orientamento distingueva invece la fattispecie in cui si richieda una prestazione entro un certo termine di decadenza da quella, invece, in cui si contesti una precedente determinazione dell’ente, con la proposizione di un’azione giudiziaria entro un distinto termine, anch’esso di decadenza, non rivenendosi alcuna norma o principio che escluda l’operatività di due diversi termini di decadenza, dei quali il primo imponga -ai fini della conservazione del diritto- di farlo valere tempestivamente in sede amministrativa ed il secondo imponga di contro la necessità –una volta ch sia stato riconosciuto in maniera definitiva il diritto stesso- di contestare le ulteriori decisioni dell’ente con la proposizione, entro un termine previsto anch’esso a pena di decadenza, di una apposita domanda giudiziale .

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La composizione del contrato con la decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
La ricognizione delle posizioni assunte dalla Corte di Cassazione sulla questione dell’applicabilità del termine di decadenza alle ulteriori rivendicazioni concernenti la stessa prestazione previdenziale, già riconosciuta, dunque evidenziava contraddizioni e contrasti e avendo di notevole rilevanza il tema generale dei limiti di operatività dell’Istituto della decadenza in materia previdenziale, la questione è stata rimessa per la risoluzione della questione alle Sezioni Unite.
Le Sezioni Unite, hanno condiviso il primo dei due indirizzi sopra richiamati.
Secondo Le Sezioni Unite, la configurabilità di un doppio termine appare inconciliabile con quadro normativo regolante la materia perché la fattispecie regolata dall’articolo 47 d.p.r. n. 639 del 1970 – così come interpretato autenticamente dall’art. 6 del decreto legge n. 103 del 1991- prevede un solo termine decadenziale per ogni singola prestazione, pur nella duplicità dell’effetto (procedimentale e sostanziale) della predetta decadenza e perché il termine non può che essere unico per il carattere unitario della prestazione rivendicata, dal momento che le somme domandate con riferimento alla prestazione originariamente chiesta non hanno una propri autonomia, <>.
L’opposta opinione, secondo le Sezioni Unite, “finirebbe per contraddire la stessa natura dell’Istituto della decadenza per avere l’ordinamento stabilito che non possa in relazione a certi diritti perdurare una situazione di incertezza, la quale deve essere necessariamente definita unitariamente in un senso (esercizio del diritto) o nell’altro (perdita del diritto), a seconda che si impedisca o meno il verificarsi della decadenza con il compimento delle specifico atto previsto a tal fine. In ragione di tale natura e funzione della decadenza risulta, pertanto, soluzione obbligata quella che ricollega (l’unico) termine di decadenza alla natura del singolo diritto esercitato nella impossibilità che possa assumere qualsiasi rilevanza il riferimento alle singole componenti” .

 
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