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11/11/2016
I DOCENTI E GLI ATA PRECARI O GIA´ DI RUOLO POSSONO OTTENERE PER INTERO IL RICONOSCIMENTO DEL PERIODO PRERUOLO
La sentenza n. 22558/2016 della Suprema Corte di Cassazione Sezione Lavoro del 07.11.2016 è una sentenza storica per il mondo della SCUOLA PUBBLICA.
A partire da oggi qualunque precario per i dieci anni precedenti può chiedere con un ricorso al Giudice del Lavoro il riconoscimento giuridico della m...


10/04/2016
CHI ISCRIVE IPOTECA PER UN VALORE SPROPOSITATO PAGA I DANNI
E’ di questi ultimi giorni la decisione della Suprema Corte di Cassazione che ha stabilito una responsabilità aggravata in capo a chi ipoteca il bene (es. casa di abitazione) del debitore ma il credito per il quale sta agendo è di importo di gran lunga inferiore rispetto al bene ipotecato....


19/05/2015
Eccessiva durata dei processi: indennizzi più veloci ai cittadini lesi
La Banca d´Italia ed il Ministero della Giustizia hanno firmato un accordo di collaborazione per accelerare i tempi di pagamento, da parte dello Stato, degli indennizzi ai cittadini lesi dall´eccessiva durata dei processi (legge n. 89 del 2001, c.d. “legge Pinto”).
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26/11/2014
Sentenza Corte giustizia europea precariato: vittoria! Giornata storica.
La Corte Europea ha letto la sentenza sull´abuso dei contratti a termine. L´Italia ha sbagliato nel ricorrere alla reiterazione dei contratti a tempo determinato senza una previsione certa per l´assunzione in ruolo.
Si apre così la strada alle assunzioni di miglialia di precari con 36 mesi di preca...


02/04/2014
Previdenza - prescrizione ratei arretrati - 10 anni anche per i giudizi in corso
La Consulta boccia la norma d´interpretazione autentica di cui all’art. 38, comma 4, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, nella parte in cui prevede c...


27/11/2013
Gestione Separata Inps: obbligo d´iscrizione per i professionisti dipendenti?
Come è noto, la Gestione Separata dell’INPS è stata istituita dalla legge 335/1995 al fine di garantire copertura previdenziale ai lavoratori autonomi che ne fossero sprovvisti....


25/11/201
Pubblico dipendente, libero professionista, obbligo d´iscrizione alla Gestione Separata Inps
Come è noto, la Gestione Separata dell’INPS è stata istituita dalla legge 335/1995 al fine di garantire copertura previdenziale ai lavoratori autonomi che ne fossero sprovvisti.
...


05/05/2013
L´interesse ad agire nelle cause previdenziali. Analsi di alcune pronunce
Nell´area del diritto previdenziale vige il principio consolidato a livello giurisprudenziale, secondo il quale l’istante può avanzare all’Autorità Giudiziaria domanda generica di ricalcolo di un trattamento pensionistico che si ritiene essere stato calcolato dall’Istituto in modo errato, senza dete...









   mercoledì 27 aprile 2011

Ridimensionamento e licenziamento: al giudice il controllo sul nesso causale


Tribunale di Caltanissetta
Sezione Lavoro
Sentenza 11 ottobre 2010
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI CALTANISSETTA
SEZIONE LAVORO
Il Giudice designato, dott. Valerio Giovanni Antonio Sasso, nella causa r.g.n. ****/2010,
tra ****, rappresentato e difeso dall’avv. Rosa Geraci,
e
SEUS, Sicilia Emergenza Urgenza Sanitaria, società consortile per azioni, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagl’avv.ti Marco Marazza, Maurizio Marazza, Domenico De Feo e Salvatore D’Agostini
nonché
SISE, Siciliana Servizi Emergenza s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Barbara Santese
a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 1.10.2010:

Premesso che: il ricorrente, ex dipendente Sise, esponeva che tra Sise e Seus erano intercorsi accordi sindacali in cui la Seus – neocostituita società a capitale interamente pubblico – si impegnava con Sise ad assumere ex novo i dipendenti della Sise, subordinatamente alla sottoscrizione di accordi individuali transattivi aventi ad oggetto la rinuncia da parte dei lavoratori delle pretese retributive sia nei confronti della società precedentemente datrice di lavoro sia nei riguardi della nuova società Seus. Impugnati tali accordi con ricorso ex art. 700 c.p.c. dinanzi ad altro Giudice di questo Tribunale, conclusosi con sentenza dichiarativa dell’inammissibilità del ricorso, il ricorrente – non avendo firmato la rinuncia nei confronti di Sise di cui s’è detto sopra – veniva licenziato; ne seguiva l’impugnazione del licenziamento ritenuto illegittimo e la richiesta di reintegrazione rispetto a Seus. Ciò posto in punto di fatto, esponeva in punto di diritto che l’operazione conclusasi tra Seus e Sise risultava qualificabile come trasferimento di azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c., e a tal fine depositava documentazione riguardante il trasferimento di attrezzature e materiali (essenzialmente, pc e ambulanze) dalla Sise alla Seus, stante la mancanza di una procedura di appalto pubblico.

Chiedeva disporsi la reintegra del ricorrente nel posto di lavoro, con condanna al risarcimento ex art. 18 co. 4 l. 300/70.

Si costituiva la Seus, sollevando l’eccezione di incompetenza territoriale di questo Giudice, stante la sede legale della resistente in Palermo, in fatto illustrava le fasi della costituzione della nuova società, sosteneva l’autonomia imprenditoriale del nuovo soggetto giuridico, e in diritto argomentava sulla non configurabilità della fattispecie di cui all’art. 2112 c.c.; sosteneva infine l’insindacabilità degli accordi sindacali a seguito dei quali s’era disposto il licenziamento impugnato. Argomentava poi sulla insussistenza del periculum in mora.

Si costituiva Sise, ripercorrendo in particolare le tappe della messa in mobilità e dei successivi licenziamenti collettivi, argomentando in diritto quanto all’insussistenza dell’art. 2112 c.c., e chiedendo il rigetto del ricorso.

La causa veniva trattenuta in riserva all’udienza del 1° ottobre 2010.

1) Preliminarmente, sull’eccezione di incompetenza territoriale: Seus sostiene che “nessun rapporto di lavoro è stato mai costituito con il ricorrente...la sede legale della società resistente, da data antecedente la notifica del ricorso, è in Palermo” (cfr. art. 3 dell’atto costitutivo allegato); a tal proposito, questo Giudice osserva che la domanda trae fondamento dalla prospettazione (causa petendi) dell’ipotesi di continuità ex art. 2112 c.c., sicché – a voler ritenere sussistente l’ipotesi del terzo comma dell’art. 413 c.p.c. (che parte della giurisprudenza riferisce al mero trasferimento della sede della società, cfr. Cass. lav. 6143/01) – sono comunque rispettati i sei mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro di cui al comma predetto per l’incardinazione della causa presso questo foro, competente in quanto foro della prestazione lavorativa al momento del licenziamento.

2) Sulla eccezione di inutilizzabilità di documentazione, sollevata da Seus.

Si osserva che: è pur vero che l’art. 2015 c.c. vieta al dipendente di divulgare notizie attinenti all’azienda e all’attività di produzione, tuttavia è evidente che tale norma mira alla tutela della posizione di mercato dell’impresa. Ciò che davvero la norma vuole tutelare, cioè, è che l’informazione (inutile in questa sede soffermarsi anche sulla nozione di “segreto”) non venga utilizzata dallo stesso lavoratore per fini suoi propri ovvero che tale informazione non pregiudichi la posizione di vantaggio astrattamente configurabile in capo all’azienda: in questo secondo caso, la norma vieta, concretamente, la diffusione di ciò che attiene la produzione/organizzazione aziendale. A conferma di tale conclusione, è sufficiente a tal fine richiamare l’art. 24 lett. f del d.lgs. 196/03, secondo cui non è necessario alcun consenso per il trattamento dei dati qualora esso: “f) con esclusione della diffusione, e´ necessario ai fini dello svolgimento delle investigazioni difensive di cui alla legge 7 dicembre 2000, n. 397, o, comunque, per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalita´ e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento, nel rispetto della vigente normativa in materia di segreto aziendale e industriale”. Pertanto, purché nel ristretto ambito processuale, alcun divieto è ravvisabile in capo al dipendente nella produzione di documenti aventi attinenza al giudizio (anche putativa); in questi termini si è espressa anche la Suprema Corte, osservando che, nel caso di riproduzione di documenti in giudizio non può certo parlarsi di loro “divulgazione”, e che il diritto di difesa garantito dall´art. 24 della Cost. prevale sull´esigenza di riservatezza dell´impresa (Cass. n. 6420/2002); pertanto, l’intera documentazione è utilizzabile;

3) Sull’ampiezza dei poteri del Giudice nelle ipotesi di licenziamento collettivo e sulla discriminatorietà del licenziamento.

Va premesso che il giudice, se non può sindacare le scelte imprenditoriali nel dimensionare il livello occupazionale in riferimento alla programmata ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale (sicché non vi è valutazione di merito sulla giustificatezza del recesso datoriale come nella fattispecie del licenziamento per giustificato motivo oggettivo), deve comunque accertare la “sussistenza dell´imprescindibile nesso causale tra il progettato ridimensionamento ed i singoli provvedimenti di recesso”. (in termini, da ultimo Cass. Lav. 19347/07). In tema di onere probatorio, va riportato il principio di diritto espresso da Cass. 27165/09 (confermativa di orientamento consolidato), secondo cui “mentre grava sul datore di lavoro l´onere di allegazione dei criteri di scelta e la prova della loro piena applicazione nei confronti dei lavoratori licenziati, con indicazione, in relazione a ciascuno di questi ultimi, dello stato familiare, dell´anzianità e delle mansioni, incombe al lavoratore dimostrare l´illegittimità della scelta, con indicazione dei lavoratori in relazione ai quali la stessa sarebbe stata falsamente o illegittimamente realizzata. Ne consegue che, ove il datore di lavoro si sia limitato a comunicare dei criteri assolutamente vaghi, inidonei a consentire al lavoratore di contestare le scelte operate e di comparare la propria posizione con quella degli altri dipendenti che hanno conservato il posto di lavoro, nessun onere è ravvisabile in capo al lavoratore”. Nello stesso senso, Cass. Lav. 5089/09, secondo cui “in materia di licenziamenti collettivi per riduzione di personale, la legge 23 luglio 1991, n. 223, nel prevedere agli artt. 4 e 5 la puntuale, completa e cadenzata procedimentalizzazione del provvedimento datoriale di messa in mobilità, ha introdotto un significativo elemento innovativo consistente nel passaggio dal controllo giurisdizionale, esercitato "ex post" nel precedente assetto ordinamentale, ad un controllo dell´iniziativa imprenditoriale concernente il ridimensionamento dell´impresa, devoluto "ex ante" alle organizzazioni sindacali, destinatarie di incisivi poteri di informazione e consultazione secondo una metodica già collaudata in materia di trasferimenti di azienda. I residui spazi di controllo devoluti al giudice in sede contenziosa non riguardano più, quindi, gli specifici motivi della riduzione del personale, ma la correttezza procedurale dell´operazione (ivi compresa la sussistenza dell´imprescindibile nesso causale tra il progettato ridimensionamento e i singoli provvedimenti di recesso), con la conseguenza che non possono trovare ingresso, in sede giudiziaria, tutte quelle censure con le quali, senza contestare specifiche violazioni delle prescrizioni dettate dai citati artt. 4 e 5 e senza fornire la prova di maliziose elusioni dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali e delle procedure di mobilità al fine di operare discriminazioni tra i lavoratori, si finisce per investire l´autorità giudiziaria di un´indagine sulla presenza di "effettive" esigenze di riduzione o trasformazione dell´attività produttiva”.

Infine, quanto alla sindacabilità in giudizio dei criteri di scelta alternativi, Cass. Lav. 9866/07, richiamando la nota sentenza 268/94, ha sancito che: “la determinazione negoziale dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare (che si traduce in accordo sindacale che ben può essere concluso dalla maggioranza dei lavoratori direttamente o attraverso le associazioni sindacali che li rappresentano, senza la necessità dell´approvazione dell´unanimità), poiché adempie ad una funzione regolamentare delegata dalla legge, deve rispettare non solo il principio di non discriminazione, sanzionato dall´art. 15 della legge n. 300 del 1970, ma anche il principio di razionalità, alla stregua del quale i criteri concordati devono avere i caratteri dell´obiettività e della generalità oltre a dover essere coerenti con il fine dell´istituto della mobilità dei lavoratori.

In particolare, faro del principio di non discriminazione in materia, è la lettura costituzionalmente orientata fornita all’art. 5 l. 223/91, applicabile ex art. 24 l. 223 anche all’ipotesi di riduzione di personale, da Corte Costituzionale 94/268, secondo cui l’accordo sindacale “deve rispettare non solo il principio di non discriminazione sanzionato dall’art. 15 l. 300/70, ma anche il principio di razionalità, alla stregua del quale i criteri concordati devono avere i caratteri della obbiettività e della generalità e devono essere coerenti col fine dell’istituto della mobilità dei lavoratori...come parametro del giudizio di razionalità o ragionevolezza possono venire in considerazione anche i criteri legali, non come tali, ma in quanto riproducono criteri tradizionalmente praticati nei rapporti collettivi connessi ai licenziamenti per riduzione di personale, sicché lo scostamento da essi deve essere giustificato”

Ora, nel caso che ci occupa, il ricorrente lamenta la discriminatorietà del licenziamento poiché, in base all’accordo del 15.3.2010, allegato in atti, i lavoratori sarebbero stati costretti a “scegliere tra il pagamento di quanto loro dovuto ed il posto di lavoro” (pag. 6 ricorso); a ben guardare, effettivamente, l’unico criterio di scelta, concordato con le parti sindacali, è quello, consacrato dall’accordo del 15.3.2010, che stabilisce “la società Seus si impegna ad assumere ex novo i lavoratori alla data odierna occupati dalla società Sise con contratto a tempo indeterminato che verranno collocati in mobilità ed iscritti nelle relative liste a chiusura, con accordo, della procedura ex l. 223/91 in corso” e, al punto 3: “l’assunzione avverrà con orario settimanale di 36 ore, con applicazione di tutti gli istituti del CCNL AIOP....solo subordinatamente all’avvenuto inserimento nelle liste di mobilità nonché: [...] b) sottoscrizione di un valido accordo individuale transattivo mediante il quale ciascun lavoratore, anche in ragione all’impegno all’assunzione di cui al presente accordo, salva la liquidazione del TFR, rinunci nei confronti della società SISE ad ogni rivendicazione, anche relativa ad eventuali differenze retributive...[...] c) sottoscrizione di un valido accordo individuale transattivo mediante il quale ciascun lavoratore rinunci nei confronti della società SEUS ad ogni rivendicazione direttamente o indirettamente connessa con la costituzione del rapporto di lavoro anche ai sensi dell’art. 2112 c.c. [...] a titolo di transazione generale e novativa per il personale occupato alle dipendenze di SISE”.

In sostanza – e la circostanza non è stata smentita neppure dalle memorie difensive – il criterio alternativo dei licenziamenti è stato determinato nel “non stipulare” la transazione: ai criteri di scelta di cui all’art. 4 l. 223/91 è stato sostituito un criterio assolutamente discrezionale e non oggettivo, scevro di ogni collegamento razionale con le esigenze latamente organizzative sottese all’operazione di riduzione di personale: il licenziamento pertanto non può che dirsi illegittimo.

Ciò detto, segue, logicamente, la successiva questione: è ravvisabile un trasferimento di azienda? Difatti, la dichiarata illegittimità del licenziamento spiegherebbe effetti solo nei confronti di Sise, ma, perché essa consenta la reintegrazione in servizio del ricorrente nei confronti di Seus, è necessario l’esame della predetta questione di fatto.

4) Sul trasferimento di azienda

E’ d’uopo riportare il testo della norma sul quale si appunta la dialettica giuridica delle parti, ossia l’art. 2112, 5° comma c.c.: “...si intende per trasferimento di azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato, ivi compresi l’usufrutto o l’affitto d’azienda. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell’azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento”.

Secondo la norma, quindi: 1) il requisito della preesistenza indica che il complesso organizzativo deve essere già concretamente preordinato, presso il cedente, all’esercizio dell’attività economica; 2) l’identità impone che l’attività organizzata conservi le caratteristiche funzionali ed organizzative durante il trasferimento (in tal senso, Cass. Lav. 22232/06). Quanto al titolo del trasferimento, secondo la giurisprudenza assume rilievo non il mezzo giuridico concretamente impiegato, quanto il fatto che il nuovo imprenditore diventi titolare del complesso organizzato e funzionale dei beni (così Cass. Lav. 6388/93, in un caso di trasferimento mediante concessione di servizio di trasporto pubblico). Con riferimento alla seconda parte (da “le dispozioni” a “trasferimento”), risultante dalle modifiche apportate dall’art. 32 d.lgs. 276/03, il concetto di “articolazione” può abbracciare anche l’ipotesi di gruppi di lavoratori che assolvano stabilmente un’attività comune, in quanto la giurisprudenza comunitaria interpreta in senso più ampio il concetto di azienda (cfr. direttiva CE 23/01). Sicché, si è affermato nella giurisprudenza di legittimità che anche il trasferimento di un ramo d´azienda che costituisca, prima del trasferimento, un’entità dotata di autonomia ed unitaria organizzazione è configurabile come trasferimento aziendale e altrettanto può dirsi in caso di trasferimento che abbia ad oggetto anche solo un gruppo di dipendenti stabilmente coordinati ed organizzati tra loro, la cui capacità sia assicurata dal fatto di essere dotati di particolari competenze, realizzandosi in tali ipotesi una successione legale non bisognevole del consenso del contraente ceduto. Importante, ai fini della presente controversia, è la distinzione tra successione nell’appalto e trasferimento di azienda, peraltro invocata da parte resistente Seus: nel primo caso, prosegue l’attività d’impresa senza cessione dell’organizzazione, mentre nel secondo oggetto della cessione sono proprio i mezzi organizzati (Cass. 493/05); la distinzione rileva, nell’ordinamento interno, in quanto l’art. 29 co. 3 d.lgs. 276/03 (in deroga anche alla disciplina comunitaria) impedisce che l’acquisizione del personale prima impiegato nell’appalto, in caso di subentro di un nuovo appaltatore, possa configurare un trasferimento di azienda, ciò in aperta deroga all’art. 2112 c.c..

Tale indagine, ovviamente, deve qui avvenire con tutti i limiti propri della cognizione cautelare, che, stante la celerità del procedimento e il carattere di urgenza legislativamente previsto, non può che assumere i contorni della vera e propria “sommarietà” istruttoria e “verosimiglianza” dell’accoglimento nel giudizio di merito. Con ciò, vuol affermarsi che parte ricorrente nel giudizio cautelare deve addurre elementi di prova tali da far apparire meramente verosimile (e non “certa”) l’accoglimento dell’analogo giudizio nel merito.

Tali elementi sono stati forniti nel caso di specie. Difatti può dirsi che non ricorra una mera ipotesi di successione nell’appalto. Da un canto, infatti, nonostante sia innegabile che vi sia stato un mutamento nella titolarità dell’impresa, tuttavia dall’altro vi è stato 1) un trasferimento complessivo della manodopera (come si rileva agevolmente sia dal citato accordo sindacale di marzo, che dall’art. 4 della Convenzione tra Regione Sicilia, Sise e Seus, di cui al doc. 3 del fascicolo Seus); 2) un programma di cessione dei beni. Su quest’ultimo punto, va osservato che Seus da un canto allega contratto di leasing di autoambulanze, firmato con Leasys s.p.a., dall’altro, dalla comparazione di taluni numeri di telaio (allegati al predetto contratto in atti) con quelli allegati alla delibera di Croce Rossa Italiana, determinazione n. 920 del 18.6.10 (con la quale vengono cancellate “dal Registro Automobilistico dell’Associazione delle targhe Cri in uso alla Sise”) si evince che molte delle ambulanze per le quali è stato firmato il contratto con Leasys da Seus erano già in uso a Sise (a titolo di esempio, quelle col numero ZFA25000001519671, ZFA25000001518382, ZFA25000001521322), e che pertanto Seus, per il tramite di Leasys, ha preso in comodato le medesime ambulanze di Sise. Allo stesso modo, nella Convenzione tra Regione, Sise e Seus, già citata, si dispone che le divise dei dipendenti Sise “private degli stemmi e di qualsiasi elemento distintivo non necessario, eventualmente continuino ad essere utilizzate unicamente per l’espletamento del servizio – e quindi, per l’attività imprenditoriale portata avanti da Seus.

Infine, dal verbale di consegna materiale, depositato all’udienza del 1° ottobre, si evince che il materiale amministrativo presente nelle sedi Sise a Catania e Messina è stato ceduto in blocco alla Seus.

Ora, nella presente fattispecie, con tutti i limiti dell’accertamento della sede cautelare e dalla mancata disponibilità dell’intera documentazione patrimoniale delle società, può dirsi avvenuto il trasferimento dell’azienda Sise alla Seus, in quanto sono stati trasferiti non solo i lavoratori, bensì anche i mezzi organizzati all’attività d’impresa (ambulanze e dotazione amministrativa). Pertanto, è configurabile un’ipotesi di trasferimento di azienda e non meramente di successione nell’appalto.

5) Sul periculum in mora

Su tale punto, Cass. Lav. 8373/97 ha affermato che “il provvedimento di urgenza ai sensi dell´art. 700 cod. proc. civ. - benche´ finalizzato a tutelare diritti concernenti un bene infungibile (quale non e´ il denaro) - e´ ammissibile a tutela dei crediti (pecuniari) di lavoro (nella misura in cui i relativi proventi siano necessari ad assicurare il bene della "esistenza libera e dignitosa" presidiato dall´art. 36 Cost.), potendo derivare dal loro ritardato soddisfacimento un pregiudizio non riparabile altrimenti”; nell´ambito del processo del lavoro, il ricorso al provvedimento d’urgenza ha senso in quelle sole ipotesi nelle quali il decorso anche di un breve arco temporale esporrebbe il lavoratore ad un’irrimediabile lesione della sua posizione sostanziale. Situazione che laddove si lamenti la mera perdita della retribuzione a seguito dell´impugnato licenziamento, può essere legittimata soltanto qualora l´adito magistrato accerti, oltre agli altri presupposti, il collegamento con il diritto ad una esistenza libera e dignitosa per sé e la propria famiglia ex art. 36 Costituzione, tenendo conto delle condizioni economiche dell´interessato, del reddito dei familiari conviventi, della sua età, di ogni altra condizione concreta che possa influire sul giudizio in ordine alla imminenza ed irreparabilità del pregiudizio; non potendosi ritenere in re ipsa che l´interessato si trovi in una situazione di necessità tale da giustificare un giudizio positivo di imminenza e irreparabilità del pregiudizio. Si finirebbe, altrimenti, per abrogare in via interpretativa un requisito previsto dalla legge (in tal senso, Tribunale Bari, 14 giugno 2004, per il quale “il danno economico costituito dalla perdita della retribuzione, conseguente al licenziamento , non concretizza di per sè il requisito del "periculum in mora " necessario per ottenere in via d´urgenza la reintegrazione nel posto di lavoro, essendo indispensabile che il lavoratore licenziato provi la sussistenza di effetti pregiudizievoli ulteriori ed aggiuntivi rispetto alla stessa, tali da incidere e compromettere beni di rilevanza costituzionale” ed il Tribunale di Palmi, 23 luglio 2002, “nell´ipotesi di licenziamento del lavoratore non possono essere ravvisate deroghe alla disciplina prevista dall´art. 700 c.p.c. e, d´altra parte, il mero danno economico costituito dalla perdita della retribuzione, conseguente a licenziamento , non concretizza di per sè il requisito del " periculum in mora " necessario per ottenere in via d´urgenza la reintegrazione nel posto di lavoro, trattandosi di danno sempre risarcibile. Infatti per un diritto di credito è ammissibile la tutela in via d´urgenza ex art. 700 c.p.c., ove a questo siano indissolubilmente ed immediatamente correlate situazioni giuridiche soggettive non patrimoniali - di cui il dipendente attore deve fornire prova - quali il diritto all´integrità fisica o alla salute, che potrebbero essere pregiudicate definitivamente dal ritardo nella soddisfazione del diritto di credito”). Ciò trova conferma anche nella numerosa dottrina in materia, che ha sì riconosciuto tutela cautelare a quei diritti aventi contenuto meramente patrimoniale, ma purché essi assurgessero ad una funzione anche non-patrimoniale. Ora, nel ricorso, nessun riferimento viene effettuato alla situazione familiare del ricorrente (non viene allegata alcuna documentazione riferibile allo stato di famiglia o reddituale), e solo apoditticamente viene adombrata una perdita di professionalità che si determinerebbe a seguito del licenziamento, senza riferimento a specifiche mansioni, se non alla qualifica di appartenenza.

Pertanto, sul requisito del periculum in mora (concorrente e non meramente alternativo al requisito del fumus boni iuris), nonostante la fondatezza in punto di spettanza del diritto, il ricorso deve essere rigettato.

Stante la complessità della questione affrontata, si rinvengono giusti motivi per dichiarare compensate tra le parti le spese di lite.

P.Q.M.

A scioglimento della riserva assunta all’udienza del 1° ottobre 2010,

il Giudice, pronunciando ai sensi degl’art. 669 bis e segg. e 700 c.p.c.,

rigetta il ricorso cautelare,

dichiara compensate le spese di lite tra le parti.

Caltanissetta, 11.10.2010

Il Giudice

Valerio Giovanni Antonio Sasso

 
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