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11/11/2016
I DOCENTI E GLI ATA PRECARI O GIA´ DI RUOLO POSSONO OTTENERE PER INTERO IL RICONOSCIMENTO DEL PERIODO PRERUOLO
La sentenza n. 22558/2016 della Suprema Corte di Cassazione Sezione Lavoro del 07.11.2016 è una sentenza storica per il mondo della SCUOLA PUBBLICA.
A partire da oggi qualunque precario per i dieci anni precedenti può chiedere con un ricorso al Giudice del Lavoro il riconoscimento giuridico della m...


10/04/2016
CHI ISCRIVE IPOTECA PER UN VALORE SPROPOSITATO PAGA I DANNI
E’ di questi ultimi giorni la decisione della Suprema Corte di Cassazione che ha stabilito una responsabilità aggravata in capo a chi ipoteca il bene (es. casa di abitazione) del debitore ma il credito per il quale sta agendo è di importo di gran lunga inferiore rispetto al bene ipotecato....


19/05/2015
Eccessiva durata dei processi: indennizzi più veloci ai cittadini lesi
La Banca d´Italia ed il Ministero della Giustizia hanno firmato un accordo di collaborazione per accelerare i tempi di pagamento, da parte dello Stato, degli indennizzi ai cittadini lesi dall´eccessiva durata dei processi (legge n. 89 del 2001, c.d. “legge Pinto”).
...


26/11/2014
Sentenza Corte giustizia europea precariato: vittoria! Giornata storica.
La Corte Europea ha letto la sentenza sull´abuso dei contratti a termine. L´Italia ha sbagliato nel ricorrere alla reiterazione dei contratti a tempo determinato senza una previsione certa per l´assunzione in ruolo.
Si apre così la strada alle assunzioni di miglialia di precari con 36 mesi di preca...


02/04/2014
Previdenza - prescrizione ratei arretrati - 10 anni anche per i giudizi in corso
La Consulta boccia la norma d´interpretazione autentica di cui all’art. 38, comma 4, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, nella parte in cui prevede c...


27/11/2013
Gestione Separata Inps: obbligo d´iscrizione per i professionisti dipendenti?
Come è noto, la Gestione Separata dell’INPS è stata istituita dalla legge 335/1995 al fine di garantire copertura previdenziale ai lavoratori autonomi che ne fossero sprovvisti....


25/11/201
Pubblico dipendente, libero professionista, obbligo d´iscrizione alla Gestione Separata Inps
Come è noto, la Gestione Separata dell’INPS è stata istituita dalla legge 335/1995 al fine di garantire copertura previdenziale ai lavoratori autonomi che ne fossero sprovvisti.
...


05/05/2013
L´interesse ad agire nelle cause previdenziali. Analsi di alcune pronunce
Nell´area del diritto previdenziale vige il principio consolidato a livello giurisprudenziale, secondo il quale l’istante può avanzare all’Autorità Giudiziaria domanda generica di ricalcolo di un trattamento pensionistico che si ritiene essere stato calcolato dall’Istituto in modo errato, senza dete...









   domenica 16 gennaio 2005

COMMENTO GIURISPRUDENZIALE ALLA L. 9.12.1977 N. 903: PARITÀ DI TRATTAMENTO TRA UOMINI E DONNE IN MATERIA DI LAVORO

dell Avv. Rocchina Staiano - Vicedirettore di LavoroPrevidenza.com - Responsabile della sezione "Pari Opportunità" della rivista LavoroPrevidenza.com

COMMENTO GIURISPRUDENZIALE ALLA L. 9.12.1977 N. 903: PARITÀ DI TRATTAMENTO TRA UOMINI E DONNE IN MATERIA DI LAVORO
Di
Avv. Rocchina Staiano- Dottore di ricerca Università di Salerno.


Art. 1.
E’ vietata qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l accesso al lavoro, indipendentemente dalle modalità di assunzione e qualunque sia il settore o il ramo di attività, a tutti i livelli della gerarchia professionale.
La discriminazione di cui al comma precedente è vietata anche se attuata:
1) attraverso il riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza;
2) in modo indiretto, attraverso meccanismi di preselezione ovvero a mezzo stampa o con qualsiasi altra forma pubblicitaria che indichi come requisito professionale l appartenenza all uno o all altro sesso.
Il divieto di cui ai commi precedenti si applica anche alle iniziative in materia di orientamento, formazione, perfezionamento e aggiornamento professionale, per quanto concerne sia l accesso sia i contenuti.
Eventuali deroghe alle disposizioni che precedono sono ammesse soltanto per mansioni di lavoro particolarmente pesanti individuate attraverso la contrattazione collettiva.
Non costituisce discriminazione condizionare all appartenenza ad un determinato sesso l assunzione in attività della moda, dell arte e dello spettacolo, quando ciò sia essenziale alla natura del lavoro o della prestazione.

GIURISPRUDENZA:
1. Costituisce discriminazione ai sensi dell art. 4 l. n. 223 del 1991 e dell art. 1 l. n. 903 del 1977, sanzionabile ai sensi della procedura sommaria prevista dall art. 15 l. n. 903 del 1977, il comportamento del datore di lavoro che impedisce ad una lavoratrice in stato di gravidanza la frequenza a un corso di formazione esterna, non avente carattere pericoloso, faticoso o insalubre, adducendo quale motivazione dell esclusione il divieto di cui all art. 4 l. n. 1204 del 1971 (Trib. Teramo, 3 dicembre 1999, in Lav. Giur., 2000, p. 353).

2. Si rende colpevole di molestie sessuali il dirigente d azienda che invita una lavoratrice a non presentarsi al lavoro in minigonna per evitare apprezzamenti, con fischi e battute, da parte degli altri lavoratori. Nella specie, il giudice ha liquidato il danno in via equitativa con lire centomila (Pret. Milano, 12 gennaio 1995, in Giust. civ., 1995, I, p. 2267, con nota di Pera).

3. Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell art. 4 L. prov. 15 febbraio 1990 n. 3, nella parte in cui, violando i precetti costituzionali ex art. 3, 1° comma e 37, 1° comma, prima parte, nonchè gli art. 4 e 8 dello statuto di autonomia per il Trentino Alto Adige, in relazione agli art. 1 L. 9 dicembre 1977 n. 903 e 4 comma 1 e 2 l. 10 aprile 1991 n. 125, prevede in modo indifferenziato per uomini e donne la statura non inferiore a 1,65 mt. tra i requisiti richiesti per l accesso alla carriera direttiva e di concetto del ruolo tecnico del servizio antincendi (T.A.R. Trentino Alto Adige, sez. Trento, 7 settembre 1992 n. 327, in T.A.R., 1992, I, p. 4347).

4. Ai fini dell’accertamento della discriminatorietà del comportamento del datore di lavoro, ex art. 1 L. 9 dicembre 1977 n. 903 sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro, non è sufficiente addurre il mero dato oggettivo della assoluta mancanza di donne tra il personale assunto, essendo invece necessario dimostrare in modo inequivocabile la sussistenza di un intento discriminatorio in capo al datore di lavoro. Nel caso di specie l azienda aveva assunto con contratto di formazione e lavoro 250 lavoratori tutti di sesso maschile, non convocando in azienda nè sottoponendo a colloquio o altra forma di selezione nessuna, o solo alcuna, delle donne che avevano presentato domanda di assunzione (Pret. Pomigliano D’Arco, 20 marzo 1990, in Giust. civ., 1991, I, p.1065).

5. L art. 1 della L. 9 dicembre 1977 n. 903 (sulla parità di trattamento fra uomini e donne in materia di lavoro), nel vietare qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l accesso al lavoro, si riferisce non solo all ipotesi di discriminazione attuata nel corso di un rapporto di lavoro già costituito ma anche all ipotesi di discriminazione attuata nella fase di assunzione, come evidenziato, in particolare, dalla formulazione dell ultimo comma dello stesso articolo (che esclude l operatività del divieto con riguardo alla assunzione per determinate attività), con la conseguenza che il rimedio previsto dall art. 15 della stessa legge è esperibile anche avverso un atto discriminatorio attuato in fase di assunzione, in relazione al quale il pretore, nell ambito dell ordine di rimozione degli effetti lesivi dell atto medesimo, può anche accertare e liquidare il danno subito dal lavoratore discriminato (Cass. civile, sez. lav., 2 marzo 1989 n. 1168, in Orient. giur. lav., 1989, p. 339).

6. In tema di parità di trattamento fra uomini e donne in materia di lavoro, non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale: a) del combinato disposto degli artt. 1 L. 9 dicembre 1977 n. 903 e 15, comma ultimo, L. 20 maggio 1970 n. 300, in riferimento agli art. 3, 4, 37 Cost., sotto il profilo che tali norme importerebbero l esclusione della rilevanza, rispetto al lavoratore e al datore di lavoro, del comportamento del terzo che determini il datore di lavoro ad una condotta violatrice del principio di parità, in quanto questo principio ha efficacia generale per tutti i cittadini che pertanto lo devono osservare; b) dell art. 18 L. 20 maggio 1970 n. 300, in riferimento agli artt. 3, 24, 36, 37 Cost., sotto il profilo che la norma non consentirebbe la tutela reintegratoria e risarcitoria da essa prevista nei casi di nullità del licenziamento intimato soltanto per ragioni di diversità di sesso, in quanto la tutela di cui al citato art. 18 è applicabile anche a casi diversi da quelli in esso contemplati, ma assimilabili per identità di “ratio”, fra cui quello in esame (Corte Cost., 22 gennaio 1987 n. 17, in Giur. cost., 1987, I, p. 118).


7. E’ legittima l esclusione di due insegnanti donne di educazione fisica dalla graduatoria per l insegnamento della stessa materia in classi maschili; essa infatti non ha carattere discriminatorio in quanto la L. 9 dicembre 1977 n. 903 non ha implicitamente abrogato la L. 7 febbraio 1958 n. 88, la quale prevede la divisione degli alunni in classi separate per l insegnamento dell educazione fisica e la conseguente istituzione di una doppia graduatoria di insegnanti in base all appartenenza al medesimo sesso dei destinatari dell insegnamento (Cass. civile, sez. lav., 23 settembre 1986 n. 5728, in Foro It., 1987, I, p. 1825).

8. L inosservanza del disposto dell art. 1 comma 3 , L. 9 dicembre 1977 n. 903 relativo al divieto di qualsiasi discriminazione fondata sul sesso nelle iniziative in materia di orientamento, formazione, perfezionamento e aggiornamento professionale non è più preveduta e punita come reato a seguito dell entrata in vigore della L. 24 novembre 1981 n. 689, in quanto non è ad essa applicabile l esclusione dalla depenalizzazione prevista dall art. 34 lett. m) della citata L. n. 689 del 1981 per i reati di cui alle leggi relative ai rapporti di lavoro (Cass. penale, sez. III, 29 marzo 1985, in Giust. pen., 1985, III, p. 584).

9. In difetto di norme regolamentari -che espressamente stabiliscono una deroga siffatta al divieto di discriminazione dei lavoratori per ragioni di sesso- è illegittima, per violazione dell art. 1 L. n. 903 del 1977, la clausola del bando di concorso per posti di usciere presso la Banca d Italia che, richiedendo agli aspiranti il requisito della pregressa appartenenza a corpi armati (arma dei carabinieri, corpo della guardia di finanza o della pubblica sicurezza), esclude indirettamente le donne, che non sono attualmente ammesse nelle carriere ausiliarie di tali corpi (Cons. Stato, sez.VI, 24 settembre 1983 n. 686, in Foro it., 1984, III, p. 132).

10. Non costituisce una illegittima violazione del principio di parità dei sessi nell accesso agli impieghi la richiesta (nel regolamento di un comune e nel successivo bando di concorso), della statura minima di m.1.70, per l accesso alla qualifica di vigile urbano (T.A.R. Puglia, sez. Bari, 11 novembre 1983 n. 747, in Riv. giur. polizia locale, 1985, p. 215).

11. La deliberata mancata assunzione delle lavoratrici avviate, anche in assenza di un ulteriore atto di assunzione di personale maschile in luogo di quello discriminato, costituisce violazione dell art. 1 della L. n. 903 del 1977 e legittima il ricorso ex art. 15 della stessa legge (Pret. Saluzzo 21 novembre 1985, in Riv. it. dir. lav., 1986, II, p. 526).

12. 14. Viola l art. 1, L. 9 dicembre 1977 n. 903, sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro la prescrizione del bando di concorso interno il quale richiede quale requisito di partecipazione “l aver prestato servizio in qualità di ufficiale delle forze armate italiane o corpi equiparabili”, in quanto tale prescrizione attua una discriminazione indiretta attraverso un meccanismo di preselezione, mentre i requisiti attitudinali per lo svolgimento delle mansioni inerenti al posto messo a concorso ben possono essere rilevati mediante altri parametri di valutazione. Nella specie trattavasi di bando di concorso al posto di vice-comandante dei vigili urbani (T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 22 marzo 1984 n. 97, in Foro amm., 1984, p. 1233).

13. L art. 1 L. 9 dicembre 1977 n. 903 che pone il principio del divieto di qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l accesso al lavoro va coordinato con l art. 1 L. 9 febbraio 1963 n. 66, non soppresso dal primo, che dispone che l arruolamento delle donne nelle forze armate e nei corpi speciali deve essere regolata da leggi speciali: è, pertanto, necessario emanare apposita legge per consentire l ingresso delle donne nel corpo forestale Valdostano (T.A.R. Valle d Aosta, 27 gennaio 1984 n. 13, in Foro amm., 1984, p. 944).

14. Spetta agli enti pubblici il potere di disciplinare discrezionalmente, nell esercizio dell autonoma regolamentazione del rapporto d impiego, i requisiti di accesso all impiego in virtù di peculiari esigenze dei propri servizi e nei limiti di una ragionevole interpretazione dell art. 1, 4° comma, L. 9 dicembre 1977 n. 903, relativamente a deroghe al divieto di discriminazione dei lavoratori per ragioni di sesso, allorchè si tratti di mansioni di lavoro particolarmente pesanti, non consone alle attitudini lavorative delle donne (Cons. Stato, sez.VI, 24 settembre 1983 n. 686, in Cons. Stato, 1983, I, p. 931).

15. Qualora la contrattazione collettiva non abbia provveduto all individuazione delle mansioni di lavoro particolarmente pesanti di cui all art. 1 della L. 9 dicembre 1977 n. 903, la mancata assunzione di personale femminile da adibire a lavori ritenuti pesanti dal datore di lavoro costituisce comportamento discriminatorio. L assunzione di un altro lavoratore per il medesimo posto incide sulla rimozione degli effetti del comportamento discriminatorio nel senso che l ordine di reintegrazione della lavoratrice discriminata presuppone una valutazione di legittimità relativa ai vari atti amministrativi di avviamento e di revoca degli stessi, possibile solo in un giudizio di merito nel contraddittorio di tutti i soggetti interessati (Pret. Milano, 18 novembre 1981, in Dir. lav., 1982, II, p. 215).

16. La natura notevolmente gravosa delle mansioni affidate agli appartenenti ai corpi di polizia giustifica, ai sensi dell art. 1 L. 9 dicembre 1977 n. 903, l esclusione delle donne dall accesso a tali corpi, dovendosi, in tale ipotesi, far riferimento, per individuarne il carattere particolarmente gravoso delle funzioni, alle leggi e regolamenti che le disciplinano, anzichè alla contrattazione collettiva, cui fa rinvio lo stesso art. 1 per i rapporti di lavoro privato (T.A.R. Lazio, sez. II, 16 dicembre 1981 n. 1202, in T.A.R., 1982, I, p. 48).

17. E’ illegittimo, concretizzando una discriminazione fondata sul sesso, il comportamento del datore di lavoro che, nonostante l esito positivo della visita medica dal medesimo disposta, rifiuti l assunzione di un orfana maggiorenne, obbligatoriamente avviata al lavoro, pretestuosamente opponendo la necessità della osservanza della normativa che esclude l impiego di fanciulli, adolescenti e donne minori per lavori pesanti, derivandone che, ai sensi dell art. 15 L. n. 903 del 1977, il pretore deve ordinare l immediata costituzione del rapporto di lavoro e la corresponsione della retribuzione, con decorrenza dall accertamento dell idoneità fisica al lavoro (Pret. Taranto, 23 luglio 1981, in Foro It., 1982, I, p. 1774).

18. E’ illegittimo, in quanto viola l art. 1 L. 9 dicembre 1977 n. 903, relativa alla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro, il bando di concorso che -richiedendo il requisito dell appartenenza degli ispiranti a corpi armati (Carabinieri, Guardie di finanza e Polizia) - esclude in pratica le donne che non sono ammesse al Corpo dei Carabinieri e della Guardia di finanza, e sono ammesse solo nella carriera direttiva o di concetto del Corpo di Polizia femminile (T.A.R. Lazio, sez. I, 26 settembre 1979 n. 734, in Riv. amm., 1980, p. 182).

19. L art. 1 L. 9 dicembre 1977 n. 903, esplicitamente vieta qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l accesso al lavoro. Tale discriminazione è vietata anche se attuata attraverso il riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza. Di conseguenza il mancato avviamento di una lavoratrice in stato di gravidanza da parte dell ufficio di collocamento costituisce comportamento discriminatorio (Pret. Palma Montechiaro, 11 agosto 1978, in Dir. lav., 1980, II, p. 2).



Art. 2.
La lavoratrice ha diritto alla stessa retribuzione del lavoratore quando le prestazioni richieste siano uguali o di pari valore.
I sistemi di classificazione professionale ai fini della determinazione delle retribuzioni debbono adottare criteri comuni per uomini e donne.

GIURISPRUDENZA:
1. L accordo aziendale Aem del 26 ottobre 1976, che prevede l erogazione di un contributo per le spese di asilo-nido per i figli delle sole lavoratrici, è illegittimo per violazione degli artt. 3 cost., 2 L. 9 dicembre 1977 n. 903 e 4 comma 1 L. 10 aprile 1991 n. 125; dalla (parziale) nullità dell accordo citato, discende l estensione del beneficio anche ai lavoratori di sesso maschile, in applicazione del potere correttivo riconosciuto al giudice della sentenza n. 103 dal 9 marzo 1989 della Corte costituzionale (Pret. Torino, 4 dicembre 1991, in Riv. giur. lav., 1993, II, p. 101).

2. La norma dell art. 20 L. 7 dicembre 1959 n. 1083, che riconosce al personale del corpo di polizia femminile l indennità di servizio speciale e l indennità speciale di pubblica sicurezza in misura ridotta rispetto al corrispondente personale maschile del corpo delle guardie di p.s., non è stata abrogata dall art. 2 L. 9 dicembre 1977 n. 903, che stabilisce la parità di retribuzione fra uomini e donne. Siffatta abrogazione, peraltro, è stata espressamente operata dall art. 144, comma 3 L. 11 luglio 1980 n. 312 (Nuovo assetto retributivo-funzionale dei dipendenti civili e militari dello Stato), con la conseguenza che solo a partire dall entrata in vigore di tale legge le menzionate indennità competono in misura integrale alle donne del corpo di polizia femminile (Cons. Stato, sez.IV, 6 giugno 1983 n. 394, in Riv. giur. lav., 1984, II, p. 433).

3. L ordinamento conferisce alla lavoratrice un diritto soggettivo, costituzionalmente garantito alla parità giuridica e salariale con l uomo lavoratore, che spiega i suoi effetti nei contratti collettivi ed individuali di lavoro che contengono clausole contrastanti con il precetto costituzionale (Cass. civile, sez. lav., 14 gennaio 1984 n. 209, in Giur. it., 1985, I, 1, p. 1137).



Art. 3.
E’ vietata qualsiasi discriminazione fra uomini e donne per quanto riguarda l attribuzione delle qualifiche, delle mansioni e la progressione nella carriera.
Le assenze dal lavoro, previste dagli articoli 4 e 5 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, sono considerate, ai fini della progressione nella carriera, come attività lavorativa, quando i contratti collettivi non richiedano a tale scopo particolari requisiti.

GIURISPRUDENZA:
1. L assenza facoltativa per maternità prevista dall art. 7 L. 30 dicembre 1971 n. 1204 deve essere computata nell anzianità di servizio valida per la progressione automatica di carriera. Fattispecie relativa a un regolamento aziendale che computava nell anzianità di servizio utile ai fini della progressione automatica di carriera solo i periodi di lavoro effettivo, equiparando agli stessi solo le assenze non volontarie (Cass. civile, sez. lav., 9 giugno 2000, n. 7929, in Mass. giur. lav., 2000, p. 1047 con nota di Ogriseg).

2. Non esiste nel nostro ordinamento, un principio generale di parità di trattamento a parità di mansioni e comunque, come nel caso di specie, la disomogeneità di mansioni della ricorrente e di altri lavoratori di sesso maschile esclude la configurabilità di una discriminazione diretta, ai sensi dell art. 3 della L. 903 del 1977, nell assegnazione della qualifica di dirigente (Pret. Milano, 19 maggio 1994, in Orient. giur. lav., 1994, p. 743, con nota di Morone).

3. Il periodo minimo (tredici settimane o un trimestre) di lavoro retribuito, alla cui sussistenza (in concorso con altre condizioni) l art. 8, comma 1, della L. 5 novembre 1968 n. 1115 subordina il trattamento speciale di disoccupazione (che si distingue dalle tipiche prestazioni di disoccupazione per presupposti, finalità e sistema di finanziamento), deve essere computato tenendo conto anche dei periodi di assenza per malattia e per ferie, nonchè di astensione obbligatoria per maternità ai sensi della L. 30 dicembre 1971 n. 1204, purchè intervenuti nell ambito di un rapporto di lavoro effettivo, essendo invece esclusa la computabilità degli stessi periodi allorché questi abbiano interessato dipendenti in cassa integrazione guadagni straordinaria, poi culminata con il licenziamento, senza che (in relazione al periodo di astensione obbligatoria per maternità) possa trarsi argomento in contrario dal dettato dell art. 3 della L. 9 dicembre 1977 n. 903 (Cass. civile, sez. lav., 26 novembre 1994, n. 10068, in Giust. civ. Mass., 1994, fasc. 11).

4. Stabilendo (con formulazione per tale aspetto sostanzialmente identica) la computabilità, nell anzianità di servizio, dei periodi di astensione obbligatoria e facoltativa, gli artt. 6 e 7, ultimo comma, della L. n. 1204 del 1971 -rispetto ai quali la disposizione dell art. 3, comma 2, della L. 903 del 1977 ha portata innovativa, introducendo una perfetta equivalenza, ai fini della progressione in carriera (automatica o no), fra periodi di effettivo servizio e periodi di astensione obbligatoria dal lavoro per maternità, con la conseguenza che, se la contrattazione collettiva ricollega la promozione all anzianità di servizio, in questa, anche se intesa come effettivo, devono computarsi i periodi di astensione obbligatoria, tranne che la stessa contrattazione subordini la promozione a particolari requisiti- consentono bensì alla disciplina collettiva di associare un determinato effetto giuridico solo a periodi di effettivo servizio, ma vietano che tale disciplina, ove associ lo stesso effetto all anzianità di servizio in senso non circoscritto al periodo di effettivo svolgimento della prestazione lavorativa, possa escludere la rilevanza (ai fini dell anzianità di servizio) dei periodi di astensione obbligatoria e facoltativa o diversificare tali ipotesi di astensione, con conseguente nullità (nella parte in cui escludano la commutabilità dei periodi di astensione facoltativa) di clausole contrattuali che assegnino rilievo solo all astensione obbligatoria (Cass. civile, sez. lav., 3 aprile 1993, n. 4022, in Notiziario giur. lav., 1993, p. 529).

5. Il periodo minimo (tredici settimane o un trimestre) di lavoro retribuito, alla cui sussistenza (in concorso con altre condizioni) l art. 8, comma 1, della L. 5 novembre 1968 n. 1115 subordina il trattamento speciale di disoccupazione (che si distingue dalle tipiche prestazioni di disoccupazione per presupposti, finalità e sistema di finanziamento), deve essere computato tenendo conto anche dei periodi di assenza per malattia e per ferie, nonchè di astensione obbligatoria per maternità ai sensi della L. 30 dicembre 1971 n. 1204, purchè intervenuti nell ambito di un rapporto di lavoro effettivo, essendo invece esclusa la computabilità degli stessi periodi allorchè questi abbiano interessato dipendenti in cassa integrazione guadagni straordinaria, poi culminata con il licenziamento, senza che (in relazione al periodo di astensione obbligatoria per maternità) possa trarsi argomento in contrario dal dettato dell art. 3 della L. 9 dicembre 1977 n. 903 (Cass. civile, sez. lav., 3 luglio 1992 n. 8145, in Giust. civ. Mass., 1992, fasc. 7).

6. L art. 3, comma 2, della L. 9 dicembre 1977 n. 903 (sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro) -il quale stabilisce che “le assenze dal lavoro, previste dagli art. 4 e 5 L. 30 dicembre 1971 n. 1204, sono considerate, ai fini della progressione nella carriera, come attivita lavorativa, quando i contratti collettivi non richiedono a tale scopo particolari requisiti”- ha carattere innovativo rispetto all art. 6 L. 1204 del 1971, in quanto eleva a criterio legale generale, suscettibile di deroga ad opera di previsioni difformi e diverse dei contratti collettivi, ciò che, nell ambito della “ratio” dell art. 6 della L. 1204 del 1971, costituiva l effetto di una eventuale specifica previsione del contratto collettivo. Ne consegue che è il datore di lavoro -il quale, invocando una diversa previsione contrattuale, contesti il diritto della lavoratrice, nascente dalla legge, alla promozione per il semplice decorso del tempo- ad avere l onere di dimostrare l esistenza di una pattuizione completa ed operante ai fini della realizzazione dell ipotesi derogativa dell art. 3 L. 903 del 1977, configurandosi la deduzione dell esistenza di detta pattuizione come un eccezione in senso proprio rispetto al diritto fatto valere dalla lavoratrice (Cass. civile, sez. lav., 1 febbraio 1989 n. 623, in Giur. it., 1990, I, 1, p. 256).

7. Con riferimento al principio della parità di trattamento tra uomini e donne nel lavoro, la discriminazione sanzionata dagli art. 1 e 3 della L. 9 dicembre 1977 n. 903 sussiste soltanto se il giudice del merito accerti che l elemento del sesso del lavoratore abbia svolto realmente nell animus del datore di lavoro un ruolo decisivo nella determinazione della sua volontà, anche per quanto concerne la scelta iniziale delle mansioni affidate al dipendente e della qualifica riconosciutagli; ove tale incidenza non risulta accertata, il datore di lavoro -fuori dalle ipotesi in cui sia obbligato dalla legge o dalla disciplina collettiva al rispetto di criteri predeterminati- gode di un ampio potere discrezionale, che deriva dal più ampio principio della libertà dell organizzazione dell impresa e che gli consente di individuare, in base alla valutazione dei singoli dipendenti, quelli ritenuti più idonei allo svolgimento di determinate mansioni, piuttosto che di altre (Cass. civile, sez. lav., 5 maggio 1987 n. 4182, in Giust. civ. Mass., 1987, fasc. 5).

8. La disposizione dell art. 3, comma 2, della L. 9 dicembre 1977 n. 903 (sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro) -la quale stabilisce che le assenze dal lavoro nei periodi di astensione obbligatoria di cui agli art. 4 e 5 della L. 1204 del 1971 (sulla tutela della lavoratrici madri) sono considerate, ai fini della progressione nella carriera, come attività lavorativa, quando i contratti collettivi non richiedano a tale scopo particolari requisiti- ha portata innovativa rispetto alla disciplina dell art. 6 della citata legge del 1971 (elevando a criterio generale, suscettibile di deroga ad opera di contrarie previsioni dei contratti collettivi, ciò che nell ambito della ratio del detto art. 6 costituiva l effetto di una specifica previsione del contratto collettivo) e va intesa nel senso che l autonomia collettiva ha facoltà di escludere che il passaggio alla categoria o classe superiore sia collegato al semplice decorso nel tempo e di richiedere invece, a tale effetto, la sussistenza di particolari requisiti, fra i quali può rientrare anche l effettiva prestazione lavorativa in periodi cosiddetti propedeutici, comportanti l assegnazione a varie mansioni e la frequentazione di corsi (Cass. civile, sez. lav., 10 agosto 1987 n. 6879, in Giust. civ. Mass., 1987, fasc. 8-9).

9. Non sussiste volontà di discriminare per ragioni di sesso qualora l assegnazione in misura non prevalente di mansioni d ordine sia disposta anche per i lavoratori maschi, seppure essa importi lo svolgimento di compiti diversi. Nella specie, fascicoltura, fotocopiatura e copiatura a mano per gli uomini, battitura a macchina per le donne (Cass. civile, sez. lav., 22 dicembre 1983 n. 7569, in Giust. civ., 1984, I, p. 2542).

10. La rimozione degli effetti di un provvedimento di promozione dichiarato nullo ai sensi dell art. 3 L. 9 dicembre 1977 n. 903 raggiunge la sua pienezza solo con l effettiva attribuzione del trattamento di promozione anche ad altro soggetto che risulti essere stato obiettivamente discriminato dal provvedimento stesso (Pret. Roma 12 gennaio 1982, in Temi romana, 1982, p. 315).


11. L attribuzione della qualifica e delle mansioni al momento dell assegnazione è un atto discrezionale, insindacabile nel merito; pertanto nelle assegnazioni iniziali delle qualifiche e delle mansioni non trova applicazione il principio della parità di trattamento tra lavoratori di diverso sesso (Cass. civile, sez. lav., 3 novembre 1982 n. 5773, in Giust. civ., 1983, I, p. 830).

12. La L. 903/1977, all art. 3, comma 2, nell equiparare all attività lavorativa, ai fini della progressione in carriera, le assenze obbligatorie per maternità, attribuisce ai contratti collettivi la possibilità di escludere tale equiparazione, restringendo in tal modo l ambito di applicazione della disciplina legale. Nella specie, il CCNL 31 maggio 1972 per i dipendenti da azienda di trasporto aereo a partecipazione statale prevede per gli impiegati d ordine diverse posizioni di lavoro, l attestazione nelle quali comporta dopo un determinato e prefissato periodo temporale, diverso per le varie qualifiche, il passaggio alla categoria superiore (Corte Appello Roma, 28 aprile 1979, in Riv. giur. lav., 1979, p. 556).



Art. 4.
Le lavoratrici, anche se in possesso dei requisiti per aver diritto alla pensione di vecchiaia, possono optare di continuare a prestare la loro opera fino agli stessi limiti di età previsti per gli uomini da disposizioni legislative, regolamentarie contrattuali, previa comunicazione al datore di lavoro da effettuarsi almeno tre mesi prima della data di perfezionamento del diritto alla pensione di vecchiaia.
Per le lavoratrici che alla data di entrata in vigore della presente legge prestino ancora attività lavorativa pur avendo maturato i requisiti per avere diritto alla pensione di vecchiaia, si prescinde dalla comunicazione al datore di lavoro di cui al comma precedente.
La disposizione di cui al primo comma si applica anche alle lavoratrici che maturino i requisiti previsti entro i tre mesi successivi alla entrata in vigore della presente legge. In tal caso la comunicazione al datore di lavoro dovrà essere effettuata non oltre la data in cui i predetti requisiti vengono maturati.
Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti si applicano alle lavoratrici le disposizioni della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modifiche ed integrazioni, in deroga all art. 11 della legge stessa.

GIURISPRUDENZA:
1. Spetta l indennità integrativa speciale in misura integrale, senza applicazione del meccanismo di riduzione previsto dall art. 10 D.L. n. 17 del 1983, al personale che, dopo aver chiesto ed ottenuto di esser trattenuto in servizio oltre l ordinario limite di età ai sensi dell art. 4 L. n. 903 del 1977, chieda il collocamento a riposo prima del raggiungimento del limite massimo ed inderogabile di età per la permanenza in servizio (C.Conti reg. Abruzzo sez. giurisd., 18 gennaio 1999, n. 32, in Riv. corte conti, 1999, p. 174).

2. E’ inammissibile la questione di legittimità costituzionale, in riferimento all art. 3 cost., dell art. 4 della L. 9 dicembre 1977 n. 903 (parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro) nella parte in cui, secondo l interpretazione della Corte di cassazione (sent. 23 novembre 1990 n. 11311), dispone che il rapporto di lavoro delle lavoratrici ultracinquantacinquenni -che prosegue fino al limite di età previsto per i lavoratori, con l applicabilita anche delle altre disposizioni della L. 15 luglio 1966 n. 604, in deroga all art. 11 della stessa legge, nonchè delle norme modificatrici o integratrici della legge suddetta- sia assistito dalla stabilita reale prevista dall art. 18 della L. 20 maggio 1970 n. 300, quale che sia la dimensione dell impresa (Corte cost., 13 maggio 1993, n. 234, in Giur. cost., 1993, p. 1715).

3. La pronuncia (con sentenza della Corte costituzionale n. 498 del 1988) della parziale incostituzionalità dell art. 4 della L. 9 dicembre 1977 n. 903 (in quanto subordina il diritto delle lavoratrici, in possesso dei requisiti per la pensione di vecchiaia, di continuare a prestare la loro opera, fino agli stessi limiti di età previsti per gli uomini da disposizioni legislative, regolamentari e contrattuali, all esercizio di un opzione in tal senso, da comunicare al datore di lavoro non oltre la data di maturazione dei predetti requisiti) implica l eliminazione con effetto ex tunc della necessità dell opzione, con la conseguente immediata applicabilità, anche nei giudizi in corso, della norma risultante dalla predetta pronuncia (Cass. civile, sez. lav., 10 maggio 1991 n. 5211, in Giust. civ. Mass., 1991, fasc. 5).

4. La prosecuzione del rapporto di lavoro fino ai limiti d età lavorativa prevista per gli uomini, con le garanzie di stabilità della L. 604 del 1966, non è subordinata ad alcuna opzione da parte della lavoratrice, benchè sia in possesso dei requisiti per conseguire o, addirittura, consegua effettivamente la pensione di vecchiaia (Cass. civile, sez. lav., 6 marzo 1990 n. 1742, in Giust. civ., 1991, I, p. 421).

5. Il rapporto della lavoratrice che abbia diritto, ai sensi dell art. 4 L. 903 del 1977, alla prosecuzione fino al compimento del sessantesimo anno, è assistito dalla stabilità, prevista dall art. 18 statuto dei lavoratori, quale che sia la dimensione dell impresa, derivandone in capo al datore l obbligo di giustificare il recesso ai sensi dell art. 3 L. 604 del 1966 (Cass. civile, sez. lav., 23 novembre 1990 n. 11311, in Notiziario giur. lav., 1990, p. 861).

6. A seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale, Corte cost., sent. n. 137 del 18 giugno 1986, delle disposizioni legislative che prevedono il conseguimento della pensione di vecchiaia, e, quindi, il licenziamento della donna lavoratrice per detto motivo, al compimento del cinquantacinquesimo anno di età anzichè al compimento del sessantesimo anno come per l uomo, consegue che il licenziamento della donna che ha compiuto il cinquantesimo anno di età è di per sè illegittimo, indipendentemente dalla questione se la lavoratrice abbia esercitato il diritto di opzione riconosciutole dall art. 4 della L. 9 dicembre 1977 n. 903 (Cass.civile, sez. lav., 27 gennaio 1987 n. 749, in Foro it., 1988, I, p. 1769).

7. E’ rilevante, e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3, 4, 37 e 38 cost., la questione di legittimità costituzionale dell art. 4, comma 1, L. 9 dicembre 1977 n. 903, nella parte in cui subordina per le lavoratrici cinquantacinquenni la prosecuzione del rapporto di lavoro (con le garanzie di cui alla legge n. 604 del 1966) all esercizio del diritto di opzione (Cass. civile, sez. III, 23 settembre 1987 n. 592, in Giur. cost., 1988, II, p. 2857).

8. E’ rilevante, e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3 e 51 cost., la questione di legittimità costituzionale dell art. 4 L. 9 dicembre 1977 n. 903 e dell art. 42, comma 3, D.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092, nella parte in cui non estendono ai lavoratori di sesso maschile, coniugati o con prole a carico, il beneficio di un aumento del servizio effettivo sino al massimo di cinque anni, ai fini del compimento dell anzianità per il diritto alla pensione normale, in caso di dimissioni (Cons. Stato, sez.VI, 13 novembre 1987, in Giur. cost., 1988, II, p. 375).

9. Non è manifestamente infondata, in relazione all art. 3 cost. la questione di legittimità costituzionale dell art. 4 L. 9 dicembre 1977 n. 904, nella parte in cui limita alle sole lavoratrici la facoltà di optare per la continuazione del rapporto di impiego sino al raggiungimento del limite di età previsto per il personale di sesso maschile, in alternativa al beneficio del collocamento a riposo anticipato, con l abbuono massimo di cinque anni di servizio, in applicazione del D.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092, art. 42, comma 3. La questione predetta va, pertanto, rimessa alla Corte costituzionale per l esame ai sensi della l. 24 marzo 1953 n. 87 (Cons. Stato, sez.VI, 2 dicembre 1987 n. 948, in Foro amm., 1987, fasc. 12).

10. L art. 4, comma 1, della L. 9 dicembre 1977 n. 903 (sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro), nel concedere alla lavoratrice la facoltà di optare per il prolungamento del rapporto di lavoro fino ai limiti di età previsti per gli uomini, previa comunicazione al datore di lavoro da effettuarsi almeno tre mesi prima della data di perfezionamento del diritto alla pensione di vecchiaia, prevede un termine cui, in ragione della sua funzione, va riconosciuta natura perentoria, con la conseguenza che l inosservanza di esso fa decadere la lavoratrice dal diritto di opzione attribuitole dalla norma. Tale decadenza, peraltro, vertendosi in tema di diritti disponibili, può essere impedita, ai sensi dell art. 2966 c.c., dal riconoscimento del diritto ad opera del datore di lavoro, restando l indagine in ordine alla configurabilità di siffatto riconoscimento (che può essere anche tacito purchè risultante da elementi univoci) affidata al giudice del merito, il cui apprezzamento è incensurabile in sede di legittimità, se congruamente e correttamente motivato (Cass. civile, sez. lav., 21 giugno 1986 n. 4156, in Giust. civ., 1986, I, p. 2387).

11. Il diritto di opzione a proseguire il rapporto di lavoro sino al raggiungimento dell età pensionabile prevista per gli uomini, ai sensi dell art. 4, comma 1 legge n. 903 del 1977, deve essere esercitato dalla lavoratrice entro il termine perentorio di tre mesi anteriore alla data di perfezionamento della pensione di vecchiaia al compimento del 55mo anno di età. Nel caso di specie il pretore ha dichiarato legittimo il licenziamento intimato, senza preavviso lavorato di sei mesi, ad una lavoratrice, ritenendo inefficace l opzione esercitata dopo il compimento dell età pensionabile (Pret. Genova 23 giugno 1986, in Nuova giur. civ. comm., 1987, I, p. 171).

12. E’ rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, 4 e 37 cost., la questione di legittimità costituzionale dell art. 4, 2° comma, L. 9 dicembre 1977 n. 903 nella parte in cui non consente la prosecuzione automatica del rapporto di lavoro e l esonero della facoltà di opzione rispetto alla lavoratrice che, pur essendo stata licenziata prima della data di entrata in vigore della suddetta legge, abbia impugnato, sempre prima di tale data il licenziamento, facendo valere il diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro fino al limite di età previsto per gli uomini (Cass. civile, sez. lav., 2 aprile 1985, in Giur. cost., 1986, II, 2, p. 863).

13. Il principio della parità di trattamento tra lavoratori di sesso diverso, per quanto riguarda le condizioni inerenti al licenziamento, stabilito da norma -direttamente efficace anche nei rapporti tra privati- della direttiva CEE del consiglio n. 76/207 (art. 5), si applica, nonostante le disposizioni contrarie della legge nazionale, anche all età stabilita per il collocamento a riposo (Pret. Torino, 11 luglio 1984, in Foro it., 1985, I, p. 919).

14. La L. 31 maggio 1984 n. 193, che sospende gli effetti dell art. 4 della L. 903 del 1977 sulla possibilità concessa alla lavoratrice di continuare a lavorare fino allo stesso limite di età dell uomo, non si applica nei confronti di quelle lavoratrici che abbiano tempestivamente esercitato il diritto di opzione (Pret. Milano, 30 ottobre 1984, in Lavoro e prev. Oggi, 1985, p. 876).

15. Non è manifestamente infondata -in riferimento agli artt. 3 e 37 cost.- la questione di legittimità costituzionale dell art. 4 L. 9 dicembre 1977 n. 903, che impone alla lavoratrice l onere della comunicazione di voler proseguire il rapporto di lavoro oltre il cinquantacinquesimo anno di età, tre mesi prima della data del perfezionamento del diritto alla pensione di vecchiaia, non sembrando detto onere compatibile con le richiamate norme costituzionali, imponendosi un dato comportamento alle sole donne, senza che la prescrizione differenziale sia funzionale alla protezione della madre e del bambino (Trib. Pisa, 26 ottobre 1983, in Giur. cost., 1984, II, p. 1276).

16. E’ inapplicabile il disposto dell art. 4 L. n. 903/77 (che attribuisce alla donna la facoltà di optare per la permanenza del rapporto fino agli stessi limiti di età previsti per gli uomini) al contratto di lavoro risoltosi anteriormente alla data di entrata in vigore di tale legge, ancorchè tale risoluzione sia stata impugnata dalla lavoratrice ed il giudizio fosse pendente alla suddetta data (Cass. civile, sez. lav., 13 agosto 1981 n. 4905, in Foro it., 1983, I, p. 1570).

17. L’unico onere posto a carico della lavoratrice che, pur in possesso dei requisiti per avere diritto alla pensione di vecchiaia, optino per la prosecuzione della loro attività lavorativa fino agli stessi limiti di età previsti per gli uomini da disposizioni legislative, regolamentari e contrattuali (art. 4, 1° comma, L. 903/1977), è quello della sua comunicazione al datore di lavoro “da effettuarsi almeno tre mesi prima della data di perfezionamento del diritto alla pensione di vecchiaia” (art. 4, comma 1 lett. cit:). Si prescinde anche dalla comunicazione per quelle lavoratrici che, alla data di entrata in vigore della L. 903/1977 “prestino ancora attività lavorativa pur avendo maturato i requisiti per aver diritto alla pensione di vecchiaia” (art. 4, comma 2). Pertanto, nella specie, è illegittimo, perchè non sorretto nè da giusta causa ne da giustificato motivo, il licenziamento della lavoratrice che al momento dell entrata in vigore della legge n. 903/1977 era nelle condizioni di cui al comma 2 dell art. 4 (Pret. Milano, 13 dicembre 1979, in Orient. giur. lav., 1980, p. 191).

18. E’ illegittimo il licenziamento al 55mo anno di età della donna che non sia giustificato in concreto da una diversa situazione oggettiva nei confronti degli altri lavoratori di sesso maschile (Pret. Roma 6 aprile 1978, in Foro it., 1979, I, p. 153).



Art. 5.
Nelle aziende manifatturiere, anche artigianali, è vietato adibire le donne al lavoro dalle ore 24 alle ore 6. Tale divieto non si applica alle donne che svolgono mansioni direttive, nonché alle addette ai servizi sanitari aziendali.
Il divieto di cui al comma precedente può essere diversamente disciplinato, o rimosso, mediante contrattazione collettiva, anche aziendale, in relazione a particolari esigenze della produzione e tenendo conto delle condizioni ambientali del lavoro e dell organizzazione dei servizi. Della relativa regolamentazione le parti devono congiuntamente dare comunicazione entro quindici giorni all ispettorato del lavoro, precisando il numero delle lavoratrici interessate.
Il divieto di cui al primo comma non ammette deroghe per le donne dall inizio dello stato di gravidanza e fino al compimento del settimo mese di età del bambino.

GIURISPRUDENZA:
1. La norma nazionale che pone il divieto di lavoro notturno femminile (art. 5 L. n. 903 del 1977), in quanto contrastante con il principio comunitario di parità di trattamento fra lavoratori di sesso diverso introdotto dall art. 5 n. 2, della direttiva 76/207/Cee, deve essere disapplicata dal giudice penale, ferma restando l applicazione del divieto assoluto per le lavoratrici madri, dall accertamento della gravidanza fino al compimento di un anno di vita del bambino settimo mese per i fatti avvenuti prima dell entrata in vigore della L. n. 25 del 1999 (Cass. penale, sez. III, 1 luglio 1999, n. 9983, in Foro it., 2000, II, p. 14).

2. In base all art. 189 del trattato la natura cogente delle direttive comunitarie contenenti disposizioni aventi contenuto precettivo incondizionato e suscettibili di immediata applicazione esiste esclusivamente nei confronti dello Stato membro cui esse per loro natura sono rivolte Nel caso specifico la direttiva Cee n. 76/207 non essendo di per sè idonea a creare diritti ed obblighi tra le parti di un rapporto di lavoro non può essere fatta valere per dedurne la legittimità o illegittimità di un atto o di un comportamento, dovendo un tale giudizio fondarsi esclusivamente sulla vigente normativa nazionale, e cioè sull art. 5 l. n. 903 del 1977 (Cass. civile, sez. lav., 20 novembre 1997, n. 11571, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1998, p. 1391 con nota di Faro).

3. La norma dell art. 5 comma 1 L. 9 dicembre 1977 n. 903, che vieta di adibire le donne al lavoro dalle ore 24 alle ore 6, è incompatibile con l art. 5 della direttiva comunitaria n. 76/207 adottata dal Consiglio delle comunità europee il 9 febbraio 1976, per il quale agli uomini ed alle donne debbono essere garantite le medesime condizioni di lavoro senza discriminazioni di sesso, e pertanto deve essere disapplicata dal giudice nazionale anche nell ambito dei rapporti intersoggettivi delle parti del rapporto di lavoro (Cass. civile, sez. lav., 3 febbraio 1995, n. 1271, in Giust. civ., 1996, I, p. 185 con nota di Mammone).

4. L’art. 5 della direttiva comunitaria n. 76/207 che, secondo l interpretazione della Corte di giustizia, inibisce agli Stati membri l adozione di una disciplina che vieti il lavoro notturno femminile, anche se temperato dalla previsione di deroghe è applicabile anche nei rapporti fra privati con prevalenza rispetto alla norma interna contrastante (art. 5 L. 903 del 1977), che deve pertanto essere disapplicata (Pret. Matera, 14 settembre 1994, in Riv. it. dir. lav., 1995, II, p. 554 con nota di Carinci).

5. Il contratto collettivo (nazionale, provinciale o aziendale), cui l art. 5, comma 2, della L. 9 dicembre 1977 n. 903 (sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro) riserva in via esclusiva la possibilità di diversa disciplina o di rimozione del divieto (stabilito dal precedente comma 1 in relazione alle aziende manifatturiere, anche artigianali) di adibire le donne (eccettuate quelle che svolgono mansioni direttive e le addette ai servizi sanitari aziendali) al lavoro notturno (dalle ore 24 alle ore 6), è vincolante solo per i soggetti iscritti alla parte sindacale stipulante; ed in tale ambito -una volta esauriti, secondo la dialettica interna propria dell organismo collettivo, i processi interni di formazione delle scelte negoziali del sindacato- il dissenso dei singoli iscritti, espresso in costanza d iscrizione al sindacato, è improduttivo di effetti (indipendentemente dalla circostanza che esso sia o non portato a conoscenza della parte datoriale direttamente interessata) sul contratto collettivo, la cui legittimità, in relazione all esigenza (presupposta dalla norma) di un organizzazione del lavoro tale da rendere compatibile il lavoro notturno con la tutela della salute e della sicurezza della donna, deve essere di volta in volta verificata dal giudice con apposita indagine di merito (Cass. civile, sez. lav., 24 aprile 1993, n. 4802, in Riv. giur. lav., 1993, II, p. 476 con nota di Assanti).

6. Le disposizioni di cui al comma 1 dell art. 5 L. 9 dicembre 1977 n. 903, le quali stabiliscono, in linea di principio, il divieto del lavoro notturno per le donne, anche se suscettibili di deroga, non devono essere applicate dal giudice nazionale, in quanto contrastanti con l obbligo derivante per lo Stato dall art. 5 della direttiva 9 febbraio 1976 n. 76/207 del consiglio, sull attuazione del principio di parità di trattamento fra uomini e donne (Trib. Catania, 8 luglio 1992, in Foro it., 1993, I, p. 2970).

7. Al contratto collettivo, previsto dall art. 5 L. 903 del 1977, non può riconoscersi altro tipo di efficacia se non quella limitata ai datori di lavoro contraenti ed ai lavoratori affilati al sindacato; pertanto, devono ritenersi esclusi dagli effetti dell accordo aziendale i non iscritti e coloro che, pur essendo affiliati al sindacato, gli abbiano revocato, come nel caso di specie, il potere di rappresentarli mediante un previo atto di diffida dal sottoscrivere l accordo di deroga, ex art. 5 L. 903 del 1977, senza il loro individuale consenso (Pret. Matera 21 giugno 1990, in Foro it., 1991, I, p. 1923).

8. E’ rilevante, e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 37, 1° comma e 39 cost., la questione di legittimità costituzionale dell art. 5, 1° e 2° comma, L. 9 dicembre 1977 n. 903, che pone il divieto del lavoro notturno per le donne, salva deroga per contratto collettivo (anche aziendale). Rispetto al comma 1, raffrontato che l art. 37 comma 1 cost. sembra porsi in contrasto con la parità uomo donna rispetto alle prescrizioni di lavoro l introduzione di una discriminazione il cui fondamento può ravvisarsi solo nella diversità biologica. Rispetto al comma 2, in relazione all art. 39 cost. in relazione alla possibilità di deroga a fronte a contratti collettivi conclusi dalle rappresentanze sindacali o aziendali dei lavoratori, applicabili a tutti gli addetti all unità produttiva iscritti o non iscritti ai sindacati stipulanti o comunque dissenzienti dalla determinazione del c.d.f. con sostanziale efficacia “erga omnes” nell ambito aziendale mentre tale efficacia è riservata dall art. 39 cost. ai soli contratti collettivi stipulati dai sindacati registrati (Pret. Montebelluna, 28 settembre 1988, in Giur. cost., 1989, II, p. 388).

9. In tema di divieto di ammissione del personale femminile al lavoro notturno nelle aziende manufatturiere, una contrattazione aziendale realizzata per particolari esigenze della produzione non è sufficiente per rimuovere il divieto stesso, quando non venga data comunicazione dell accordo medesimo all ispettorato del lavoro. L obbligo della comunicazione non è infatti puramente formale ma è inteso a porre il predetto ente in condizione di verificare tempestivamente le modalità dell intesa e la sussistenza delle addotte necessità (Cass. penale, sez. III, 6 ottobre 1986, in Mass. giur. lav., 1987, p. 114).

10. Nel caso in cui sia stato regolamentato mediante contrattazione collettiva aziendale il lavoro delle donne dalle ore 24 alle ore 6, non costituisce reato la mancanza della relativa comunicazione all ispettorato del lavoro. La sanzione prevista dall art. 16 cpv della legge n. 903/1977 fa riferimento alla sola violazione dei divieti contenuti nella parte precettiva dell art. 5, e cioè alla utilizzazione delle donne in lavoro notturno, ove manchi una precisa regolamentazione collettiva, e non anche alla semplice omissione di informativa (Pret. Parma, 15 ottobre 1980, in Riv. giur. lav., 1982, IV, p. 421).

11. Con la L. 903 del 1977 il legislatore ha voluto, in applicazione dell art. 3 cost., garantire alla donna uguali possibilità di occupazione rispetto agli uomini in tutti i campi professionali e non solo in quelli tradizionalmente a lei riservati. In questa prospettiva, da una parte l art. 1 della legge vieta, con riferimento a tutti i settori o rami di attività, qualsiasi discriminazione nell accesso al lavoro fondata sul sesso e, con l inciso “indipendentemente dalle modalità di assunzione”, rafforza il divieto nei confronti di tutte le possibili forme di costituzione del rapporto o di scelta dei lavoratori da assumere; d altra parte, l art. 5 demanda alla contrattazione collettiva l eventuale superamento dei tradizionali limiti posti al lavoro femminile, giustificati con la necessità di tutelare la particolare condizione psico-fisica della donna (Pret. Milano, 14 luglio 1979, in Riv. giur. lav., 1980, II, p. 444).

12. L art. 5 del vigente ccnl per i metalmeccanici, che sancisce l obbligo dei lavoratori di osservare i turni di lavoro ad essi assegnati, non è incompatibile con l art. 5 della legge 9 dicembre 1977, n. 903, perchè non vieta una diseguale distribuzione dei turni fra il personale dipendente (Pret. Latina, 6 aprile 1978, in Riv. giur. lav., 1978, II, p. 603).



Art. 6.
Le lavoratrici che abbiano adottato bambini, o che li abbiano ottenuti in affidamento preadottivo, ai sensi dell art. 314/20 del codice civile, possono avvalersi, sempreché in ogni caso il bambino non abbia superato al momento dell adozione o dell affidamento i sei anni di età, dell astensione obbligatoria dal lavoro di cui all art. 4, lettera c), della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, e del trattamento economico relativo, durante i primi tre mesi successivi all effettivo ingresso del bambino nella famiglia adottiva o affidataria.
Le stesse lavoratrici possono altresì avvalersi del diritto di assentarsi dal lavoro di cui all art. 7, primo comma, della legge di cui sopra, entro un anno dall effettivo ingresso del bambino nella famiglia e sempreché il bambino non abbia superato i tre anni di età, nonché del diritto di assentarsi dal lavoro previsto dal secondo comma dello stesso art. 7.

GIURISPRUDENZA:
1. Alla lavoratrice affidataria temporaneamente di un minore si applica l art. 6 L. 9 dicembre 1977 n. 903, che prevede la possibilità per la lavoratrice madre di avvalersi dell astensione obbligatoria e del relativo trattamento economico di cui all art. 4 lett. c) L. 30 dicembre 1971 n. 1204 (T.A.R. Campania sez. III, Napoli, 30 gennaio 1995, n. 42, in T.A.R. 1995, I, p. 1280).

2. La tutela disposta a favore delle lavoratrici madri dalla L. 1204 del 1971, con la previsione del divieto di licenziamento nel periodo indicato dall art. 2 della legge stessa, non può trovare applicazione nel caso di lavoratrice per la quale il Tribunale dei minori abbia disposto i primi contatti con il minore da adottare per valutare la compatibilità dell inserimento nella famiglia adottiva per la fase dell affidamento provvisorio; in tale situazione, in cui sussiste una mera aspettativa dell aspirante all adozione (essendo poi il provvedimento successivo sempre subordinato all esclusivo interesse del minore) non si ravvisano elementi comuni con la maternità naturale tali da consentire l applicazione (in via estensiva) della suddetta garanzia, e neppure con le forme di adozione o di affidamento preadottivo e affidamento provvisorio contemplate dagli artt. 6 della L. 9 dicembre 1977 n. 903 e 80 della L. 4 maggio 1983 n. 184. E quindi manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento agli artt. 3, 29, 30 e 31 Cost., atteso che la mancata previsione di un divieto di licenziamento a favore di chi sia autorizzato a prendere contatti con i minori al fine di un successivo affidamento non concreta alcuna disparità di trattamento con le posizioni protette dal citato art. 2 della L. 1204 del 1971, nè realizza un attentato ai valori della famiglia (Cass. civile, sez. lav., 6 luglio 1991 n. 7517, in Giust. civ. Mass., 1991, fasc. 7).

3. Anche nel regime anteriore alla L. 4 maggio 1983 n. 184, che, nell introdurre la nuova disciplina dell adozione e dell affidamento dei minori, ha prescritto che in caso di affidamento provvisorio si applichi agli affidatari il disposto degli artt. 6 e 7 della L. 9 dicembre 1977 n. 903 (che contemplano il diritto alla astensione dal lavoro -quale previsto dalla legge n. 1204 del 1971 sulla tutela delle lavoratrici in gravidanza o in puerperio- anche in caso di affidamento preadottivo), il diritto della lavoratrice madre all astensione facoltativa dal lavoro e alla relativa indennità spetta -a seguito della sentenza n. 332 del 1988 della Corte costituzionale- anche alla lavoratrice alla quale sia stato affidato provvisoriamente un minore ai sensi dell art. 314, comma 6, c.c. (Cass. civile, sez. lav., 9 giugno 1989 n. 2816, in Foro it., 1989, I, p. 2784).

4. Sono inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4 e 10 L. 30 dicembre 1971 n. 1204 e degli art. 6 e 8 L. 9 dicembre 1977 n. 903 che stabiliscono i diritti della donna madre naturale e la parziale estensione di tali diritti alla madre adottiva od affidataria e non prevedono gli stessi diritti a favore del padre, in caso di decesso o malattia grave della madre in un giudizio nel quale sostanzialmente si tenda ad ottenere l intervento additivo della Corte costituzionale nei confronti della sola norma dell art. 7 L. 903 del 1977, nella parte in cui non esclude al padre gli istituti dell astensione obbligatoria dal lavoro e dei riposi concessi alla madre, in caso di decesso o malattia grave di quest ultima (Corte cost., 19 gennaio 1987 n. 1, in Giur. cost., 1987, I, p. 3).

5. In relazione al periodo anteriore all entrata in vigore della L. 4 maggio 1983 n. 184 (contenente nuova disciplina della adozione e dell affidamento dei minori), le norme, concernenti la tutela del bambino, dettate dagli artt. 4, lett. c ) 7, comma 1 e 2, e 15 L. 30 dicembre 1971 n. 1204 (tutela delle lavoratrici madri) possono ritenersi applicabili, in virtù di un procedimento interpretativo non analogico ma logico-sistematico, soltanto ai casi di adozione e di affidamento preadottivo -come poi statuito dalla L. 9 dicembre 1977 n. 903 (sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro)- e non anche al caso di affidamento provvisorio ex art. 314/6 c.c., nonostante l identità dello stato di bisogno di assistenza materiale ed affettiva in cui il minore versa anche in tale ipotesi e, perciò, in contrasto con i precetti degli artt. 3, comma 1, 30, comma 1, 2 e 3, 31 e 37, comma 1, cost. Consegue che, nella controversia concernente l applicazione -in un periodo anteriore all introduzione dell art. 6 della legge n. 903 del 1977- degli artt. 7 e 15 della L. 30 dicembre 1971 n.1204, va sollevata d ufficio la questione di legittimità costituzionale ditali norme -in relazione ai precetti costituzionali sopra indicati- nella parte in cui esse (per il periodo anteriore all avvento dell art. 80 della L. 184 del 1983) escludono il diritto della lavoratrice che abbia ricevuto un minore in affidamento provvisorio ex art. 314/6 c.c. (introdotto dall art. 4 della legge n. 431 del 1967) ad assentarsi dal lavoro ed a percepire la relativa indennità (Cass. civile, sez. lav., 15 ottobre 1983 n. 752, in Dir. lav., 1984, II, p. 253).

6. Per il periodo anteriore all entrata in vigore della L. 9 dicembre 1977 n. 903 alla lavoratrice che abbia avuto in affidamento preadottivo un neonato non può essere riconosciuto il diritto di astenersi dal lavoro per il tempo previsto dall art. 4 L. 30 dicembre 1971 n. 1204 percependo la relativa indennità (Cass. civile, sez. lav., 23 novembre 1984 n. 6051, in Foro it., 1985, I, p. 434).

7. L art. 6 L. 9 dicembre 1977 n. 903, nell estendere alle lavoratrici che abbiano adottato bambini o li abbiano ottenuti in affidamento pre-adottivo alcuni diritti previsti dalla L. 30 dicembre 1971 n. 1204, per le lavoratrici madri, intende riferirsi a quelle situazioni sorrette da un provvedimento giurisdizionale che ha valore ed efficacia per l ordinamento giuridico italiano. Pertanto, in caso di affidamento preadottivo disposto in favore di una lavoratrice italiana con provvedimento di un giudice straniero, questo provvedimento, fino a quando non riceva efficacia dal competente organo giurisdizionale dello Stato italiano che ne accerti la regolarità formale e la non contrarietà all ordine pubblico italiano, non può valere se non quale mera circostanza di fatto, inidonea a generare nel campo del diritto gli effetti normali (Pret. Monza, 19 gennaio 1983, in Prev. soc., 1983, p. 1722).

8. Al padre lavoratore, unico genitore superstite, compete il diritto a beneficiare dell astensione obbligatoria dal lavoro e del relativo trattamento economico ex art. 4 l. 30 dicembre 1971 n. 1204 e art. 6 L. 9 dicembre 1977 n. 903, con decorrenza dal momento dell inserimento del bambino nella famiglia (Pret. Milano, 13 settembre 1983, in Tributi, 1983, p. 1050).

9. Le provvidenze disposte dalla L. 30 dicembre 1971 n. 1204, in favore delle lavoratrici madri, e poi estese dall art. 6 L. 9 dicembre 1977 n. 903, in favore delle lavoratrici che abbiano adottato bambini o li abbiano ottenuti in affidamento preadottivo, non sono applicabili nel caso della lavoratrice che abbia accolto presso di sè un bambino abbandonato a seguito di provvedimento emesso dal tribunale per i minorenni a norma dell art. 314/6 c.c., atteso che tale provvedimento, diretto ad assicurare in via provvisoria mere esigenze di ricovero del minore, non costituisce un rapporto simile a quello dell affidamento adottivo o preadottivo, nè comunque assegna alla donna un ruolo equiparabile a quello della madre naturale, sicchè non può giustificare un estensione in via analogica dei suddetti benefici (Cass. civile, sez. un., 10 maggio 1982 n. 2878, in Mass. giur. lav., 1983, p. 51).

10. Le provvidenze disposte dalla L. 30 dicembre 1971 n. 1204 in favore delle lavoratrici madri, e poi estese dall art. 6 della L. 9 dicembre 1977 n. 903 in favore delle lavoratrici che abbiano adottato bambini o li abbiano ottenuti in affidamento preadottivo, non sono applicabili nel caso della lavoratrice che abbia accolto presso di sè un bambino abbandonato, a seguito di provvedimento emesso dal tribunale per i minorenni a norma dell art. 314/6 c.c., atteso che tale provvedimento, diretto ad assicurare in via provvisoria mere esigenze di ricovero del minore, non costituisce un rapporto simile a quello dell affidamento adottivo o preadottivo, né comunque assegna alla donna un ruolo equiparabile a quello della madre naturale, sicchè non può giustificare un estensione in via analogica dei suddetti benefici (Cass. civile, sez. un., 10 maggio 1982 n. 2878, in Giust. civ., 1982, I, p. 2718).

11. Devono ritenersi non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 3, 29, 30 e 31 cost. dell art. 4 L. 30 dicembre 1971 n. 1204 e dell art. 6 L. 9 dicembre 1977 n. 903, nella parte in cui non prevedono che la tutela, mediante astensione dal lavoro, dettata per le lavoratrici madri (naturali o adottive) e per i figli delle stesse, entro i primi tre mesi di vita, non possa estendersi anche ai padri lavoratori ed ai figli degli stessi, entro lo stesso periodo, allorchè venga a mancare, per morte o per qualsivoglia altro motivo, l assistenza della madre (Trib. Milano, 29 maggio 1980, in Orient. giur. lav., 1981, p. 207).

12. Va ricompresa nella previsione dell art. 6, comma 1, della L. 903/1977 anche l ipotesi-pur non espressa- del collocamento provvisorio ex art. 314/6 c.c.; pertanto, compete alla lavoratrice affidataria l indennità dalla data dell affidamento del bambino candidato all adozione (Pret. Milano, 30 luglio 1980, in Orient. giur. lav., 1980, p. 966).

13. Le norme poste a tutela della famiglia, della madre e del figlio devono essere interpretate nel senso che i benefici, dei quali l ordinamento e la collettività fanno carico come oneri a persone pubbliche o private, sono rivolti al soggetto della famiglia che provvede a svolgere quel compito primario di assistenza-educazione che la Costituzione, a mezzo della legislazione ordinaria, assicura, onde garantire, attraverso la tutela delle sue forme elementari, l esistenza stessa delle collettività socializzate. La tutela di tali complessi interessi viene dalla legge ordinaria attuata attraverso la speciale considerazione di uno dei due genitori (a prescindere dallo status di coniuge) che, ovviamente, nella normalità dei casi, sarà la madre; ove ciò non sia possibile, essendo peraltro la tutela stessa indifferibile e irrinunciabile ai fini di un proficuo ingresso del soggetto nella collettività organizzata, la protezione stessa dovrà estendersi all unico genitore esistente per l ordinamento (nella specie il padre, l unico che ha riconosciuto il figlio; in altri casi, secondo le eventualità, il genitore superstite), poichè l ordinamento protegge, non tanto o non solo la madre in quanto tale, ma il genitore nella proiezione della funzione da lui esercitata a favore del minore e quindi della società (Pret. Milano, 24 gennaio 1979, in Orient. giur. lav., 1979, p. 853).

14. Dalla lettura combinata dell art. 4 L. 1204/71, diritto-dovere all estensione obbligatoria per la madre naturale nei primi tre mesi di vita del bambino, dell art. 6 L. 903/77 (estensione di tale diritto alla madre adottiva e affidataria nei primi tre mesi dell ingresso del bambino in famiglia) e dell art. 7 L. n. 903/77 (diritto all astensione dal lavoro per il padre, in alternativa alla madre per un periodo di 6 mesi nel primo anno di vita del bambino e in tutti i casi in cui, nei primi tre anni lo stesso sia ammalato) emerge la possibilità di applicare al padre lavoratore l istituto dell astensione dal lavoro e del relativo trattamento economico, durante i primi tre mesi di vita del bambino, nei casi in cui il padre stesso sia l unico genitore esistente, che intenda avvalersi del diritto in parola, per assistere il figlio (Pret. Milano, 31 ottobre 1978, in Riv. giur. lav., 1979, 599).



Art. 7.
Il diritto di assentarsi dal lavoro e il trattamento economico previsti rispettivamente dall art. 7 e dal secondo comma dell art. 15 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, sono riconosciuti anche al padre lavoratore, anche se adottivo o affidatario ai sensi dell art. 314/20 del codice civile, in alternativa alla madre lavoratrice ovvero quando i figli siano affidati al solo padre.
A tal fine, il padre lavoratore presenta al proprio datore di lavoro una dichiarazione da cui risulti la rinuncia dell altro genitore ad avvalersi dei diritti di cui sopra, nonché, nel caso di cui al secondo comma dell art. 7 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, il certificato medico attestante la malattia del bambino.
Nel caso di cui al primo comma dell art. 7 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, il padre lavoratore, entro dieci giorni dalla dichiarazione di cui al comma precedente, deve altresì presentare al proprio datore di lavoro una dichiarazione del datore di lavoro dell altro genitore da cui risulti l avvenuta rinuncia.
Le disposizioni di cui ai commi precedenti si applicano ai padri lavoratori, compresi gli apprendisti, che prestino la loro opera alle dipendenze di privati datori di lavoro, nonché alle dipendenze delle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, delle regioni, delle provincie, dei comuni, degli altri enti pubblici, anche a carattere economico, e delle società cooperative, anche se soci di queste ultime. Sono esclusi i lavoratori a domicilio e gli addetti ai servizi domestici e familiari.

GIURISPRUDENZA:
1. Il diritto del padre lavoratore di assentarsi dal lavoro per astensione facoltativa ex art. 7 L. 9 dicembre 1977 n. 903 può essere esercitato solo in via sussidiaria, in alternativa alla madre, in tutti quei casi nei quali quest ultima si trovi nell accertata impossibilità, derivante da malattia o da altre legittime cause impeditive, di assistere il bambino; ciò perchè alla madre, in tale incombenza, compete un ruolo “primario”, mentre quello del padre è “derivato” o sussidiario. Nel caso di specie il pretore ha negato che al padre spettasse il diritto all estensione facoltativa ex art. 7 l. 9 dicembre 1977 n. 903 contemporaneamente alla fruizione da parte della madre in un periodo di ferie (Pret. Parma, 19 maggio 1998, in Riv. critica dir. lav., 1998, p. 998 con nota di Pavone).

2. I riposi (cosiddetti per allattamento) per l assistenza del bambino nel suo primo anno di vita, che sono usufruibili (anche dal padre in alternativa alla madre a norma dell art. 7 L. n. 903 del 1977, così come deciso dalla sentenza della Corte cost. n. 179 del 1993), nel numero di uno o due al giorno a seconda della durata dell orario giornaliero di lavoro, a norma dell art. 10 della L. n. 1204 del 1971, e non sono retribuiti ma compensati con un’indennità erogata dall Inps a norma dell art. 7 L. 9 dicembre 1977 n. 903, non attribuiscono il diritto ad una contribuzione figurativa ai fini previdenziali, in quanto rappresentano eventi diversi da quelli previsti dall art. 56, comma 1, lett. a) R.D.L. 4 ottobre 1935 n. 1827 e agli stessi non assimilabili in via di analogia; infatti, mentre tutti gli eventi considerati dalla citata disposizione del R.D.L. n. 1827 del 1935 (e similmente la donazione di sangue relativamente alla giornata in cui essa avviene, giusta la L. 107 del 1990 e la sentenza della Corte cost. n. 52 del 1992) sono caratterizzati dalla mancanza totale di prestazione lavorativa, con la conseguente negativa incidenza sul piano retributivo e della copertura previdenziale, nell ipotesi in questione il soggetto è in grado di assolvere normalmente la propria obbligazione lavorativa, dalla quale viene esonerato parzialmente e per un tempo esiguo, né può fondatamente richiamarsi la nozione di “malattia”, conseguendone così anche la non configurabilità di una violazione degli art. 3 e 38 cost. (Cass. civile, sez. lav., 2 ottobre 1997, n. 9618, in Foro it., 1998, I, p. 103).

3. L art. 7, 1° comma, L. 9 dicembre 1977 n. 903 -il quale prevede che il diritto ad assentarsi dal lavoro ed il trattamento economico di cui rispettivamente all art. 7 ed all art. 15, 2° comma, L. 30 dicembre 1971 n. 1204 sono riconosciuti anche al padre lavoratore, in alternativa alla madre lavoratrice- non qualifica espressamente con la connotazione della subordinazione “lo status” di “lavoratrice”, poichè la ratio legis va ricercata nel fatto che la madre deve essere impegnata in una attività lavorativa soggetta a precisi e ineludibili vincoli di orario e funzionali verso i soggetti della medesima e che, quindi, ciò la renda in pratica impossibile provvedere all assistenza del figlio; pertanto, anche un attività formalmente autonoma della madre, qualora sia caratterizzata da vincoli analoghi a quelli del lavoro subordinato, può integrare i presupposti di legge (T.A.R. Sicilia, sez. Catania, 7 luglio 1995, n. 1803, in T.A.R., 1995, I, p. 4056).


4. Ai sensi dell art. 7 L. 9 dicembre 1977 n. 903, al padre-lavoratore, durante il periodo di astensione facoltativa dal lavoro in alternativa della moglie -anch’essa dipendente pubblico- che abbia già usufruito di un periodo di due mesi di assenza per lo stesso titolo, spetta il trattamento retributivo nella misura ridotta al 30% (T.A.R. Lombardia, sez. Milano, 4 ottobre 1995, n. 1189, in Foro amm., 1996, p. 988).

5. Date le notevoli differenze esistenti fra il lavoro subordinato ed il lavoro autonomo, è infondata la questione di legittimità costituzionale dell art. 7 L. 9 dicembre 1977 n. 903, sollevata con riferimento agli artt. 3, 29 comma 2, 30, 31 comma 2 e 37 cost., sotto il profilo che esso non riconosce al padre lavoratore subordinato il diritto di astensione facoltativa dal lavoro per sei mesi, nel primo anno di vita del bambino, quando la madre sia lavoratrice autonoma (Corte cost., 21 aprile 1994, n. 150, in Foro it., 1994, I, p. 1651).

6. A seguito della parziale dichiarazione di illegittimità costituzionale dell art. 7 della L. 9 dicembre 1977 n. 903, pronunciata con sentenza 21 aprile 1993 n. 179 della Corte costituzionale, il diritto ai riposi giornalieri previsto dall art. 10 della L. 30 dicembre 1971 n. 1204 spetta anche al padre lavoratore, in alternativa alla madre lavoratrice consenziente (Cass. civile, sez. lav., 21 maggio 1994, n. 5011, in Giust. civ. Mass., 1994, p. 700).

7. L art. 7 l. 9 dicembre 1977 n. 903 va interpretato nel senso che il diritto di astensione dal lavoro previsto dalla norma spetta al padre lavoratore in tutti i casi in cui la madre, ancorchè lavoratrice autonoma titolare di impresa o professionista, si trovi nell accertata impossibilità, derivante da malattia o da altre giustificate ragioni, di assistere il bambino (T.A.R. Piemonte, sez. I, 7 luglio 1994, n. 389, in T.A.R., 1994, I, p. 3026).

8. E’ costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3, 29, 30, 31 e 37 cost., l art. 7 l. 9 dicembre 1977 n. 903 (Parità di trattamento fra uomini e donne in materia di lavoro) nella parte in cui non estende, in via generale ed in ogni altra ipotesi, al padre lavoratore, in alternativa alla madre lavoratrice consenziente, il diritto ai riposi giornalieri previsti dall art. 10 l. 30 dicembre 1971 n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri) per l assistenza al figlio nel suo primo anno di vita (Corte cost., 21 aprile 1993, n. 179, in Arch. civ., 1994, p. 750, con nota di Cavaliere).

9. Il coniuge di medico convenzionato -avente titolo all astensione dal lavoro per gravidanza e puerperio a norma dell art. 27 D.P.R. 8 giugno 1987 n. 291- ha diritto di fruire dell astensione dal lavoro ex art. 7 L. 9 dicembre 1977 n. 903 in luogo della moglie, che vi abbia rinunciato (T.A.R. Toscana, sez. I, 23 gennaio 1992 n. 16, in Foro amm., 1992, p. 1727).

10. Non è manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, comma 1 e 2, 29 comma 2, 30, 31, comma 2, e 37 cost., la questione di legittimità costituzionale dell art. 7 L. 9 dicembre 1977 n. 903, nella parte in cui non estende al padre lavoratore, in alternativa alla madre lavoratrice, il diritto ai riposi giornalieri previsti dall art. 10 della l. 30 dicembre 1971 n. 1204 (Cass. civile, sez. lav., 20 febbraio 1992, Ord. n. 683, in Mass. giur. lav., 1992, p. 567).

11. E’ costituzionalmente illegittimo -per contrasto con gli artt. 3, 29, 31 e 37 cost.- l art. 7 L. 9 dicembre 1977 n. 903, contenente norme per la parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro, nella parte in cui non consente al lavoratore, affidatario di minore ai sensi dell art. 10 l. 4 maggio 1983 n. 184, contenente la disciplina dell adozione e dell affidamento dei minori, l astensione dal lavoro durante i primi tre mesi successivi all effettivo ingresso del bambino nella famiglia affidataria, in alternativa alla moglie lavoratrice (Corte cost., 15 luglio 1991 n. 341, in Riv. giur. lav., 1992, II, p. 529).

12. Nel caso in cui il periodo di assenza facoltativa dal lavoro previsto dall art. 7 L. 30 dicembre 1971 n. 1204 venga fruito dalla madre e in parte dal padre del bambino, ai sensi dell art. 7 l. 9 dicembre 1977 n. 903 sulla parità di trattamento tra lavoratori e lavoratrici, ed entrambi i genitori siano dipendenti statali, ciascuno di essi fruisce autonomamente del diritto attribuitogli dalla legge; pertanto, il padre o, secondo i casi, la madre ha diritto per i primi due mesi dalla sua assenza al trattamento economico più favorevole, essendo irrilevante che l altro genitore abbia già goduto, per proprio conto, del medesimo trattamento (T.A.R. Lombardia, sez. Brescia, 21 dicembre 1991 n. 1104, in T.A.R., 1992, I, p. 598).

13. Il diritto all astensione facoltativa post partum ex art. 7 L. 30 dicembre 1971 n. 1204, può essere esercitato dal padre lavoratore in ordine a quanto previsto dall art. 7 l. 9 dicembre 1977, n. 903, solo ove la moglie presti attività lavorativa di natura subordinata (Pret. Monza, 24 ottobre 1989, in Not. giur. lav., 1989, p. 560).

14. L art. 7 l. 9 dicembre 1977 n. 903, nella parte in cui non prevede l estensione al padre del diritto all astensione dal lavoro ed ai riposi concessi alla madre post-partum, nel caso in cui questa sia deceduta o gravemente malata, è incostituzionale per violazione dell art. 3 cost. sia per l irragionevole disparità di trattamento dei minori rimasti privi della madre rispetto agli altri sia per la discriminazione, anch essa irragionevole, fra i padri lavoratori e le madri adottive affidatarie, alle quali l art. 6 della legge n. 903 del 1977 ha esteso i diritti della madre post-partum (Corte cost., 19 gennaio 1987 n. 1, in Dir. lav., 1987, II, p. 103).

15. Il godimento da parte della lavoratrice madre di un periodo di assenza facoltativa ai sensi dell art. 7, 1° comma, della L. 30 dicembre 1971 n. 1204, con il connesso trattamento retributivo di congedo ordinario, per assistere il bambino entro il primo anno di vita, esteso poi anche al padre lavoratore dall art. 7, 1° comma, della L. 9 dicembre 1977 n. 903 sulla parità di trattamento fra uomini e donne in materia di lavoro, non può concedersi al marito di lavoratrice autonoma, in quanto quest ultima non ha un datore di lavoro nei cui confronti vantare il diritto di assentarsi dal servizio ed al quale diritto poter rinunciare per fare sorgere in capo al coniuge, lavoratore dipendente, il diritto di assentarsi per detta esigenza (T.A.R. Lombardia, sez. III, Milano, 28 dicembre 1987 n. 623, in T.A.R., 1988, I, p. 433).

16. Il godimento da parte della lavoratrice madre di un periodo di assenza facoltativa ai sensi dell art. 7, 1° comma, della L. 30 dicembre 1971 n. 1204, con il connesso trattamento retributivo di congedo ordinario, per assistere il bambino entro il primo anno di vita, esteso poi anche al padre lavoratore dall art. 7, 1° comma, della L. 9 dicembre 1977 n. 903 sulla parità di trattamento fra uomini e donne in materia di lavoro, non può concedersi al marito di lavoratrice autonoma, in quanto quest ultima, non ha un datore di lavoro nei cui confronti vantare il diritto di assentarsi dal servizio ed al quale diritto poter rinunciare per far sorgere in capo al coniuge, lavoratore dipendente, il diritto di assentarsi per detta esigenza (T.A.R. Lazio, sez. III, 27 settembre 1986 n. 2985, in T.A.R., 1986, I, p. 3257).

17. L art. 7 della L. 9 dicembre 1977 n. 903, consente al padre lavoratore di fruire (qualora la madre non voglia goderne) dell astensione facoltativa dal lavoro di cui all art. della L. 30 dicembre 1971 n. 1204, e della indennità giornaliera di cui all art. 15, 2° comma, della stessa legge, a condizione che la madre sia titolare di un rapporto di lavoro subordinato o, comunque, versi in una di quelle posizioni di lavoro che ai sensi dell art. 1 legge n. 1204 del 1971 danno titolo ai benefici citati (T.A.R. Marche 12 dicembre 1986 n. 673, in Foro amm., 1987, p. 1139).

18. La lavoratrice madre non ha diritto di fruire del periodo giornaliero di riposo durante il primo anno di vita del figlio, ai sensi dell art. 10 della L. 30 dicembre 1971 n. 1204, se contemporaneamente il coniuge goda dell astensione facoltativa dal lavoro, in applicazione dell art. 7 l. 9 dicembre 1977 n. 903 (Cons. Stato, sez.II, 28 novembre 1984 n. 1676, in Riv. amm., 1986, p. 583).

19. Ai fini dell applicabilità dell art. 7 della L. 9 dicembre 1977 n. 903, che consente al padre lavoratore con figlio d età inferiore ad un anno di fruire del congedo per accudire al bambino, la condizione di lavoratrice della madre, che rinuncia a fruire del congedo per maternità, è essenziale per la concessione del beneficio; pertanto, nel caso di madre non lavoratrice, l irrilevanza della posizione lavorativa di quest ultima deve ritenersi circoscritta all eventualità di una situazione giuridica specifica o particolare, nella quale la posizione del padre viene assunta come l unico possibile riferimento per i figli (T.A.R. Sardegna 25 luglio 1983 n. 403, in T.A.R., 1983, I, p. 3080).

20. Il dipendente pubblico che si assenta dal servizio ai sensi dell art. 7 l. 9 dicembre 1977 n. 903, in luogo della madre del bambino, ha diritto allo stesso trattamento economico che la legge prevede a favore della madre; egli, pertanto, per i primi due mesi di assenza ha diritto al trattamento più favorevole previsto dall art. 40, 1° comma, T.U. 10 gennaio 1957 n. 3 e cioè agli assegni interi per il primo mese e agli assegni ridotti di 1/5 per il secondo mese (Corte Conti, sez. contr., 28 giugno 1982 n. 1262, in Tributi, 1983, p. 1030).

21. Il diritto ad assentarsi dal lavoro, per un periodo di sei mesi, trascorso il periodo di astensione obbligatoria, entro il primo anno di vita del figlio, va esteso al padre lavoratore ai sensi dell art. 7 della L. 9 dicembre 1977 n. 903, ed è subordinato all esistenza, in capo all altro genitore, di un rapporto di lavoro subordinato, non trovando l art. 7 applicazione nell ipotesi di lavoro autonomo; tale diritto non spetta iure proprio al padre in quanto genitore, trattandosi dell esercizio delegato di un diritto conferito alla madre (Pret. Barcellona P.G., 13 maggio 1981, in Dir. Fam., 1982, p. 983).

22. Non è manifestamente infondata (e se ne rimette quindi l esame alla Corte costituzionale) la questione di costituzionalità dell art. 7 L. 9 dicembre 1977 n. 903, nella parte in cui non estende anche al padre, in alternativa con la madre, la possibilità di usufruire entro il primo anno di vita del figlio, di periodo di riposo retribuito di due ore giornaliere, di cui all art. 10 L. 30 dicembre 1971 n. 1204, in riferimento agli art. 3, 29, 30, 31 e 37 cost. (Pret. Bologna, 19 marzo 1981, in Foro it., 1982, I, p. 2103).

23. Dovendo distinguersi gli aspetti strettamente biologici della vita del neonato rispetto a quelli di natura affettivo-relazionale, collegati ad un normale sviluppo della personalità infantile, il diritto al riposo giornaliero dovuto alla lavoratrice-madre per la tutela delle esigenze biologiche del bambino (art. 7 l. 9 dicembre 1977 n. 903) non è estensibile, nè applicabile analogicamente anche al padre (Pret. Biella 23 luglio 1980, in Nuovo dir., 1981, p. 331).

24. Il diritto di assentarsi dal lavoro e il trattamento economico previsto dalla L. 30 dicembre 1971 n. 1204 devono essere riconosciuti anche al lavoratore affidatario preadottivo, in alternativa alla moglie, purchè quest ultima sia lavoratrice subordinata, e non autonoma (Trib. Pavia, 18 ottobre 1979, in Giust. civ., 1980, I, p. 225).



Art. 8.
Per i riposi di cui all art. 10 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, con effetto dal 1º gennaio 1978, è dovuta dall ente assicuratore di malattia, presso il quale la lavoratrice è assicurata, un indennità pari all intero ammontare della retribuzione relativa ai riposi medesimi.
L indennità è anticipata dal datore di lavoro ed è portata a conguaglio con gli importi contributivi dovuti all ente assicuratore.
All onere derivante agli enti di malattia per effetto della disposizione di cui al primo comma, si fa fronte con corrispondenti apporti dello Stato. A tal fine gli enti di malattia tengono apposita evidenza contabile.

GIURISPRUDENZA:
1. Il disposto dell art. 8 l. 9 dicembre 1977 n. 903 -che prevede che l indennità corrisposta per i riposi di cui all art. 10 l. 30 dicembre 1971 n. 1204 (in favore della lavoratrice in puerperio) è anticipata dal datore di lavoro ed è portata a conguaglio (e quindi compensata) con gli importi dovuti da quest ultimo all ente assicuratore- non trova applicazione agli enti pubblici che applichino direttamente ai propri dipendenti l analogo trattamento previsto dai relativi ordinamenti, senza che sia configurabile alcun rapporto assicurativo e quindi neppure un ente assicuratore di malattia. Pertanto la prestazione (quale l indennità di allattamento) erogate direttamente (e non già per conto dell Inps) a titolo retributivo al personale in ragione della fruizione dei riposi suddetti non può essere portata a conguaglio dei contributi previdenziali dovuti all Inps (Cass. civile, sez. lav., 14 novembre 1997 n. 11302, in Giust. civ. Mass., 1997, p. 2178).

2. I riposi (cosiddetti per allattamento) per l assistenza del bambino nel suo primo anno di vita, che sono usufruibili (anche dal padre in alternativa alla madre a norma dell art. 7 l. n. 903 del 1977, così come inciso dalla sentenza della Corte cost. n. 179 del 1993), nel numero di uno o due al giorno a seconda della durata dell orario giornaliero di lavoro, a norma dell art. 10 della legge n. 1204 del 1971, e non sono retribuiti ma compensati con un indennità erogata dall Inps a norma dell art. 7 l. 9 dicembre 1977 n. 903, non attribuiscono il diritto ad una contribuzione figurativa ai fini previdenziali, in quanto rappresentano eventi diversi da quelli previsti dall art. 56, comma 1, lett. a) r.d.l. 4 ottobre 1935 n. 1827 e agli stessi non assimilabili in via di analogia. Infatti, mentre tutti gli eventi considerati dalla citata disposizione del r.d.l. n. 1827 del 1935 (e similmente la donazione di sangue relativamente alla giornata in cui essa avviene, giusta la l. n. 107 del 1990 e la sentenza della Corte cost. n. 52 del 1992) sono caratterizzati dalla mancanza totale di prestazione lavorativa, con la conseguente negativa incidenza sul piano retributivo e della copertura previdenziale, nell ipotesi in questione il soggetto è in grado di assolvere normalmente la propria obbligazione lavorativa, dalla quale viene esonerato parzialmente e per un tempo esiguo, né può fondatamente richiamarsi la nozione di malattia, conseguendone così anche la non configurabilità di una violazione degli artt. 3 e 38 cost. (Cass. civile, sez. lav., 2 ottobre 1997 n. 9618, in Giust. civ. Mass., 1997, p. 1839).

3. Ai sensi dell art. 10 della legge n. 1204 del 1971 i periodi di riposo per allattamento sono considerati lavorativi agli effetti della durata del lavoro e della retribuzione e la relativa indennità corrisposta all Inps ex art. 8 l. 9 dicembre 1977 n. 903, concorre a pieno titolo alla determinazione della normale retribuzione. Di conseguenza, è illegittimo l operato del datore di lavoro che abbia calcolato l imponibile contributivo decurtandolo dell indennità relativa ai permessi di allattamento e determinandolo in misura inferiore ai cosiddetti minimali contributivi previsti dall art. 1 del d.l. n. 338 del 1989 (Pret. Verona, 20 aprile 1994, in Inf. previd., 1994, p. 555).

4. Il genitore, parente o affine, convivente con minore gravemente handicappato non ricoverato, che fruisca di tre giorni di permesso mensile, nel periodo successivo al terzo anno di vita dell handicappato, ha diritto ad un indennità pari alla retribuzione, spettantegli come lavoratore, ai sensi dell art. 33, 4° comma, della L. 5 febbraio 1992 n. 104, che rinvia all art. 8 L. 9 dicembre 1977 n. 903 che, a sua volta, richiama l art. 10 L. 30 dicembre 1971 n. 1204, il quale prevede la piena indennizzabilità dei riposi orari giornalieri (Cons. Stato, sez. II, 17 novembre 1993, n. 1611, in Cons. Stato, 1994, I, p. 1285).

5. Sono inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4 e 10 L. 30 dicembre 1971 n. 1204 e degli art. 6 e 8 L. 9 dicembre 1977 n. 903 che stabiliscono i diritti della donna madre naturale e la parziale estensione di tali diritti alla madre adottiva od affidataria e non prevedono gli stessi diritti a favore del padre, in caso di decesso o malattia grave della madre in un giudizio nel quale sostanzialmente si tenda ad ottenere l intervento additivo della Corte costituzionale nei confronti della sola norma dell art. 7 legge n. 903 del 1977, nella parte in cui non esclude al padre gli istituti dell astensione obbligatoria dal lavoro e dei riposi concessi alla madre, in caso di decesso o malattia grave di quest ultima (Corte cost., 19 gennaio 1987 n. 1, in Giur. cost., 1987, I, p. 3).

6. L art. 3 del D.L.Lgt. 9 novembre 1945 n. 788, nel disporre che l integrazione salariale non e dovuta agli operai lavoranti ad orario ridotto per le festività non retribuite e per le assenze che non comportino retribuzione, si riferisce necessariamente ai soli lavoratori ad orario ridotto e non anche ai lavoratori integralmente sospesi dal lavoro, essendo solo per i primi ipotizzabile un assenza dal lavoro che non comporti retribuzione. Pertanto, in caso di lavoratrice madre che abbia diritto ai permessi previsti dall art. 10 della legge n. 1204 del 1971 per le ore destinate all allattamento del bambino, occorre distinguere l ipotesi della cosiddetta cassa integrazione a zero ore in cui non è in nessun caso ammissibile il godimento di tali riposi, che sospendono l obbligo di prestare l attività lavorativa, essendo questa già integralmente sospesa per altre ragioni, talchè alla lavoratrice spetta (solo) il trattamento di integrazione salariale riferito però all intero orario contrattuale, e l ipotesi della cassa integrazione per riduzione di orario, in cui i riposi suddetti sono rilevanti (e quindi devono esser concessi dal datore di lavoro) solo se coincidenti con ore lavorative talchè la lavoratrice madre ha diritto alla relativa prestazione previdenziale, più favorevole del trattamento di integrazione salariale, senza però possibilità di cumularla con quest ultima (Cass. civile, sez. lav., 13 febbraio 1987 n. 1602, in Giust. civ. Mass., 1987, fasc. 2).

7. In relazione al periodo di totale sospensione dell attività lavorativa, il trattamento d integrazione salariale in favore della lavoratrice madre deve essere riferito all intero orario contrattuale di lavoro, comprensivo delle ore dei riposi prima goduti ai sensi dell art. 10 della l. 30 dicembre 1971 n. 1204 (che ne dispone l equiparazione alle ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro), dovendosi escludere nella
detta ipotesi di sopravvenuta ammissione della lavoratrice madre alla c.i.g. per totale sospensione dell attività lavorativa sia l applicabilità della disposizione dell art. 3, comma 1, del D.L.Lgt. 9 novembre 1945 n. 788 (relativa all esecuzione dell integrazione della retribuzione per le festività non retribuite e per le assenze che non comportino retribuzione), la quale concerne solo l ipotesi d intervento della cassa integrazione per riduzione d orario, sia la cumulabilità dell integrazione salariale (determinata secondo il criterio suddetto) con altro trattamento (previdenziale) a carico dell INPS (Cass. civile, sez. lav., 17 ottobre 1987 n. 7690, in Giust. civ. Mass., 1987, fasc. 10).

7. Non è manifestamente infondata -in riferimento agli artt.3, 29, 30, 31 cost.- la questione di legittimità costituzionale degli artt. 4 e 10 L. 30 dicembre 1971 n. 1204 e degli artt. 6 e 8 della L. 9 dicembre 1977 n. 903 nella parte in cui non prevedono che la astensione obbligatoria dal lavoro post-partum e il godimento di riposo giornaliero concessa alla lavoratrice madre possa estendersi anche al padre lavoratore allorchè venga a mancare per morte (o altra causa) l assistenza della madre al neonato (Pret. Milano, 19 ottobre 1983, in Giur. cost., 1984, II, p. 1299).

8. Non è manifestamente infondata -in riferimento agli artt. 3, 29, 30, 31 cost.- la questione di legittimità costituzionale degli artt. 4 e 10 della l. 30 dicembre 1971 n. 1204 e 6 e 8 della l. 9 dicembre 1977 n. 903 -nella parte in cui non prevedono che la tutela mediante astensione del lavoro e godimento dei riposi giornalieri, dettata per le lavoratrici madri, e per i figli delle stesse- non possa estendersi anche ai padri lavoratori, ed ai figli degli stessi, allorchè venga a mancare, per morte o per altri motivi, l assistenza della madre (Pret. Milano, 12 febbraio 1982, in Giur. cost., 1982, II, p. 1444).



Art. 9.
Gli assegni familiari, le aggiunte di famiglia e le maggiorazioni delle pensioni per familiari a carico possono essere corrisposti, in alternativa, alla donna lavoratrice o pensionata alle stesse condizioni e con gli stessi limiti previsti per il lavoratore o pensionato. Nel caso di richiesta di entrambi i genitori gli assegni familiari, le aggiunte di famiglia e le maggiorazioni delle pensioni per familiaria carico debbono essere corrisposti al genitore con il quale il figlio convive.
Sono abrogate tutte le disposizioni legislative che siano in contrasto con la norma di cui al comma precedente.

GIURISPRUDENZA:
1. Per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 105 del 16 luglio 1980, dichiarativa della parziale illegittimità costituzionale dell art. 3, 1° comma, del D.P.R. 30 maggio 1955 n. 797, la lavoratrice ha diritto agli assegni familiari per i figli a carico anche per il periodo anteriore all avvento della L. 903/1977 (sulla parità fra uomini e donne in materia di lavoro), senza che il riconoscimento da parte dell INPS del diritto agli assegni a far tempo dalla data di entrata in vigore di tale legge integri una situazione di definitività preclusiva dell efficacia retroattiva della pronuncia costituzionale. Peraltro, in relazione al periodo anzidetto, tale diritto della lavoratrice non può essere riconosciuto con decorrenza anteriore al quinquennio precedente la domanda di attribuzione degli assegni da essa presentata a seguito della detta sentenza costituzionale, ove non risulti una precedente istanza scritta della lavoratrice medesima -gravata del relativo onere probatorio- idonea ad interrompere, ai sensi dell art. 23 del citato D.P.R., il termine di prescrizione quinquennale del diritto agli assegni (Cass. civile, sez. lav., 24 luglio 1990 n. 7476, in Giust. civ. Mass., 1990, fasc. 7).

2. La richiesta degli assegni familiari presentata dalla lavoratrice al datore di lavoro, ai sensi degli artt. 38 e 39 del D.P.R. 30 maggio 1955 n. 797, dopo l entrata in vigore della L. 9 dicembre 1977 n. 903 (il cui art. 9 prevede la possibilità alternativa di corresponsione degli assegni alla donna lavoratrice o pensionata alle stesse condizioni e con gli stessi limiti previsti per il lavoratore o pensionato) è utile per il conseguimento anche degli assegni relativi a periodo anteriore all entrata in vigore di tale legge, spettanti per effetto della successiva sentenza della Corte Costituzionale n.105 del 1980 (dichiarativa dell illegittimità degli artt. 3 e 6 del citato D.P.R. per la mancata previsione, in favore della lavoratrice, della suddetta possibilità alternativa), tranne che il relativo rapporto debba considerarsi esaurito; ipotesi, questa, non ravvisabile allorchè il rapporto, anche se non sia più impugnabile in via amministrativa il provvedimento negativo degli assegni, possa (ex art. 148 disp. attuaz. c.p.c.) essere ancora dedotto in sede giudiziaria (Cass. civile, sez. lav., 20 luglio 1990 n. 7427, in Giust. civ. Mass., 1990, fasc. 7).

3. Ancorchè la legge (art. 211 l. 19 maggio 1975 n. 151 e art. 9 L. 9 dicembre 1977 n. 903) stabilisca che il coniuge cui i figli sono affidati ha diritto in ogni caso a percepire gli assegni familiari per essi, l amministrazione è tenuta a versarli esclusivamente al proprio dipendente -l unico con il quale intercorra un rapporto giuridico- salvo ordine dell autorità giudiziaria a ciò sollecitata dal coniuge affidatario della prole (Cons. Stato, sez.IV, 16 maggio 1988 n. 412, in Cons. Stato, 1988, I, p. 559).

4. All atto stilato su modulo “tipo”, approntato unilateralmente dall INPS, nel suo significato oggettivo, ex art. 1363 c.c., può essere attribuito soltanto il valore di sollecitazione rivolta all ente stesso (nella specie per l applicazione dell art. 9 della Legge n. 903 del 1977), e non anche quello di atto interruttivo della prescrizione (Cass. civile, sez. lav., 18 febbraio 1987 n. 1781, in Inform. previd., 1987, p. 1500).

5. Gli art. 9 L. 9 dicembre 1977 n. 903 e 2 D.L. 21 novembre 1945 n. 722 dispongono che le aggiunte di famiglia, in caso di richiesta di entrambi i genitori, debbono essere corrisposte a quello con il quale il figlio ha la convivenza che non implica, per la sua esistenza, solo e necessariamente la diuturna ed ininterrotta coabitazione con uno dei genitori, potendo essere interrotta per contingenti situazioni di fatto, ad esempio: ragioni di studio (T.A.R. Friuli Venezia Giulia 22 dicembre 1983 n. 592, in Foro amm., 1984, p. 691).

6. Al fine di decidere sul diritto della madre lavoratrice che non sia capo famiglia di ottenere la corresponsione degli assegni familiari per il figlio, va applicato, per il periodo successivo all entrata in vigore della L. 9 dicembre 1977 n. 908, sulla parità di trattamento fra uomini e donne in materia di lavoro, la citata legge che all art. 9 stabilisce che gli assegni familiari possono essere corrisposti, in alternativa, alla donna lavoratrice o pensionata alle stesse condizioni e con gli stessi limiti previsti per il lavoratore o pensionato; mentre, per il periodo precedente l entrata in vigore della predetta legge, non avente effetto retroattivo, occorre tenere conto dell intervenuta declaratoria di incostituzionalità dell art. 3 D.P.R. 30 maggio 1955 n. 797, con riguardo all attribuzione solo al marito della posizione di capofamiglia in funzione del diritto agli assegni familiari (sentenza della Corte costituzionale n. 105 del 1980), con la conseguenza che tale diritto spetta altresì anche alla moglie, nel concorso degli altri requisiti e condizioni previsti dall art. 1 del citato D.P.R., mentre è irrilevante, ai predetti fini, che costei, rimasta vedova, si sia risposata (Cass. civile, sez. lav., 9 aprile 1981 n. 2057, in Giust. civ. Mass., 1981, fasc. 4).



Art. 10.
Alla lettera b) dell art. 205 del testo unico delle disposizioni per l assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, le parole “loro mogli e figli” sono sostituite con le parole “loro coniuge e figli”.



Art. 11.
Le prestazioni ai superstiti, erogate dall assicurazione generale obbligatoria per l invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, gestita dal Fondo pensioni per i lavoratori dipendenti, sono estese, alle stesse condizioni previste per la moglie dell assicurato o del pensionato, al marito dell assicurata o della pensionata deceduta posteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge.
La disposizione di cui al precedente comma si applica anche ai dipendenti dello Stato e di altri enti pubblici nonché in materia di trattamenti pensionistici sostitutivi ed integrativi dell assicurazione generale obbligatoria per l invalidità, la vecchiaia ed i superstiti e di trattamenti a carico di fondi, gestioni ed enti istituiti per lavoratori dipendenti da datori di lavoro esclusi od esonerati dall obbligo dell assicurazione medesima, per lavoratori autonomi e per liberi professionisti.

GIURISPRUDENZA:
1. A seguito della sentenza n. 6 del 1980 della Corte costituzionale, dichiarativa dell illegittimità dell art. 11 L. 9 dicembre 1977 n. 903, limitatamente alle parole “deceduta posteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge”, è stata pienamente equiparata la posizione del marito a quella della moglie, estendendo anche ai vedovi, la cui coniuge fosse deceduta anteriormente a tale data, il diritto alla pensione di riversibilità, con decorrenza dalla data stessa (C.Conti, reg. Lombardia, sez. giurisd., 8 maggio 1998, n. 716, in Riv. corte conti, 1998, p. 98).

2. A seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 214 del 1984, che va letta in combinato disposto con quella n. 6 del 1980, va affermato che la pensione di reversibilità spetta comunque al marito superstite quale che sia stata la data del decesso della moglie pensionata statale e ciò in quanto le richiamate pronuncie di incostituzionalità (con gli effetti retroattivi loro tipici) hanno espunto dall ordinamento le norme che tale diritto impedivano (C.Conti, reg. Sardegna, sez. giurisd., 24 novembre 1998, n. 694, in Riv. corte conti, 1999, p. 178).

3. L eventuale incostituzionalità di una norma non costituisce impedimento giuridico al sorgere ed alla azionabilità del diritto, bensì un ostacolo di mero fatto, superabile con le ordinarie azioni giudiziarie attraverso l accertamento incidentale della incostituzionalità della norma stessa; ne deriva che legittimamente l amministrazione oppone all interessato la prescrizione quinquennale dei ratei anteriori alla data di pubblicazione (7 febbraio 1975) della sentenza n. 6 del 1980 della Corte cost. che, ai fini della reversibilità della pensione, ha riconosciuto il diritto del coniuge superstite dalla data del decesso della dipendente o pensionata anche se avvenuto prima dell entrata in vigore della l. 9 dicembre 1977 n. 903, che, all art. 11 faceva, invece, decorrere la piena equiparazione fra i coniugi aventi diritto al trattamento di riversibilità solo dall entrata in vigore della legge stessa (Corte Conti sez. III, 4 marzo 1994, n. 70948, in Riv. corte conti, 1994, p. 164).

4. A seguito della sentenza n. 6 del 1980 della corte costituzionale -che ha dichiarato l illegittimità costituzionale dell art. 11 L. 9 dicembre 1977 n. 903 nella parte in cui subordinava il diritto alla riversibilità della pensione a favore del marito, alla condizione che la moglie, dipendente o pensionata, fosse deceduta in data posteriore all entrata in vigore della nuova disciplina- il vedovo ha acquisito il diritto a pensione di riversibilità con effetto ex tunc, ossia dalla data del decesso del proprio coniuge, e non già ex nunc, ossia dall entrata in vigore della legge n. 903 del 1977 (Corte Conti sez. III, 19 maggio 1993, n. 69559, in Foro amm., 1994, p. 703).

5. Nel regime assicurativo delineato, per gli iscritti all ENPAO, dalle L. 16 agosto 1962 n. 1417 e 2 aprile 1980 n. 127 non è previsto il diritto della moglie dell assicuratore deceduto, senza avere ancora maturato i requisiti di età per la pensione, al trattamento di riversibilità e, pertanto, un diritto siffatto non può essere ipotizzato neanche in favore del marito superstite, in quanto l art. 11 della L. 9 dicembre 1977 n. 903 ha l effetto di estendere, in via generale, le prestazioni dovute alla moglie superstite anche al marito che versi in eguale situazione a condizione che le prestazioni stesse siano comunque previste dalla legge e non anche nell ipotesi in cui lo specifico ordinamento previdenziale considerato, come appunto quello per le ostetriche, non preveda la pensione di reversibilità -senza comportare alcuna violazione degli artt. 3, 29, 37 e 38 cost.- neppure a favore delle donne (Cass. civile, sez. lav., 8 ottobre 1991 n. 10547, in Giust. civ. Mass., 1991, fasc. 10).


6. E’ manifestamente inammissibile, per irrilevanza, la questione di legittimità costituzionale -sollevata, con riferimento all art. 3 cost., dalla Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale, nel corso di un giudizio il cui ricorrente, vedovo di pensionata deceduta il 4 giugno 1956, aveva chiesto la liquidazione della pensione di reversibilità, non con la decorrenza del 18 dicembre 1977, attribuitagli dalla direzione provinciale del tesoro di Grosseto e corrispondente all entrata in vigore della legge n. 903 del 1977 nella parità tra uomini e donne in materia di lavoro, bensì dal giorno successivo al decesso della moglie - dell art. 160 D.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092 (approvazione del t.u. delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato) nella parte in cui non assimila il vedovo della pensionata alla vedova del pensionato agli effetti della liquidazione della pensione di reversibilità e non prevede anche per il vedovo la liquidazione d ufficio del trattamento, senza alcun onere di domanda; degli artt. 256 e 257 stesso d.P.R. n. 1092 del 1973, per il fatto di non aver previsto nel caso del vedovo di pensionata deceduta prima del 1 giugno 1974 la cessazione degli effetti che la normativa preesistente faceva discendere, ai fini della decorrenza del trattamento, della mancata presentazione della domanda stessa entro determinati termini; nonchè dello stesso art. 256 e dell art. 11 l. 9 dicembre 1977 n. 903, il primo nella parte in cui ostacolerebbe, il secondo nella parte in cui non garantirebbe la possibilità, per il vedovo della pensionata deceduta anteriormente al 1 gennaio 1958, di beneficiare della pensione dal giorno successivo alla morte della moglie. La fattispecie va definita alla stregua di normativa anteriore (art. 2 comma 2 r.d. 27 giugno 1933 n. 703), che prevede l onere della domanda sia per il vedovo che per la vedova di soggetto pensionato (Corte cost., 9 dicembre 1991 n. 443, in Giur. cost., 1991, fasc. 6).

7. L art. 11 della L. 9 dicembre 1977 n. 903 (sulla parità di trattamento fra uomini e donne in materia di lavoro) -come rilevato anche dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 73 del 1985- intende attuare il principio di parità fra uomo e donna non solo in relazione ai trattamenti pensionistici ma nel campo previdenziale in generale e, pertanto, si riferisce anche all indennità premio di servizio erogata dall INADEL, sicchè le condizioni per l erogazione di tali indennità (che ha natura previdenziale) al vedovo dell iscritta sono le stesse previste per la vedova dell iscritto. Ne deriva l abrogazione -ai sensi dell art. 19, 1° comma, della medesima L. n. 903 del 1977- dell art. 3, comma 2 lett. a), della l. n. 152 del 1968, nella parte in cui tale norma richiede, per l erogazione dell indennità premio di servizio al vedovo dell iscritta, condizioni diverse e più limitative di quelle richieste per la vedova (Cass. civile, sez. lav., 6 marzo 1990 n. 1764, in Giust. civ. Mass., 1990, fasc. 3).

8. L art. 11 della L. 9 dicembre 1977 n. 903 (sulla parità di trattamento fra uomini e donne in materia di lavoro) -come rilevato anche dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 73 del 1985- intende attuare il principio di parità fra uomo e donna non solo in relazione ai trattamenti pensionistici ma nel campo previdenziale in generale e, pertanto, si riferisce anche all indennità premio di servizio erogata dall INADEL, sicchè le condizioni per l erogazione di tale indennità (che ha natura previdenziale) al vedovo dell iscritta sono le stesse previste per la vedova dell iscritto. Ne deriva l abrogazione - ai sensi dell art. 19, 1° comma, della medesima legge n. 903 del 1977 - dell art. 3, comma 2, lett. a), della legge n. 152 del 1968, nella parte in cui tale norma richiede, per l erogazione dell indennità premio di servizio al vedovo dell iscritta, condizioni diverse e più limitative di quelle richieste per la vedova, con l ulteriore conseguenza che il diritto di entrambi i coniugi è assoggettato ad identiche condizioni, e cioè soltanto alla non avvenuta separazione per colpa del coniuge superstite dichiarata con sentenza passata in giudicato, restando superate le altre condizioni dall abrogata norma richieste solo per il vedovo (Cass. civile, sez. lav., 1 giugno 1988 n. 3731, in Foro it., 1988, I, p. 2595).

9. La sentenza della Corte costituzionale n. 6 del 1980 ha dichiarato l incostituzionalità dell art. 11, 1° comma, della L. 9 dicembre 1977 n. 903, nella parte in cui eliminava il requisito dell invalidità del marito solo per i decessi dell altro coniuge avvenuti successivamente all entrata in vigore della legge stessa, in conseguenza dell incostituzionalità dell art. 13 del R.D.L. 14 aprile 1939 n. 636 e successive modificazioni, reputando sin dall origine ingiustificatamente discriminatorio il trattamento fatto al marito relativamente al diritto alla pensione di reversibilità. Pertanto, l efficacia retroattiva della pronuncia costituzionale non è limitata all epoca posteriore alla data (18 dicembre 1977) di entrata in vigore della legge n. 903 del 1977 (Cass. civile, sez. lav., 9 luglio 1987 n. 6000, in Giust. civ. Mass., 1987, fasc. 7).

10. A seguito della sentenza della Corte costituzionale 3 gennaio 1980 n. 6, l art. 11 l. 9 dicembre 1977 n. 903 deve essere inteso come se ab inizio non avesse contenuto la limitazione temporale dichiarata incostituzionale; pertanto, la pensione di riversibilità a favore
del vedovo, divenuto tale prima dell entrata in vigore della legge stessa, che ha sancito il diritto a tale pensione, deve decorrere da tale data e cioè dal 18 dicembre 1977, salvi gli effetti della prescrizione quinquennale dal giorno della pubblicazione della predetta sentenza; a tale riguardo, poichè la domanda dei vedovi divenuti tali sia prima sia dopo l entrata in vigore della legge non è obbligatoria per ottenere la liquidazione della pensione di riversibilità -liquidazione che deve, per contro, essere effettuata d ufficio dall amministrazione- la domanda stessa, ove presentata, deve riguardarsi quale mero atto sollecitatorio ed interruttivo della prescrizione (Corte Conti, sez. contr., 8 maggio 1986 n. 1655, in Cons. Stato, 1986, II, p. 1705).

11. A seguito della pronuncia della Corte costituzionale n. 6 del 1980 che ha dichiarato l illegittimità costituzionale delle norme dell ordinamento pensionistico che condizionano il diritto alla riversibilità a favore del vedovo alla sussistenza dei requisiti dell inabilità e della convivenza a carico, la concessione del trattamento pensionistico vedovile al marito decorre dal giorno successivo a quello della morte della moglie (Corte Conti, sez. III, 16 marzo 1985 n. 57282, in Foro amm., 1985, fasc. 11).

12. Non è fondata, in riferimento agli artt. 3, 29, 37 e 38 cost. la questione di legittimità dell art. 3, lett. c), della L. 8 marzo 1968 n. 152, nella parte in cui richiede per l erogazione dell indennità premio di servizio Inadel a favore del vedovo dell iscritta, condizioni diverse e più limitative di quelle richieste per la vedova dell iscritto, in quanto tale parte, essendo in contrasto con quanto disposto successivamente dall art. 11 della L. 9 dicembre 1977 n. 903, risulta abrogata dall art. 19 della legge ultima citata (Corte cost., 20 marzo 1985 n. 73, in Riv. amm., 1985, p. 738).

13. La disposizione dell art. 3 della L. 8 marzo 1968 n. 152, in base alla quale l indennità premio di servizio, nella forma indiretta, è attribuibile al vedovo non legalmente separato per di lui colpa, purchè alla data di morte della moglie risulti a carico di questa e sia inabile a proficuo lavoro ovvero abbia compiuto il 65mo anno di età, è da ritenere direttamente ed implicitamente abrogata dall art. 11 della L. 9 dicembre 1977 n. 903, sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro (Pret. Genova, 31 maggio 1983, in Riv. it. dir. lav., 1984, II, p. 283).

14. La pensione di reversibilità, a seguito della dichiarazione d incostituzionalità (sent. n. 6/80) dell art. 11, 1° comma, della L. 9 dicembre 1977 n. 903, nella parte in cui limitava le prestazioni al coniuge di assicurato deceduto, posteriormente alla entrata in vigore della legge stessa, spetta al marito superstite dalla data del decesso dell assicurata o pensionata (Pret. Milano 7 maggio 1982, in Tributi, 1982, p. 770).

15. Con l art. 1della L. 9 dicembre 1977 n. 903 è venuta meno ogni discriminazione fra vedovi e vedove, per quanto attiene al trattamento pensionistico di riversibilità; pertanto, devono considerarsi venute meno le norme dell art. 19 L. 15 febbraio 1958 n. 46, come modificato dalla L. 28 aprile 1967 n. 264, e dall art. 271, 6° comma, del T.U. 29 dicembre 1973 n. 1092, nella parte in cui escludevano che il vedovo avesse diritto a pensione solo se il matrimonio fosse stato contratto quando la dante causa non aveva superato i 50 anni di età (Corte cost., 26 maggio 1981 n. 75, in Riv. giur. lav. 1981, III, p. 204).

16. La pronuncia della Corte costituzionale, non incidendo su di una legge nella sua globalità, elimina soltanto le statuizioni in contrasto con i principi costituzionali; la normativa residua, pertanto, esplica la sua efficacia sin dall entrata in vigore, disciplinando i rapporti non ancora esauriti da un giudicato o da un provvedimento amministrativo definitivo. Nella specie, il diritto all ottenimento della pensione di reversibilità al marito superstite è stato fatto decorrere dal momento previsto e regolato dalla disciplina di cui al R.D.L. n. 636 del 1939, cioè dalla data di presentazione del ricorso in sede amministrativa, ancorchè anteriore alla domanda di illegittimità costituzionale dell art. 11 della L. 9 dicembre 1977 n. 903 (Trib. Como, 30 ottobre 1981, in Tributi, 1982, p. 44).

17. Sono costituzionalmente illegittimi, in riferimento all art. 3, l art. 13 r.d.l. 14 aprile 1939 n. 636, in materia di pensione di reversibilità del vedovo di dipendente statale, nella parte in cui subordina l attribuzione del trattamento pensionistico di riversibilità al vedovo alla condizione dell inabilità al lavoro a differenza di quanto previsto per la vedova, e l art. 11 L. 9 dicembre 1977 n. 903 nella parte in cui riconosce la parità di condizioni tra vedovo e vedova solo nell ipotesi di pensionata “deceduta posteriormente alla data di entrata in vigore della legge”, in quanto il lavoro della donna coniugata è venuto assumendo connotazione non dissimile da quella del lavoro del marito quanto alla destinazione del relativo reddito nell ambito della famiglia per il soddisfacimento degli interessi comuni di questa (Corte cost., 30 gennaio 1980 n. 6, in Mass. giur. lav., 1980, p. 161).



Art. 12.
Le prestazioni al superstiti previste dal testo unico delle disposizioni per l assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, e della legge 5 maggio 1976, n. 248, sono estese alle stesse condizioni stabilite per la moglie del lavoratore al marito della lavoratrice deceduta posteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge.

GIURISPRUDENZA:
1. E inammissibile la questione di legittimità costituzionale della L. 9 dicembre 1977 n. 903 art. 12, limitatamente all inciso “deceduta posteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge” (Corte cost., 23 dicembre 1987 n. 577, in Riv. infort. e mal. prof., 1988, II, p. 138).

2. E’ incostituzionale l art. 12 della L. 9 dicembre 1977 n. 903 nella parte in cui, sancendo il diritto del marito superstite alla rendita -in caso di morte del coniuge per infortunio sul lavoro- alle medesime condizioni della moglie superstite, lo limita ai soli casi di decesso dell assicurata successivi alla data di entrata in vigore della legge stessa (Corte cost., 30 aprile 1986 n. 117, in Giur. it., 1987, I, 1, p. 216).

3. Non è manifestamente infondata -in riferimento agli artt. 3 e 29 cost.- la questione di legittimità costituzionale dell art. 85, 3° comma, del D.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124 che impone la condizione della invalidità al marito superstite della infortunata deceduta per il conseguimento della rendita (se il superstite è il marito la rendita è corrisposta solo nel caso in cui la sua attitudine al lavoro sia permanentemente ridotta a meno di un terzo). Rispetto alla finalità di tutela perseguite dal legislatore con l estensione del trattamento di pensione al coniuge superstite, la situazione si presenta con connotati assolutamente identici di fronte al decesso del lavoratore assicurato o pensionato, sia questi il marito, ovvero la moglie. Il principio enunciato dalla corte costituzionale, nella sentenza n. 6 del 1980, a proposito della pensione di reversibilità, si può estendere anche all ipotesi di rendita ai superstiti. Come conseguenza della decisione adottata, ai sensi dell art. 27 L. 11 marzo 1953 n. 87, dovrebbe anche essere dichiarata la illegittimità dell art. 12 l. 9 dicembre 1977 n. 903, limitatamente alle parole “deceduta posteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge” (Pret. Milano, 7 marzo 1984, in Giur. cost., 1985, II, p. 135).

4. Non è manifestamente infondata -in riferimento all art. 3 cost.- la questione di legittimità costituzionale dell art. 12 L. 9 dicembre 1977 n. 903 nella parte in cui prevede il diritto alla rendita ai superstiti per il vedovo solo qualora la morte della moglie sia avvenuta dopo l entrata in vigore di detta legge (Pret. Brescia, 17 maggio 1984, in Giur. cost., 1985, II, p. 411).

5. Non è manifestamente infondata -in riferimento agli artt. 3, 37 e 38 cost.- la questione di legittimità costituzionale dell art. 12 L. 9 dicembre 1977 n. 903 limitatamente alle parole “deceduta posteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge”, nonchè dell art. 85 D.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, limitatamente alle parole “se il superstite è il marito la rendita è corrisposta solo nel caso in cui la sua attitudine al lavoro sia permanentemente ridotta a meno di un terzo”. Anche rispetto agli eventi verificatisi prima dell entrata in vigore della legge di parificazione n. 903 del 1977 così come la donna ha diritto di vedersi riconoscere una rendita dall Inail, in caso di morte del marito a seguito di infortunio sul lavoro, senza alcuna limitazione in ordine alle proprie condizioni fisiche, uguale diritto compete al marito nella identica situazione. L accolta prospettazione trova l avallo della stessa corte costituzionale, nell analoga situazione di spettanza della pensione Inps ai superstiti (Pret. Macerata, 2 luglio 1984, in Giur. cost., 1985, II, p. 134).

6. Non è manifestamente infondata -in riferimento agli artt. 3 e 29 cost.- la questione di legittimità costituzionale dell art. 85, 3° comma, del T.U. n. 1124 del 1965, nella parte in cui dispone che la rendita spetta al marito superstite soltanto se la sua attitudine al lavoro risulta permanentemente ridotta a meno di un terzo, determinandosi una diversità di trattamento ingiustificata per il periodo anteriore all entrata in vigore della legge n. 903 del 1977, il cui art. 12 ne esclude l efficacia retroattiva (Pret. Milano, 14 gennaio 1981, in Riv. infort. e mal. prof., 1982, II, p. 176).

7. Non è manifestamente infondata -in relazione agli artt. 3 e 29 cost.- la questione di legittimità costituzionale dell art. 12 L. 9 dicembre 1977 n. 903, limitatamente all inciso “deceduta posteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge”, in quanto si verrebbe così a limitare la piena eguaglianza dei coniugi in materia di prestazioni previdenziali alle sole ipotesi in cui il decesso della lavoratrice sia avvenuto dal 18 dicembre 1977 in poi (Pret. Siena, 2 maggio 1981, in Riv. infort. e mal. prof., 1982, II, p. 41).



Art. 13.
L ultimo comma dell art. 15 della legge 20 maggio 1970, n. 300, è sostituito dal seguente: “Le disposizioni di cui al comma precedente si applicano altresì ai patti o atti diretti a fini di discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso”.

GIURISPRUDENZA:
1. La disparità di trattamento fra uomini e donne in materia di lavoro, in relazione agli artt. 15 L. 20 maggio 1970 n. 300 e 13 L. 9 dicembre 1977 n. 903, è illecita se risulta determinata, secondo l animus del datore di lavoro, esclusivamente dalla considerazione dell appartenenza all uno o all altro sesso e non è sorretta da alcuna obiettiva giustificazione. Di conseguenza, il rimborso delle spese di asilo e scuola materna erogato soltanto alle lavoratrici in considerazione della funzione di madre da esse svolta, può ritenersi discriminatoria nei confronti del lavoratore padre solo se sia stato provato che tale lavoratore svolge una funzione analoga a quella che è propria della madre e ha, quindi, la necessità di affidare la prole alle cure di terzi, al pari delle lavoratrici (Pret. Torino, 2 maggio 1991, in Giur. it., 1993, I, 2, p. 608 con nota di Raffi).

2. L’accertamento del giudice del merito, volto a stabilire se il licenziamento di una lavoratrice sia o no viziato da fini di discriminazione di sesso, in violazione dell art. 15, ultimo comma, della L. 20 maggio 1970 n. 300 (nel testo fissato dall art. 13 della L. 9 dicembre 1977 n. 903, sulla parità tra uomini e donne in materia di lavoro), è incensurabile in sede di legittimità, se adeguatamente e correttamente motivato. Nella specie, l impugnata sentenza -confermata dalla Suprema Corte- aveva escluso il carattere discriminatorio del licenziamento, rilevando che la risoluzione del rapporto del personale femminile al compimento del cinquantacinquesimo anno di età obbediva solo al fine di consentire ai vari dipendenti il conseguimento di particolari benefici previsti al raggiungimento dei trentacinque anni di contribuzione o dell età pensionabile (Cass. civile, sez. lav., 30 maggio 1989 n. 2597, in Giust. civ. Mass., 1989, fasc.5).

3. In relazione al comma ultimo dell art. 15 st. lav., che, nel testo sostituito dall art. 13 della L. 9 dicembre 1977 n. 903 (sulla parità di trattamento fra uomini e donne in materia di lavoro), ha esteso la sanzione della nullità anche ai patti o agli atti diretti a fini di discriminazione in ragione del sesso, è necessario, affinchè si realizzi un illecita disparità di trattamento fra uomini e donne in materia di lavoro, che si tratti di una differenziazione ingiusta, cioè determinata, secondo l animus del datore di lavoro, esclusivamente dalla considerazione dell appartenenza all uno o all altro sesso e non sorretta da alcuna condizione obiettiva a giustificarla. Consegue che il rimborso delle spese di asilo e scuola materna, effettuato soltanto in favore delle lavoratrici in considerazione della funzione di madre da esse svolta, può ritenersi discriminatorio nei confronti di un lavoratore solo nel caso in cui sia stato dedotto e provato lo svolgimento da parte di tale lavoratore di analoga funzione familiare, sia pure per motivi contingenti e, conseguentemente, la sua necessità di affidare la prole alle cure di terzi, al pari delle lavoratrici (Cass. civile, sez. lav., 5 marzo 1986 n. 1444, in Notiziario giur. lav., 1986, p. 333).

4. Deve ritenersi nullo il recesso del datore di lavoro, ai sensi dell art. 15 dello statuto dei lavoratori, come modificato dall art. 13 della L. 9 dicembre 1977 n. 903, allorquando sia determinato da un intento discriminatorio nei confronti del personale maschile (Trib. Benevento, 9 giugno 1983, in Giust. civ., 1983, I, p. 3409).

5. La natura contrattuale del regolamento del personale di un ente pubblico economico non esclude che, in materia di promozioni, un diritto soggettivo del dipendente alla promozione sia configurabile soltanto se la disciplina del rapporto garantisca l avanzamento quale effetto diretto e immediato dell accertato verificarsi di determinati presupposti di fatto, ciò che non si verifica nel sistema di promozione a scelta in cui il promuovendo è identificato intuitu personae, con determinazione la cui nullità potrebbe essere ritenuta solo in presenza di motivi illeciti ai sensi dell art. 4 della L. 15 luglio 1966 n. 604 e dell art. 15, ultimo comma, della L. 20 maggio 1970 n. 300, come modificato dall art. 13 della L. 9 dicembre 1977 n. 903 (Cass. civile, sez. lav., 17 ottobre 1983 n. 6086, in Giust. civ. Mass., 1983, fasc. 9).

6. Anche l allegazione d un licenziamento fittizio, finalizzato esclusivamente all illecito frazionamento d un rapporto di lavoro sostanzialmente unitario, costituisce impugnativa del licenziamento soggetta al termine di decadenza (di sessanta giorni), previsto dall art. 6 della L. 15 luglio 1966 n. 504. Infatti, la vigente disciplina dei licenziamenti individuali, pur prevedendo ipotesi tipiche di inefficacia, nullità e annullabilità del licenziamento, da un lato non le discrimina quanto al termine dell impugnabilità del recesso (indicato in via generale dall art. 6 della cit. L. 604 del 1966) e dall altro tutte le unifica nel rigoroso regime degli effetti, con la previsione -nel ricorso dei requisiti previsti indicati dall art. 35 della l. n. 300 del 1970- della cosiddetta stabilità reale di cui all art. 18, 1° e 2° commi, della stessa legge (Cass. civile, sez. lav., 27 maggio 1981 n. 3490, in Giust. civ. Mass., 1981, fasc. 5).

6. La limitazione, ai soli dipendenti di sesso femminile, della prassi aziendale relativa al rimborso delle rette di frequenza di asili nido e scuole materne, è nulla ai sensi degli art. 15 L. 20 maggio 1970 n. 300 e 13 l. 9 dicembre 1977 n. 903, perchè realizza una discriminazione determinata da motivi di sesso (Pret. Parma, 24 novembre 1981, in Giust. civ., 1982, I, p. 1406).

7. E’ nullo il recesso del datore di lavoro animato da intento discriminatorio basato sul sesso, come tale in contrasto con il disposto dell art. 15 della l. 20 maggio 1970 n. 300 secondo la modifica apportatavi dall art. 13 della l. 9 dicembre 1977 n. 903 sulla parità uomo-donna in materia di lavoro (Pret. Milano, 17 novembre 1980, in Orient. giur. lav., 1981, p. 638).



Art. 14.
Alle lavoratrici autonome che prestino lavoro continuativo nell impresa familiare è riconosciuto il diritto di rappresentare l impresa negli organi statutari delle cooperative, dei consorzi e di ogni altra forma associativa.



Art. 15.
Qualora vengano posti in essere comportamenti diretti a violare le disposizioni di cui agli articoli 1 e 5 della presente legge, su ricorso del lavoratore o per sua delega delle organizzazioni sindacali, il pretore del luogo ove è avvenuto il comportamento denunziato, in funzione di giudice del lavoro, nei due giorni successivi, convocate le parti e assunte sommarie informazioni, se ritenga sussistente la violazione di cui al ricorso, ordina all autore del comportamento denunziato, con decreto motivato ed immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti.
L efficacia esecutiva del decreto non può essere revocata fino alla sentenza con cui il pretore definisce il giudizio instaurato a norma del comma seguente.
Contro il decreto è ammessa entro quindici giorni dalla comunicazione alle parti opposizione davanti al pretore che decide con sentenza immediatamente esecutiva. Si osservano le disposizioni degli articoli 413 e seguenti del codice di procedura civile.
L inottemperanza al decreto di cui al primo comma o alla sentenza pronunciata nel giudizio di opposizione è punita ai sensi dell art. 650 del codice penale.
Ove le violazioni di cui al primo comma riguardino dipendenti pubblici si applicano le norme previste in materia di sospensione dell atto dell art. 21, ultimo comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034.

GIURISPRUDENZA:
1. La giurisdizione di una controversia in materia di discriminazione ex art. 15 L. n. 903 del 1977, insorta dopo il 30 giugno 1998 tra una lavoratrice dipendente dal Ministero di grazia e giustizia appartiene alla cognizione del giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro (Trib. Teramo, 3 dicembre 1999, in Lavoro nella giur., 2000, p. 353 con nota di Pellacani).

2. Nel caso di specie, un impresa addetta a un servizio di trasporto urbano o metropolitano ha indetto due procedimenti di selezione per mansioni di autista di linea: nel primo -previsto per la scelta di 50 conducenti da assumere con contratti di formazione e a tempo parziale- era richiesto al momento della presentazione della domanda il possesso della patente di abilitazione alla guida D o DE e il certificato di abilitazione professionale; nel secondo -promosso in vista della eventuale copertura dei posti di autista che sarebbero risultati vacanti nel futuro- non erano prescritti i medesimi titoli, che avrebbero dovuto essere documentati dal candidato solo al momento eventuale dell assunzione con contratto di formazione-lavoro. Il giudice ha ravvisato in questo caso una discriminazione indiretta nei confronti delle donne ex art. 4 l. n. 125 del 1991, in quanto, per un verso, i due avvisi di selezione erano differenziati per numero di posti, requisiti di ricevibilità della domanda e tempo di utilizzo delle graduatorie; per altro verso, i dati statistici mostravano che solo dove era stato consentito di poter conseguire il possesso della abilitazione alla guida D o DE e il certificato di abilitazione professionale al momento dell assunzione, dopo lo svolgimento delle selezioni, il numero delle donne che sono riuscite a diventare autiste di linea è stato abbastanza rilevante. In base all art. 4, comma 5, l. n. 125 del 1991, la legge attribuisce alla prova statistica il valore di elemento presuntivo idoneo a individuare fattispecie di discriminazioni indirette e collettive in ragioni del sesso. A norma dell art. 15 l. n. 903 del 1977 i Consiglieri regionali di parità sono legittimati a denunciare atti di discriminazione di genere nell assunzione dei lavoratori: sono essi i principali promotori delle azioni positive volte alla realizzazione della parità uomo donna ex art. 1 l. n. 125 del 1991. Anche alle organizzazioni sindacali, a norma dell art. 15 l. n. 903 del 1977, è riconosciuta la facoltà di impugnare un provvedimento che si assuma diretto a violare il divieto legislativo di discriminazione fondata sul sesso in materia di accesso sul lavoro (Pret. Bologna, 27 giugno 1998, in Foro it., 1999, I, p. 3424).

3. E’ ammissibile, ma non accoglibile, la richiesta ex art. 700 c.p.c. proposta da singole lavoratrici per ottenere ordinarsi al datore di lavoro di definire, sentite le rappresentanze sindacali aziendali, un piano di rimozione di discriminazioni basate sul sesso (Trib. Roma, 30 ottobre 1998, in Foro it., 1999, I, p. 335).

4. Le controversie relative alla tutela contro le discriminazioni in ragione del sesso sono devolute, se concernenti rapporti di pubblico impiego, alla giurisdizione esclusiva (venendo in rilievo diritti primari dell interessato) del giudice amministrativo - che, giusta la previsione di cui all ultimo comma dell art. 15 della legge sulla parità 9 dicembre 1977, n. 903 (non innovata, in parte qua dalla L. 10 aprile 1991, n. 125) è abilitato, al fine della repressione della condotta discriminatoria della P.A., all esercizio dei poteri di sospensione dell atto, conferitigli dall art. 21, ultimo comma della legge n. 1034 del 1971 -, anche quando si tratti di discriminazioni incidenti nella fase strumentale alla costituzione del rapporto, come quella di svolgimento delle procedure selettive (Cass. civile, sez. un., 5 luglio 1994, n. 6328, in Giust. civ., 1994, I, p. 2800).

5. Difetta la giurisdizione dell autorità giudiziaria ordinaria nelle controversie concernenti i divieti di discriminazione per sesso nelle procedure di assunzione mediante concorso pubblico, essendo la cognizione delle domande relative a violazioni riguardanti dipendenti pubblici, ai sensi dell art. 15 legge n. 903 del 1977, al giudice amministrativo, fattispecie relativa a bando di concorso ministeriale per assunzione di guardie forestali contenente requisiti discriminatori delle candidate donne (Pret. Roma, 5 febbraio 1992, in Foro it., 1992, I, p. 1306).

6. La procedura di cui all art. 15 l. 9 dicembre 1977 n. 903 può essere tassativamente esperita, pur dopo l entrata in vigore della l. 10 aprile 1991 n. 125, solo per reprimere la discriminazione sessuale nell accesso al lavoro e la violazione del divieto di adibire le donne al lavoro notturno (Pret. Napoli, 3 dicembre 1992, in Foro it., 1993, I, p. 1302).

7. Sussiste la giurisdizione del pretore in funzione di giudice del lavoro nelle controversie concernenti i divieti di discriminazione per sesso nelle procedure di assunzione mediante concorso pubblico. Nel caso di specie riguarda bando di concorso comunale per assunzione di vigili urbani contenente requisiti discriminatori delle candidate donne (Pret. Milano, 16 agosto 1991, in Foro it., 1992, I, p. 1306).

8. Con l’espressione “accesso al lavoro”, l art. 1 della legge n. 903 del 1977 comprende ogni ipotesi di discriminazione tra uomo e donna in materia di lavoro, sia che essa venga attuata nel corso di un rapporto di lavoro già costituito, sia di un rapporto da costituire. Alla data di avviamento al lavoro delle lavoratrici il periodo di astensione obbligatoria, in relazione alla natura delle mansioni cui le stesse andavano adibite, non era ancora iniziato. Il datore di lavoro aveva pertanto l’obbligo di assumere a quella data le lavoratrici, salvo a licenziarle all inizio del periodo di astensione obbligatoria (Cass. civile, sez. lav., 2 marzo 1989 n. 1168, in Dir. lav., 1990, II, p. 64).

9. Per analogia con l art. 28 dello statuto dei lavoratori, la legittimazione ad agire nel procedimento speciale di cui all art. 15 L. 9 dicembre 1977 n. 903 spetta all organismo locale di un associazione sindacale nazionale e non alla r.s.a. (Pret. Milano, 30 maggio 1988, in Orient. giur. lav., 1989, p. 303).

10. La tutela giurisdizionale garantita costituzionalmente (art. 24, comma 1, cost.) non è soltanto, nè necessariamente, quella in forma specifica, ma comprende anche quella per equivalente o risarcitoria. Pertanto è manifestamente infondata l eccezione di illegittimità costituzionale dell art. 15 della l. 9 dicembre 1977 n. 903 (recante norme sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro) nella parte in cui non garantisce la tutela giurisdizionale in forma specifica ad altre ipotesi di discriminazione o a quelle fondate sul sesso diverse da quelle contemplate dagli art. 1 e 5 della legge stessa. Nella specie la Suprema Corte ha escluso la possibilità di esecuzione in forma specifica dell obbligo del datore di lavoro di assumere il lavoratore avviato con collocamento ordinario, anche nell ipotesi in cui il rifiuto di assunzione risultava motivato dalla soggezione del lavoratore agli obblighi militari di leva ed ha ritenuto sotto tale profilo irrilevante la lamentata discriminazione di sesso (Cass. civile, sez. lav., 8 luglio 1987 n. 5971, in Giust. civ. Mass., 1987, fasc. 7).

11. Ai sensi dell art. 15 l. 9 dicembre 1977 n. 903 le associazioni sindacali di categoria sono legittimate a ricorrere dinanzi agli organi di giurisdizione amministrativa contro i provvedimenti discriminatori delle assunzioni dei lavoratori dei due sessi, emanati sul contesto di procedimenti per l accesso al pubblico impiego, esclusivamente in base a delega del soggetto interessato, salvo l esperimento del ricorso per intervento ad adiuvandum per sostenerne le ragioni nel giudizio da questo promosso (Cons. Stato, sez.VI, 24 settembre 1983 n. 686, in Cons. Stato, 1983, I, p. 931).

12. Derivando danno grave e irreparabile, deve concedersi la sospensiva del provvedimento di diniego di assunzione di personale femminile ai sensi della l. 20 marzo 1975 n. 70, per esigenze straordinarie dell amministrazione, azionata attraverso lo strumento di cui all art. 15 l. 9 dicembre 1977 n. 903 (Cons. Stato, sez.VI, ordinanza, 17 dicembre 1982, in Tributi, 1983, p. 117).

13. L art. 15 ultimo comma l. 9 dicembre 1977 n. 903 non ha contenuto innovativo nel senso dell attribuzione ai TAR dei poteri accordati in materia di provvedimenti d urgenza al giudice del lavoro, poichè la precisazione contenuta nell articolo citato (si applicano le norme previste in materia di sospensione dell atto) indica la volontà del legislatore di mantenere alla misura cautelare di cui all art. 21 l. 6 dicembre 1971 n. 1034 la tipologia originaria, con riferimento al modulo dell impugnabilità dell atto e togliendo ogni possibilità di attribuire al procedimento cautelare in sede di giurisdizione amministrativa una diversa strutturazione (T.A.R. Piemonte 15 dicembre 1981 n. 1051, in T.A.R., 1982, I, p. 465).

14. L atipicità strutturale degli atti discriminatori fondati sul sesso (come degli altri atti discriminatori di cui all art. 15 lett. b) s.l., come novellato dall art. 13 l. 9 dicembre 1977 n. 903) consente di ritenere sufficientemente provata l esistenza qualora tali atti, considerati nella loro incidenza oggettiva sulla reciproca posizione di donne e di uomini (come già acquisito in relazione alla condotta antisindacale ex art. 28 s.l.), siano di fatto idonei a recare pregiudizio. Il contrasto con l art. 15 s.l. dà luogo alla nullità del licenziamento con le conseguenze previste dall art. 18 stessa legge (Pret. Milano, 17 novembre 1980, in Tributi, 1981, p. 243).

15. Ben può il Pretore, adito ai sensi dell art. 15 della l. n. 903 del 1977, ordinare al datore di lavoro l immediata assunzione delle lavoratrici, regolarmente avviategli dall Ufficio di collocamento in base a richiesta numerica, delle quali egli abbia rifiutato l assunzione per non poterle adibire a lavoro notturno (Pret. Milano, 14 luglio 1979, in Riv. giur. lav., 1980, II, p. 444).

16. Le organizzazioni sindacali sono legittimate a proporre ricorso giurisdizionale, contro un provvedimento con il quale l amministrazione viola le disposizioni di cui all art. 1 l. 9 dicembre 1977 n. 903, concernenti il divieto di discriminazione fondata sul sesso, per quanto riguarda l accesso al lavoro, tale legittimazione essendo riconosciuta a dette organizzazioni dall art. 15 l. n. 903 del 1977 cit. (T.A.R. Lazio sez. I, 26 settembre 1979 n. 734, in Foro amm., 1979, I, p. 2235).

17. Fra il possesso di merito ed il procedimento speciale proposto ai sensi dell art. 15 della legge 9 dicembre 1977, n. 903, pendenti davanti allo stesso giudice, non vi è litispendenza (Pret. Latina, 6 aprile 1978, in Riv. giur. lav., 1978, II, p. 603).



Art. 16.
L inosservanza delle disposizioni contenute negli articoli 1, primo, secondo e terzo comma, 2, 3 e 4 della presente legge, è punita con l ammenda da L. 200.000 a L. 1.000.000.
L inosservanza delle disposizioni contenute nell art. 5 è punita con l ammenda da L. 20.000 a L. 100.000 per ogni lavoratrice occupata e per ogni giorno di lavoro, con un minimo di L. 400.000.
Per l inosservanza delle disposizioni di cui agli articoli 6 e 7 si applicano le penalità previste dall art. 31 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204.

GIURISPRUDENZA:
1. E’ infondata la questione di costituzionalità del divieto di lavoro notturno per le lavoratrici del settore manifatturiero, come disposto dall art. 5, 1° comma, e sanzionato dall art. 16, 2° comma, della L. 9 dicembre 1977 n. 903 (Corte cost., 6 luglio 1987 n. 246, in Giur. it., 1988, I, 1, p. 732).

2. Non è manifestamente infondata - in riferimento all art. 3 cost.- la questione di legittimità costituzionale degli artt. 5, 1° comma e 16, 1° comma, della L. 9 dicembre 1977 n. 903, nella parte in cui sanzionano penalmente il divieto di adibire danno al lavoro notturno nelle aziende manifatturiere (Pretura Cairo Montenotte 6 ottobre 1986, in Giust. pen., 1987, I, p. 299).

3. La contravvenzione di violazione del divieto di discriminazioni fondate sul sesso in materia di lavoro rientra tra le ipotesi di reato escluse dalla depenalizzazione operata dalla L. 689 del 1981 (Pret. Genova, 4 giugno 1984, in Foro it., 1984, II, p. 523).

4. Qualora una legge regionale (nella specie L. R. 3 febbraio 1976 n. 11 della Regione Lazio) preveda la facoltà di esprimere un giudizio di idoneità da parte dei destinatari dei servizi cui il lavoratore avviato dovrebbe essere adibito, non sussiste il reato previsto dagli art. 1 e 16 della L. 903/1977 (sulla parità uomo-donna) nell ipotesi di rifiuto di assunzione (Pret. Roma, 4 maggio 1981, in Riv. giur. lav., 1982, IV, p. 116).

5. Poichè la contravvenzione di cui agli artt. 1 e 16 della legge di parità è reato di pericolo e non di danno, nulla rileva la intervenuta assunzione. Manca l elemento materiale della contravvenzione per mancanza del pericolo di discriminazione nel comportamento del direttore del personale che rivolga all ufficio di collocamento una richiesta di personale da avviare al lavoro discriminatoria per le donne e che indirizzi una comunicazione al Consiglio di fabbrica di identico contenuto discriminatorio. Infatti le richieste discriminatorie non possono che essere disattese dall Ufficio di collocamento che è tenuto all osservanza della legge e la comunicazione al Consiglio di fabbrica è rivolta ad un organo interno dell impresa che non ha alcun potere in ordine alle assunzioni (Cass. penale, sez. III, 22 aprile 1980, in Riv. giur. lav., 1980, IV, p. 381).

6. Ancorchè la contravvenzione di cui agli artt. 1 e 16 L. 9 dicembre 1977 n. 903 -che sussiste nel suo elemento materiale ogni qual volta venga posto in essere un comportamento che possa pregiudicare l accesso al lavoro delle persone appartenenti al sesso non gradito all agente- si configuri come un reato di pericolo, la richiesta di assunzione presentata dal datore di lavoro che rechi l indicazione di un uomo da adibire ai lavori pesanti, non determina alcun pericolo di discriminazione nell avviamento al lavoro ove la richiesta medesima sia diretta all ufficio di collocamento il quale, essendo tenuto all osservanza della legge, l abbia disattesa (Cass. penale, sez. III, 1 luglio 1980, in Mass. giur. lav., 1981, p. 786).

7. L’evento del reato di cui agli artt. 1 e 16 legge di parità non è la mancata assunzione di personale di sesso femminile, ma qualsiasi comportamento riferibile ai responsabili dell impresa che nella fase dell accesso al lavoro concreti una discriminazione fondata sul sesso e contrasti con l ottica paritaria della legge. Sono sufficienti espressioni che manifestino la volontà di assunzioni discriminatorie. Ricorre perciò un caso di discriminazione mediante meccanismi di preselezione sia in una richiesta rivolta all Ufficio di collocamento discriminatoria delle donne sia in una comunicazione al Consiglio di fabbrica di identico contenuto discriminatorio (Pret. Rho, 18 ottobre 1979, in Riv. giur. lav., 1980, IV, p. 381).



Art. 17.
Agli oneri derivanti dall applicazione degli articoli 9 e 11 della presente legge, valutati, in ragione d anno, rispettivamente in 10 ed in 18 miliardi di lire, si provvede per l anno finanziario 1977 con un aliquota delle maggiori entrate di cui al decreto-legge 8 ottobre 1976, n. 691, convertito nella legge 30 novembre 1976, n. 786, concernente modificazioni al regime fiscale di alcuni prodotti petroliferie del gas metano per autotrazione.
Il Ministro per il tesoro è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.



Art. 18.
Il Governo è tenuto a presentare ogni anno al Parlamento una relazione sullo stato di attuazione della presente legge.



Art. 19.
Sono abrogate tutte le disposizioni legislative in contrasto con le norme della presente legge. In conseguenza, cessano di avere efficacia le norme interne e gli atti di carattere amministrativo dello Stato e degli altri enti pubblici in contrasto con le disposizioni della presente legge.
Sono altresì nulle le disposizioni dei contratti collettivi o individuali di lavoro, dei regolamenti interni delle imprese e degli statuti professionali che siano in contrasto con le norme contenute nella presente legge.
La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.


 
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