lavoroprevidenza
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11/11/2016
I DOCENTI E GLI ATA PRECARI O GIA´ DI RUOLO POSSONO OTTENERE PER INTERO IL RICONOSCIMENTO DEL PERIODO PRERUOLO
La sentenza n. 22558/2016 della Suprema Corte di Cassazione Sezione Lavoro del 07.11.2016 è una sentenza storica per il mondo della SCUOLA PUBBLICA.
A partire da oggi qualunque precario per i dieci anni precedenti può chiedere con un ricorso al Giudice del Lavoro il riconoscimento giuridico della m...


10/04/2016
CHI ISCRIVE IPOTECA PER UN VALORE SPROPOSITATO PAGA I DANNI
E’ di questi ultimi giorni la decisione della Suprema Corte di Cassazione che ha stabilito una responsabilità aggravata in capo a chi ipoteca il bene (es. casa di abitazione) del debitore ma il credito per il quale sta agendo è di importo di gran lunga inferiore rispetto al bene ipotecato....


19/05/2015
Eccessiva durata dei processi: indennizzi più veloci ai cittadini lesi
La Banca d´Italia ed il Ministero della Giustizia hanno firmato un accordo di collaborazione per accelerare i tempi di pagamento, da parte dello Stato, degli indennizzi ai cittadini lesi dall´eccessiva durata dei processi (legge n. 89 del 2001, c.d. “legge Pinto”).
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26/11/2014
Sentenza Corte giustizia europea precariato: vittoria! Giornata storica.
La Corte Europea ha letto la sentenza sull´abuso dei contratti a termine. L´Italia ha sbagliato nel ricorrere alla reiterazione dei contratti a tempo determinato senza una previsione certa per l´assunzione in ruolo.
Si apre così la strada alle assunzioni di miglialia di precari con 36 mesi di preca...


02/04/2014
Previdenza - prescrizione ratei arretrati - 10 anni anche per i giudizi in corso
La Consulta boccia la norma d´interpretazione autentica di cui all’art. 38, comma 4, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, nella parte in cui prevede c...


27/11/2013
Gestione Separata Inps: obbligo d´iscrizione per i professionisti dipendenti?
Come è noto, la Gestione Separata dell’INPS è stata istituita dalla legge 335/1995 al fine di garantire copertura previdenziale ai lavoratori autonomi che ne fossero sprovvisti....


25/11/201
Pubblico dipendente, libero professionista, obbligo d´iscrizione alla Gestione Separata Inps
Come è noto, la Gestione Separata dell’INPS è stata istituita dalla legge 335/1995 al fine di garantire copertura previdenziale ai lavoratori autonomi che ne fossero sprovvisti.
...


05/05/2013
L´interesse ad agire nelle cause previdenziali. Analsi di alcune pronunce
Nell´area del diritto previdenziale vige il principio consolidato a livello giurisprudenziale, secondo il quale l’istante può avanzare all’Autorità Giudiziaria domanda generica di ricalcolo di un trattamento pensionistico che si ritiene essere stato calcolato dall’Istituto in modo errato, senza dete...









   sabato 21 maggio 2005

MOBBING: SI DELLA CASSAZIONE ALLA CONTESTAZIONE RETROATTIVA ANCHE IN CORSO DI PROCESSO

Cassazione, sezione lavoro, 23 marzo 2005 n. 6326, con nota del dott. Antonio Aqueci

La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 6326 del 23 marzo 2005 ha ammesso la contestazione anche retroattiva del mobbing, che puo’ essere fatto valere anche nel corso del giudizio.


Nel caso in esame il lavoratore, nell’atto introduttivo del giudizio, non ha ricondotto esplicitamente il comportamento del datore di lavoro alle fattispecie di mobbing, e tuttavia questo puo’ comunque essere rilevato dal giudice. In particolare quando, come nel caso esaminato, il dipendente ha posto la lesione della sua integrità psicofisica in relazione non solo al demansionamento, ma al “ globale comportamento antigiuridico del datore di lavoro”.


Il concetto di mobbing, all’epoca della sentenza impugnata, aveva una valenza meta-giuridica senza un riconoscimento di natura giuridica.


Il mobbing era stato preso in considerazione solo dopo il deposito della sentenza impugnata da un istituto di credito, avente ad oggetto il riconoscimento del danno subito da un dipendente per dequalificazione e comportamenti vessatori da parte dei colleghi, tollerati dall’azienda.


La mancanza di una specifica disciplina normativa di rango primario non puo’ comunque oscurare l’inserimento del mobbing nel Piano sanitario nazionale 2003-2005 e, per quanto riguarda gli atti comunitari, nella risoluzione del Parlamento europeo con la quale si invitava la Commissione ad estendere il campo di applicazione della direttiva quadro per la salute e la sicurezza sul lavoro al fine di combattere il fenomeno delle molestie


Cassazione, sezione lavoro, 23 marzo 2005 n. 6326 – Pres. Mattone – Rel. Figurelli –


Banco Popolare di Verona e Novara, soc. cooperativa a r.l. e Banca Popolare di Novara


SpA (avv. M. e G. Contaldi) c. L.A (non costituito).


Prospettazione nel ricorso introduttivo di danni risarcibili per effetto di


demansionamento e di un globale comportamento antigiuridico del datore di lavoro -


Qualificazione successiva quali danni da mobbing - Non costituisce domanda nuova -


Legittimità - Spetta, infatti e comunque, al giudice la qualificazione giuridica della


natura dei danni.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


1.1. Con ricorso depositato il 21 giugno 2000 il signor L.A. proponeva appello avverso la


sentenza del Giudice del lavoro del Tribunale di Roma in data 4 febbraio 2000 n. 7106/2000,


con cui, in parziale accoglimento della domanda proposta nei confronti della Banca Popolare di


Novara, era stata dichiarata la sua illegittima adibizione a mansioni, inferiori a quelle


originariamente svolte, dal 20 gennaio 1994 al 12 gennaio 1998, con condanna della resistente


a risarcire nei suoi confronti il danno liquidato, in via equitativa, in misura pari al 30% del


trattamento economico corrisposto nello stesso periodo, oltre accessori, e rigettata la domanda


di risarcimento del danno biologico e quella volta ad ottenere la declaratoria di illegittimità delle


note caratteristiche del 1996. Deduceva, al riguardo, che, a seguito di incorporazione dell INCE


nella banca resistente, il 12 dicembre 1995 era divenuto dipendente della società convenuta e


che, dopo aver avuto dei buoni giudizi per gli anni 1991-1995 (culminati nel 1994 e 1995 in


distinto), aveva ricevuto, per l’anno 1996, il giudizio di mediocre. Deduceva, altresì, che, per


quasi quattro anni, era stato adibito a mansioni dequalificanti, rispetto a quelle originarie.


Censurava l impugnata sentenza in ordine alla quantificazione del danno professionale - non


avendo il primo giudice tenuto debitamente conto del demansionamento subito, sia sotto il


profilo quantitativo che qualitativo -, al mancato riconoscimento del danno biologico ed al


rigetto della domanda concernente le note caratteristiche per il 1996.


Concludeva: a) in via preliminare per la revoca dell ordinanza del giudice di primo grado in data


29 ottobre 1999, con la quale era stato dichiarato inammissibile il deposito dei documenti allegati


alla memoria depositata nella data predetta (e venuti ad esistenza dopo l inizio della causa), in


quanto portatori di una domanda nuova nel presente giudizio, e con la quale era stata negata


l ammissione della CTU sulla persona del ricorrente al fine di quantificare il danno biologico;






b) nel merito, "condannare la BPN a risarcire il danno professionale da dequalificazione per


illegittimo esercizio dello "jus variandi, derivato al dipendente L. dall illegittima assegnazione a


mansioni inferiori, da liquidarsi in misura non inferiore ad una mensilità di retribuzione,


calcolata al lordo, per ogni mese di declassamento (dal 20 gennaio 1994 al 12 gennaio 1998,


giorno di effettiva reintegra in posizione equivalente), oltre interessi e rivalutazione calcolati sul


periodo considerato; condannare la B.P.N. al risarcimento del danno biologico e del danno


psichico derivato al ricorrente per stato ansioso depressivo insorto nel 1994, sovrapponibile al


codice 300.40 del DSM III-R con complicazioni ansiose, danno da determinarsi in via equitativa


e comunque in misura non inferiore a lire 50.000.000; accertare e dichiarare la illegittimità


delle note caratteristiche espresse dalla società per l anno 1996 e, conseguentemente, revocare


il provvedimento ordinando la ripetizione del procedimento di valutazione, con vittoria di


entrambi i gradi del giudizio.


L appellata chiedeva il rigetto dell appello di controparte e proponeva a sua volta appello


incidentale, volto al rigetto integrale anche della domanda di risarcimento del danno da


dequalificazione.


1.2.1. Con sentenza in data 4 aprile 2002 - 14 aprile 2003 la Corte d Appello di Roma, non


definitivamente pronunciando, in accoglimento per quanto di ragione dell appello principale e,


così, in riforma della sentenza gravata, condannava la Banca Popolare di Novara al risarcimento


del danno da dequalificazione professionale cagionato all appellante in misura pari al 50% -


anziché al 30%, come statuito in I grado - del trattamento economico corrisposto per il periodo


20 gennaio 1994 - 12 gennaio 1998, oltre ad interessi dalle scadenze al soddisfo e rivalutazione


dalle scadenze "ad oggi", così assorbito l appello incidentale; dichiarava la nullità delle note


caratteristiche relative al ricorrente per l’anno 1996, e disponeva con separata ordinanza in


ordine alla prosecuzione del giudizio.


1.2.2. Osservava la Corte territoriale:


a) Il motivo di appello principale relativo alla quantificazione del danno da demansionamento e


l appello incidentale, volto alla sua esclusione, andavano esaminati congiuntamente.


b) La sentenza impugnata aveva accertato l avvenuta adibizione a mansioni inferiori del L. per il


periodo "de quo" (successivamente al quale il lavoratore era stato assegnato all Ufficio Servizi


Contabili, con mansioni pacificamente corrispondenti a quelle in precedenza svolte), sulla base


dell espletata istruzione.


c) Tale accertamento non meritava censura, poiché era emerso che il lavoratore, assunto


dall I.N.C.E. nel giugno del 1991, con contratto di formazione e lavoro, aveva svolto la sua


attività fino al giugno del 1993 presso l Ufficio Sistemi Informatici, provvedendo alla


registrazione informatica di dati, alla predisposizione di prospetti e tabulati e, successivamente


al giugno 1993, presso l Ufficio Ragioneria, dove si occupava dell inserimento dei dati relativi al


pagamento delle rate di mutuo da parte della clientela, dei censimenti anagrafici, del rilascio


delle informazioni contabili, relative alla istruttoria delle pratiche dei clienti mutuatari (teste T.).


d) A partire dal gennaio 1994, e per circa quattro anni, fu destinato, invece, all Ufficio Corriere,


dove la sua scrivania "era completamente sgombra"(teste C.). La sua attività consisteva, in


mancanza di altri colleghi, nell apertura e timbratura e successivo smistamento della


corrispondenza in arrivo, cui fu aggiunta successivamente quella di prelievo pratiche


dall archivio e fotocopiatura dei documenti (testi M. e C.).


e) Trattavasi di mansioni meramente esecutive, sicuramente deteriori rispetto a quelle svolte in


precedenza, e non corrispondenti ali inquadramento contrattuale del L. (impiegato di 1^


categoria), sia che si rapportassero con quelle svolte presso l Ufficio Sistemi Informatici, sia che


si rapportassero con quelle espletate presso l Ufficio Ragioneria.


f) Il demansionamento, come accertato all esito dell’istruttoria e rimarcato dal lavoratore in


sede di gravame, aveva avuto sia carattere qualitativo (mansioni inferiori) che quantitativo,


essendo emerso che l appellante era rimasto di fatto senza alcuna mansione, provvedendo alla


sostituzione dei colleghi in caso di assenza.




g) Come affermato dalla Corte di Cassazione, il disposto dell’art. 2103 c.c., concernente il


diritto del lavoratore ad essere adibito a mansioni corrispondenti alla propria qualifica, è


violato, non soltanto quando il dipendente sia assegnato a mansioni inferiori, ma anche quando


veda modificate le proprie mansioni con una imponente riduzione in termini quantitativi delle


stesse (Cass. n. 10405/95).


h) A fronte di tali risultanze, la Banca Popolare di Novara s.c. a r.l. (di seguito indicata, per


brevità, quale BPN) - oltre a ribadire la sostanziale equivalenza delle mansioni - sosteneva da


un lato che il mutamento nell ufficio di assegnazione del lavoratore era stato comunque


determinato da una "situazione di crisi", dall altro che era stato lo stesso L. a richiedere lo


spostamento all Ufficio Protocollo.


Tali contraddittorie deduzioni erano comunque prive di pregio: esclusa l equivalenza delle


mansioni (quelle da ultimo svolte non comportanti attività di concetto e di applicazione


intellettuale), la dedotta "situazione di crisi" non aveva, invece, influenzato la posizione


lavorativa di altri dipendenti (teste C. ), che avevano continuato a svolgere le stesse mansioni


svolte in precedenza, mentre le mansioni svolte in precedenza dal L. erano state poi assegnate


ad altro dipendente. Quanto alla richiesta di trasferimento da parte del L. - peraltro non


espressamente indirizzata verso l ufficio di nuova assegnazione -, essa non avrebbe certamente


giustificato l adibizione a mansioni inferiori.


i) Alla luce di tali risultanze, il risarcimento, così come limitato nella sentenza impugnata al 30%


della retribuzione, appariva non integralmente satisfattivo delle lagnanze del lavoratore e,


stante la necessità di una valutazione equitativa ed onnicomprensiva del danno risarcibile,


tenuto conto del periodo in cui si era protratta la lamentata situazione di illegittimità (circa


quattro anni) e di tutte le circostanze del caso, esso andava riconosciuto nella più congrua


maggior misura del 50% della retribuzione per il corrispondente periodo.


l) L impugnata sentenza aveva rigettato la domanda di risarcimento del danno biologico, per


mancanza di prova del nesso di causalità fra la dedotta patologia ansioso-depressiva ed il


demansionamento. Tale impostazione non era condivisibile, avendo il lavoratore, nell atto


introduttivo del giudizio, posto la lesione alla sua integrità psico-fisica in relazione non solo al


subito demansionamento, ma al "globale comportamento antigiuridico del datore di lavoro"


(pag. 14), e segnalato una serie di comportamenti ed episodi, verificatisi nell’ambito lavorativo,


che avrebbero contribuito a determinare l insorgere della denunciata patologia.


m) Anche se la qualificazione di detto "comportamento globale" quale "mobbing" era successiva


all introduzione del giudizio, non trattavasi di domanda "nuova", tanto più che il concetto di


"mobbing" aveva carattere metagiuridico ed al momento mancava di una espressa previsione


normativa. Fermo restando l approfondimento di tale tematica in sede di pronuncia definitiva,


gli episodi denunciati erano stati sostanzialmente confermati nel corso dell espletata istruttoria,


da cui era emersa una situazione lavorativa per il L. quanto mai difficile, in quanto i rapporti


personali con gli altri dipendenti erano diventati "particolarmente tesi" (teste S.) ed il lavoratore


era continuamente soggetto a scherzi verbali, azioni di disturbo, via via appesantitisi nel tempo


e di cui era "certamente a conoscenza il capo contabile della ragioneria il quale non si adoperò


perché cessassero" (teste C. ).


n) Andava quindi ammessa, sul punto, la richiesta CTU medico-legale, essendo la situazione


lavorativa del L. astrattamente idonea a determinare l insorgere della patologia di cui trattavasi.


All uopo andava disposta l acquisizione dei documenti di cui al verbale di udienza del


29.10.1999 - non ammessi dal primo giudice -, trattandosi di documenti successivi ( o


comunque successivamente venuti in possesso dell appellante) all introduzione del giudizio.


o) Quanto al motivo di appello, relativo alle note di qualifica per il 1996, l appellante aveva


dedotto, al riguardo, che il giudice avrebbe dovuto sindacare la legittimità dei criteri adottati


nella fattispecie in esame, perché non attinenti esclusivamente alle specifiche qualità di


prestatore d opera -bensì relativi alla disamina di motivi inerenti la sfera privata, quali i rapporti


con i colleghi, l atteggiamento verso il proprio lavoro -, e perché il datore dì lavoro aveva fatto





riferimento a categorie, quali i già richiamati rapporti con i colleghi, nonché al comportamento e


senso di responsabilità, che non attengono alla prestazione, ma alla persona.


Premesso che la valutazione espressa dal datore di lavoro, all atto della formazione delle note di


qualifica, è una prerogativa di potere - connotata da una larga disponibilità discrezionale -, che


caratterizza la figura dell imprenditore nell ambito del rapporto di lavoro, sta di fatto che


l esercizio di tale potere imprenditoriale è assoggettato alle regole generali di correttezza e


buona fede, fissate dagli artt. 1175 e 1375 c.c., di modo che i dipendenti possano controllare


l attività dell imprenditore, relativa allo svolgimento del rapporto di lavoro, provocando il


sindacato giurisdizionale sull osservanza di quelle regole fissate dall ordinamento. Nella


fattispecie in esame detti principi erano stati violati, atteso che la valutazione espressa con le


note di qualifica non era improntata ad un obiettivo apprezzamento qualitativo e - per quanto


emergeva "ex actis"- era stata espressamente adottata per ragioni attinenti non alle qualità


lavorative del L. (e, in ogni caso, la valutazione era stata comunque falsata dal fatto di riferirsi


alle mansioni "dequalificanti" svolte nel corso del 1996 e non a quelle proprie della rivestita


qualifica).


Si leggeva, infatti, nella motivazione del Comitato di valutazione: "...il signor L. è stato invitato


ad assumere questa valutazione come elemento di reciproca utilità per migliorare la prestazione


lavorativa, evidenziando il fatto che le ansie che esprime, al di là dei motivi delle stesse,


possono avere influenze negative".


Ciò esauriva la controversia sul punto, dovendosi escludere "in nuce" che la valutazione


contestata fosse stata "ancorata a dei criteri chiari e trasparenti, ed immune da qualsiasi


censura", come affermato dal Tribunale.


"Ad abundantiam" non erano condivisibili le osservazioni della società, secondo cui il giudizio


"de quo" sarebbe stato determinato dal mutamento della metodologia di valutazione.


Pur, infatti, a fronte di un "generale abbassamento dei giudizi espressi in relazione alla


generalità dei dipendenti" (teste P.), il giudizio assegnato al L., senza apparente motivazione,


era stato inferiore di ben tre


livelli di voto su sei (da distinto a mediocre) ed era stato l’unico - fatta eccezione per un altra


dipendente poi licenziata per giusta causa -.


In riforma della sentenza gravata, pertanto, le note caratteristiche espresse dalla società nei


confronti del L. per l anno 1996 andavano annullate, essendo, al giudice investito della relativa


controversia, concesso solo tale potere, con esclusione di quello relativo all attribuzione di una


diversa qualifica, ritenuta conforme alla situazione accertata.


1.3. Avverso detta sentenza le società indicate in epigrafe hanno proposto ricorso per


cassazione, affidato a 5 motivi, e depositato memoria ex art.378 c.p.c. L intimato L. non si è


costituito in giudizio, ed ha depositato istanza per una sollecita decisione della causa.


MOTIVI DELLA DECISIONE


1.1.Con il primo motivo, denunziando violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2095 e 2103


c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.), nonché omessa, e comunque insufficiente e contraddittoria


motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, le società ricorrenti richiamata la


motivazione della sentenza impugnata, di cui sub 1.2.2.e) della narrativa della presente


sentenza, deducono che - come già riconosciuto dal 1° giudice - la c.d. prima categoria


impiegatizia definisce un quadro del tutto generico e prossimo a quello iniziale, cioè a quello di


impiegato di seconda categoria, per cui la qualifica assegnata al L. si collocava "come del tutto


prossimale alla stessa"; che l attività del L. indicata al punto 1.2.2.d) della presente sentenza,


di smistamento della corrispondenza, realizzava funzione di concetto, in quanto nessun altro


ufficio curava l arrivo dei pieghi nel giusto luogo di destinazione, ed a tale attività era adibito


l Ufficio Protocollo (c.d. "corriere"), appositamente concepito, come risultava dalle deposizioni


dei testi C. , T. , M., C. ; che, in altre parole, si trattava di individuare il contenuto della


corrispondenza, di selezionarla in ragione di detto suo contenuto e di inviarla all impiegato o alla


funzione appropriata (servizio legale, ufficio tecnico, servizi di accensione delle ipoteche), tutti





compiti di sintesi, basati su una chiara visione del modo di maturarsi delle pratiche e, in più, vi


erano compiti di addestramento nei confronti di personale meno esperto; che con ciò si voleva


individuare quell indice di "sviamento del potere", preso in considerazione dai criteri


coinvolgenti la struttura motivazionale della sentenza, tenuto anche conto che l ufficio era


composto oltre che da un capo reparto, da due impiegati di prima categoria e da due di seconda


- troppi per svolgere un compito meramente esecutivo -, ed il capo reparto e l altro impiegato


di prima categoria non si erano mai sentiti sminuiti, nella loro professionalità, per le mansioni


loro affidate; che, in definitiva, sussistevano palesi indici di insufficiente motivazione in ordine


alla valutatone delle prove ed all attribuzione di carattere meramente esecutivo delle prestazioni


espletate dal L. - che svolgeva, comunque, mansioni di carattere impiegatizio, e doveva


escludersi un intento di demansionamento ascrivibile alla parte datoriale; che la Corte non


aveva valutato la rispondenza di detti compiti allo svolgimento delle corrispondenti mansioni


dell impiegato.


1.2. Il motivo è infondato.


La Corte territoriale ha accertato il "demansionamento" del L. rispetto alle precedenti mansioni.


Trattasi di giudizio di fatto, congruamente e logicamente motivato.


Le ricorrenti, comunque, non precisano neppure - sebbene deducano la prossimità" tra la 1^ e


la 2^ categoria - quali siano i diversi profili delle categorie stesse. E, in relazione a ciò, la


censura presenta aspetti di inammissibilità, per violazione del principio di autosufficienza del


ricorso. Comunque, indipendentemente dalle mansioni corrispondenti alla qualifica, lo "jus


variandi" del datore di lavoro non può attribuire mansioni inferiori a quelle in precedenza svolte


dal lavoratore, e ciò è, invece, avvenuto, come, nella specie, accertato nella sentenza


impugnata. La equivalenza dette mansioni, che condiziona la legittimità dell esercizio dello "ius


variandi", a norma dell art. 2103 cod. civ. - e che costituisce oggetto di un giudizio di fatto


(nella specie, come si è detto, congruamente e logicamente motivato dalla Corte di Appello, e


pertanto incensurabile in cassazione) - va verificata, infatti, sia sul piano oggettivo, e cioè sotto


il profilo della inclusione nella stessa area professionale e salariale delle mansioni iniziali e di


quelle di destinazione, sia sul piano soggettivo, in relazione al quale è necessario che le due


mansioni siano "professionalmente affini", nel senso che le nuove si armonizzino con le capacità


professionali già acquisite dall interessato durante il rapporto lavorativo, consentendo ulteriori


affinamenti e sviluppi (Cass. n. 11457/2000).


2.1. Con il secondo motivo, denunziando violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2095 e


2103 c.c., in relazione anche all art. 1218 c.c., e degli artt. 2082 e 2086 c.c. (art, 360 n. 3


c.p.c.), nonché omessa, e comunque insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a


punti decisivi della controversia (art. 360 n. 5 c.p.c.), le società ricorrenti, richiamata la


motivazione della sentenza impugnata, di cui ai punti 1.2.2.f) e g), cioè demansionamento del


lavoratore sia qualitativo che quantitativo, deducono che sussisteva profondo stato di crisi


incidente sull ex INCE, per la crisi del sistema bancario, seguita da drastiche cure dimagranti,


nell ultimo decennio - stato di crisi verificatosi anche per la B.P.N., confermato dalla fusione


dell INCE nella B.P.N., cui aveva fatto poi seguito la successiva analoga operazione, che aveva


coinvolto quella che a suo tempo era stata l’incorporante -; che i testi S. e M., proprio con


riferimento al numero dei "plichi in arrivo", avevano precisato che da un giro di trenta-quaranta


pratiche "pro die" si era giunti a livello zero - non solo, dunque, diminuzione di incarichi, ma


azzeramento pure dei pieghi postali -; che la situazione dimostrava il crollo dell attività e


l impegno della parte datoriale -INCE - nel mantenere integro il posto di lavoro a favore di tutti i


collaboratori, per evitare sfoltimenti selvaggi; che non andavano quindi imposte soluzioni rigide,


ove non oggettivamente attuabili, ed andava negata la responsabilità datoriale, ove risultasse


accertato che alcune opzioni concrete non dipendevano da colpa del datore di lavoro - in tal


senso andavano intese Cass. nn. 12692/2002, 11624/2002, 9852/2002, che rispondevano ad


orientamenti equilibrati e funzionali per trovare il punto di equilibrio tra i diversi diritti -; che le


riduzioni dell attività lavorativa erano state imposte dal momento economico o dalla situazione





di crisi, e, sul punto, i responsabili della struttura avevano attestato che, per tempi assai


consistenti, le sopravvenienze commerciali erano scese a livello zero; che, in tale ottica,


l orientamento della Corte territoriale non era giustificato e corretto, allorché aveva addebitato


alla parte datoriale un decremento dell attività lavorativa, trascurando l indagine sulla


sussistenza della crisi - emergente dalle deposizioni testimoniali, anche di parte attrice, e dalle


scelte d impresa (incorporazioni) - e che, per l effetto delle circostanze, il lavoro poteva ridursi


anche "a macchia di leopardo" (e tanto veniva dedotto dalle ricorrenti in relazione alla


motivazione della sentenza impugnata, di cui ai punti sub 1.2.2. g) e h); che la Corte


territoriale non aveva accertato se la minor quantificazione della prestazione fosse giustificabile


rispetto alto stato dell impresa.


2.2. Il motivo è infondato. La Corte territoriale ha, invero, accertato che al posto del L. era


stato assegnato altro lavoratore.


Gli argomenti addotti dalle ricorrenti sono, comunque, generici - e, in quanto tali, inammissibili


- e non escludono, peraltro, l’illegittimità del "demansionamento", ravvisato dalla Corte


territoriale.


3.1. Con il terzo motivo, denunziando violazione e/o falsa applicazione degli artt. 163, 414 e


112 c.p.c. (art 360 n. 4 c.p.c.), le società ricorrenti, richiamata la motivazione della sentenza


impugnata, di cui al punto 1.2.2.d), deducono che l affermazione contrasta con quanto esposto


nel ricorso introduttivo del L. , giusta il quale egli sarebbe stato assegnato al medesimo "ufficio


corriere" nel 1995 e quivi sarebbe rimasto fino ai primi di gennaio del 1998; che sul punto


specifico (periodo di assegnazione a quello ufficio) non erano insorte contestazioni e non era


stata espletata alcuna diversificante istruttoria; che alla pag. 7 di detto ricorso poteva invero


leggersi che, dopo il giugno 1995, il L. aveva "svolto.... e svolge tuttora (siamo al 1996) i propri


compiti presso l ufficio protocollo" (o "corriere", che dir si voglia) - si trattava dunque di vizio di


motivazione e violazione del disposto dell art. 112 c.p.c.-.


3.2. Il motivo è infondato.


Si tratta di un motivo inammissibile, a fronte di congrua e logica motivazione della Corte


territoriale, che ha preso atto (v. in narrativa, al punto 1.1.) che il primo giudice aveva


accertato e dichiarato la illegittima adibizione del L. a mansioni, inferiori a quelle


originariamente svolte, "dal 20 gennaio 1994 al 12 gennaio 1998” e ha altresì accertato (punto


1.2.2.d) che, "a partire dal gennaio 1994 e per circa quattro anni" il L. "fu destinato, invece,


all Ufficio Corriere, dove la sua scrivania era completamente sgombra (teste C.)".


Le stesse ricorrenti, poi, deducono che sul punto specifico - periodo di assegnazione del L.


all Ufficio protocollo - "non erano insorte contestazioni", né deducono di aver in precedenza


sollevato la questione - a seguito della pronuncia del Tribunale - e denunziato la violazione


dell art. 112 c.p.c.


Ma è, comunque, decisivo il fatto che, contraddicendo quanto dedotto con la presente censura


(pagg. 28 e s. del ricorso), nel trattare il quarto motivo, a pag. 35 del ricorso, le ricorrenti


espressamente "ammettono" che gli "eventi" si sono verificati dopo il 20 gennaio 1994, allorché


erano cessate le prestazioni del L. presso l Ufficio Ragioneria "per effetto di migrazione verso


l Ufficio Protocollo".


4.1. Con il quarto motivo, denunziando violazione e o falsa applicazione degli artt. 163, 414 e


112 c.p.c., nonché degli artt. 188, 189 e 190 c.p.c., e degli artt. 420 e 345 c.p.c. (art. 360 a 4


c.p.c.), nonché omessa, e comunque insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a


punti decisivi della controversia (art 360 n. 5 c.p.c.), le società ricorrenti deducono che,


modificando le opzioni del primo giudice, i giudici di appello hanno ritenuto ammissibile una


CTU, non ammessa dal primo giudice (pag. 7 sentenza impugnata); che si tratta di


determinazione, che va attentamente sceverata sul piano processuale, anche per definire le


componenti dell accertamento, eventualmente caratterizzabili come "sentenza", dalle altre


confinabili in un assetto di "ordinanza" ( e che, secondo tale qualificazione, non sarebbero


attualmente neppure suscettibili di impugnazione); che il capo di pronunzia gravato "potrebbe"





avere natura di sentenza, laddove nega la ragione di inammissibilità individuata dal primo


giudice (novità della domanda), e "sembra" rivestire l assetto di ordinanza, allorché si sofferma


a discorrere del nesso di causalità e della eventuale responsabilità della parte datoriale, e ciò


anche per la riserva contenuta nella motivazione - "fermo restando l’approfondimento di tale


tematica in sede di pronunzia definitiva"-; che è, infine, decisamente ordinanza la


determinazione della Corte territoriale, laddove dispone per la CTU (Cass. n. 1503/2001); che,


ad ogni modo - e pur nella consapevolezza della temporanea "limitabilità" dell impugnazione,


nei sensi sopraddetti -, vengono impugnate le diverse proposizioni contenute alla pag. 7 della


sentenza.


4.2. Sulla esclusione della qualificazione del "mobbing" quale domanda nuova da parte della


Corte territoriale, e sulla eventuale responsabilità della parte datoriale in ordine allo stesso, di


cui alla motivazione della sentenza impugnata - v. punto 1.2.2.m) della narrativa della presente


sentenza -, le ricorrenti deducono che esattamente il primo giudice aveva ritenuto


improponibile la domanda, come prospettata al momento della decisione, non per mere ragioni


"nominalistiche", ma per più complesse ragioni sostanziali, in quanto l oggetto della domanda,


quale prospettato dal L. nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, era ben definito -


nella conclusione d) a pag. 16 del ricorso -, nel senso della richiesta di condanna della BPN "al


risarcimento del danno biologico e del danno psichico derivato al ricorrente per stato


ansioso/depressivo insorto nel 1994..."; che la domanda formulata con detto ricorso, depositato


nel giugno del 1996, non contemplava e non poteva contemplare fatti successivi al tempo del


deposito; che ciò che configura il "mobbing" non è solo l individualità degli episodi, ma la loro


considerazione finalistica, che finisce per farne una categoria separata, caratterizzata nel senso


di comportamenti compositi unificabili e “finalizzati”, laddove, nel ricorso introduttivo (pagg. 12


e 13) era stata solo denunciata "un illegittima mutatio in pejus delle mansioni del L., in


violazione del divieto di cui all’art. 2103 c.c., con il demansionamento del lavoratore; che certa


era la novità della domanda "per la diversa qualificazione del fatto giuridico posto a suo


fondamento"; che era rilevante la circostanza che, di fronte ad un azione risarcitoria, in


concreto esercitata, l indagine era stata rivolta a comportamenti considerati singolarmente,


mentre, in ipotesi di "mobbing", la rilevanza "andrebbe assegnata alle classi comportamentali e


non ai singoli episodi"; che erroneamente, pertanto, la Corte territoriale - contrariamente al


primo giudice - aveva escluso che si trattasse di domanda nuova.


4.3. In ordine all ammissione della CTU medico legale - di cui al punto 1.2.2.n) della narrativa


della presente sentenza -, le società ricorrenti deducono che mancava, nella sentenza


impugnata, ogni discussione ed ogni accertamento sui singoli episodi (non si identificava il tipo


di azione proposta e non si configurava, in funzione di questa, la fonte della responsabilità della


parte datoriale), laddove era solo indicato quanto riportato al punto 1.2.2.m), relativamente


alla situazione lavorativa "quanto mai difficile" per il L., in relazione agli episodi di "mobbing",


neppure contrastati dal capo contabile della ragioneria; che la difficile situazione lavorativa del


L. esprimeva un concetto ben diverso rispetto alla configurazione di un "mobbing"; che la


motivazione fornita era quella tipica di un mezzo istruttorio, che non poteva in alcun modo


comportare un accertamento definitivo, atto alla formazione di un giudicato; che l unico


elemento rivolto verso la parte datoriale sembrava fondato sulla consapevolezza della


situazione da parte di un capo contabile della ragioneria, che non si sarebbe adoperato per la


cessazione di alcuni scherzi, ma i fatti si sarebbero verificati dopo il 20 gennaio 1994, allorché


le prestazioni del L. presso l Ufficio Ragioneria erano cessate, per effetto del trasferimento del


medesimo all Ufficio Protocollo, con la conseguenza che detto capo contabile del Servizio di


Ragioneria - "con un grado di un certo rilievo" - non era più un superiore del L., e non era,


pertanto, tenuto ad assumere alcuna iniziativa nei confronti di detto lavoratore; che,


comunque, l eventuale comportamento emissivo del capo contabile non era atto a coinvolgere


la parte datoriale.


4.4.1. In ordine alla censura relativa all ammissione di CTU, la statuizione ha effettivamente





natura di ordinanza, e come tale non impugnabile con ricorso per cassazione. E , pertanto, in


conseguenza, inammissibile la relativa censura, proposta tuzioristicamente dalle ricorrenti. Ha


invece natura di sentenza, come indicato successivamente, la statuizione della Corte relativa al


"nesso di causalità" ed alla "responsabilità della parte datoriale", in ordine alla domanda di


risarcimento del danno dovuto a comportamento integrante "mobbing".


4.4.2. In ordine alla dedotta novità della domanda relativa al "mobbing" - rilevato che, come è


pacifico, la diversa qualificazione del fatto giuridico non comporta "domanda nuova" - si osserva


che la Corte territoriale, con motivazione congrua e logica, ha innanzi tutto, evidenziato (v., in


narrativa, punto 1.2.2.lett.l) che il lavoratore , nell atto introduttivo dei giudizio, ha posto la


lesione della sua integrità psico-fisica in relazione non solo al subito demansionamento, ma al


"globale comportamento antigiuridico del datore di lavoro" (pag. 14).


E, successivamente (punto 1.2.2.m), ha evidenziato che anche se la qualificazione di detto


"comportamento globale", quale "mobbing" era successiva alla introduzione del giudizio, non


trattavasi di domanda "nuova", tanto più che il concetto di "mobbing" aveva carattere


metagiuridico ed al momento mancava di una espressa previsione normativa.


Deve, peraltro, al riguardo, precisarsi che, successivamente alla sentenza impugnata


(pronunziata il 4.4.2002 e depositata il 14.3.2003), come evidenziato dalla sentenza della Corte


Costituzionale in data 19 dicembre 2003, n. 359 - pur in assenza di una specifica disciplina a


livello di normazione di rango primario - per quel che riguarda gli atti interni statali,


l inserimento del mobbing trova conferma sia nel punto 4.9 del d.P.R. 22 maggio 2003, con il


quale è stato approvato il Piano sanitario nazionale 2003-2005, sia nel punto BS11 della


delibera, sempre del 22 maggio 2003, contenente l accordo tra il Ministro della Salute, le


regioni e le province autonome sul "bando di ricerca finalizzata per l’anno 2003 per i progetti ex


art. 12-bis del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502". Ma già, in precedenza, per quel che riguarda


gli atti comunitari, la risoluzione del Parlamento europeo n. AS-0283/2001 del 21 settembre


2001, avente ad oggetto "Mobbing sul posto di lavoro", al punto 13, esortava la Commissione


ad "esaminare la possibilità di chiarificare o estendere il campo di applicazione della direttiva


quadro per la salute e la sicurezza sul lavoro oppure di elaborare una nuova direttiva quadro,


come strumento giuridico per combattere il fenomeno delle molestie.


E la richiamata sentenza del giudice di legittimità delle leggi - dopo aver osservato che la


giurisprudenza ha, prevalentemente, ricondotto le concrete fattispecie di "mobbing" nella


previsione dell ari. 2087 c.c. (v., in tema, Cass. n. 143/2000, in motiv.) - ha affermato che "la


disciplina del mobbing, valutata nella sua complessità e sotto il profilo della regolazione degli


effetti sul rapporto di lavoro, rientra nell ordinamento civile (art. 117, co. 2, Cost.) e,


comunque, non può non mirare a salvaguardare sul luogo di lavoro la dignità ed i diritti


fondamentali del lavoratore (arti. 2 e 3, co. 1, Cost.)".


4.4.3. Sul "nesso causale" e sulla “responsabilità datoriale” il provvedimento impugnato, come


si è già anticipato, ha - contrariamente a quanto assumono le ricorrenti - che, comunque,


hanno tuzioristicamente impugnato la relativa statuizione - natura di "sentenza", peraltro, con


le precisazioni di seguito indicate, con riferimento al “nesso causale”.


Non vi è dubbio che la Corte territoriale ha accertato e dichiarato che era stato posta in essere


una condotta, imputabile all azienda, che era elemento costitutivo della fattispecie del


"mobbing".


Il giudice del merito ha, infatti accertato non solo il "demansionamento" del L. , ma che vi era


stato un "globale comportamento antigiuridico del datore di lavoro", consistito in una serie di


comportamenti ed episodi, verificatisi nell ambito lavorativo, denunziati e sostanzialmente


confermati nel corso dell istruttoria espletata. Da questa era emersa - come indicato in


narrativa (punto 1.2.2,m) - una situazione lavorativa per il L. quanto mai difficile, in quanto i


rapporti personali con gli altri dipendenti erano diventati "particolarmente tesi" - come riferito


dal teste S. -, ed il lavoratore era continuamente soggetto a scherzi verbali, azioni di disturbo,


via via appesantitisi nel tempo e di cui era "certamente a conoscenza il capo contabile della





ragioneria il quale non si adoperò perché cessassero" - come riferito dal teste C.


A fronte di tali precise risultanze probatorie, evidenziate nella sentenza sono del tutto


inconsistenti i rilievi delle ricorrenti, che, nel dedurre, come già in precedenza indicato, che "gli


eventi si sono comunque verificati dopo il 20.01.1994, allorquando cioè le prestazioni del sig. L.


presso l Ufficio Ragioneria erano venute a cessare per effetto di migrazione verso l Ufficio


Protocollo", assumono di non essere coinvolte in tali episodi - che, a loro avviso, non


configuravano, comunque, una condotta propria del "mobbing" -, in quanto imputabili ai


"collaboratori", sebbene tra questi vi fosse anche un collaboratore "con un grado di un certo


rilievo", indicato in ricorso quale "appartenente" al Servizio di Ragioneria (di fatto "capo


contabile della ragioneria", come leggesi nella sentenza del Tribunale, v. sopra), già superiore


del L. L inconsistenza della censura è di tutta evidenza, in quanto per la molteplicità degli


episodi, a conoscenza anche di un funzionario "di un certo rilievo" - che non si era adoperato


perché tali comportamenti vessatori cessassero - non solo i responsabili aziendali non potevano


non essere a conoscenza di tali fatti - il che le ricorrenti stesse non sembrano dedurre, allorché


affermano che gli eventi si "sono" comunque verificati dopo il 20.01.1994 -, ma essi erano


pienamente "coinvolti" dai comportamenti scorretti dei loro collaboratori, sia per la richiamata


norma dell art. 2087 c.c. (sulla tutela delle condizioni di lavoro), che obbliga l imprenditore ad


adottare, nell esercizio dell impresa, le misure che sono necessarie a tutelare "l integrità fisica e


la personalità morale" del prestatore di lavoro, sia in base ai richiamati principi di cui agli artt.


117, co. 2, e 2 e 3, co. 1, Cost, con particolare riguardo alla salvaguardia sul luogo di lavoro


della "dignità" e dei "diritti fondamentali" del lavoratore. A nulla pertanto rileva, ai fini


dell accertata condotta integrante elemento costitutivo del "mobbing" - "che indica l aggredire la


sfera psichica altrui" (così sinteticamente, ma efficacemente, la citata Cass. n. 143/2000, in


motiv.) - l inciso, contenuto nella sentenza impugnata (“Fermo restando l approfondimento di


tale tematica in sede di pronuncia definitiva”), che, all evidenza, costituisce un "obiter", che non


può infirmare (o rinviare al definitivo) quanto è stato dalla Corte già accertato e dichiarato.


In ordine al "nesso causale" tra condotta integrante elemento costitutivo del "mobbing" ed


insorgenza della denunciata patologia ansioso-depressiva (con lesione dell integrità psico-fisica


del lavoratore) risulta, inequivocabilmente, dalla sentenza impugnata (v, punto 1.2.2.n), che la


Corte si è limitata ad affermare che "la situazione lavorativa del L. " (sia per il


"demansionamento" sia per il "globale comportamento antigiuridico del datore di lavoro",


richiamati alla lettera l) era "astrattamente idonea" a determinare l insorgere della patologia di


cui trattavasi, con necessità di espletamento, “sul punto”, della richiesta CTU medico-legale.


Chiaramente pertanto la Corte ha rimesso al definitivo l accertamento "in concreto"


dell esistenza e della entità della denunciata patologia, e del "concreto nesso causale" tra


(eventuale) patologia e comportamento complessivo antigiuridico ascrivibile alla parte datoriale,


e, pertanto, la risarcibilità o meno del "danno biologico".


4.4.4. E riconosciuto dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 16819/2003; e v., pure,


Cass. n. 7546/2002) che il danneggiato possa far valere nel corso di tutto il giudizio di primo


grado, la modificazione quantitativa del risarcimento del danno in origine richiesto, intesa


anche come richiesta dei danni, provocati dallo stesso fatto che ha dato origine alla causa, che


si manifestano solo nel corso del giudizio, e quindi anche per i danni maturati per la persistenza


di tale fatto, dopo l inizio della lite, in quanto i termini della contestazione rimangono inalterati


(nella specie, invero, il risarcimento del danno è stato richiesto per il perpetuarsi del fatto


antigiuridico, dopo la proposizione della domanda nel giugno 1996, fino al 12 gennaio 1988).


Le ricorrenti si limitano peraltro a tale infondato rilievo solo in relazione alla domanda proposta


dal L. per il "risarcimento del danno biologico e del danno psichico derivato al ricorrente per


stato ansioso/depressivo insorto nel 1994 ..." (conclusione d) a pag. 16 del ricorso al Pretore di


Roma), ma nulla deducono al riguardo in ordine all accoglimento della domanda, in primo


grado ed in appello, relativa al risarcimento del danno per dequalificazione, liquidato in


percentuale del trattamento economico corrisposto nel periodo "dal 20 gennaio 1994 al 12


gennaio 1998".




Risulta infatti dalla sentenza impugnata che “l appellata ... proponeva a sua volta appello


incidentale, volto al rigetto integrale della domanda di risarcimento del danno da


dequalificazione”.


Di tal che, non risultando che sulla questione relativa al periodo determinato dal giudice di


primo grado, per la liquidazione del danno, sia stata proposta impugnazione, e risultando invece


che per lo stesso periodo la Corte territoriale ha determinato una maggiore percentuale del


danno risarcibile, in relazione al trattamento economico corrisposto, "così assorbito l appello


incidentale", sulla questione - sollevata, peraltro, di sfuggita, dalle ricorrenti - si è formato il


giudicato interno, valido anche per l eventuale liquidazione del danno biologico (v,, in tema,


Cass. n. 4612/1999, 822/2000, sulla impossibilità di dedurre per la prima volta in sede di


ricorso per cassazione la violazione dell ari. 112 c.p.c., quando essa non abbia formato oggetto


di uno specifico motivo di appello).


5.1. Con il quinto ed ultimo motivo, denunziando violazione e/o falsa applicazione degli artt.


2103 e 1418 c.c., nonché degli artt. 1427 e ss. e 1441 e ss. c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.), ed


omessa, e comunque insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a punti decisivi della


controversia (art. 360 n. 5 c.p.c.), le società ricorrenti, con riferimento al punto 1.2.2.o) della


narrativa della presente sentenza, relativo alle c.d. "note di qualifica deducono che: a) nel


dispositivo la Corte romana ha ritenuto di "dichiarare la nullità delle note" - con espressione che


dovrebbe essere frutto di un "lapsus calami" -, laddove tutta la motivazione confluisce verso un


enunciato “capo”rivolto a supportare una pronuncia di annullamento (le note


caratteristiche...per l anno 1996 vanno annullate..."); in tal modo, integrando il dispositivo con


la motivazione, sembra alle ricorrenti, che la fattispecie realizzi una pronuncia di annullamento


e non una declaratoria di nullità; laddove si pervenisse, invece, all opposta affermazione -


dichiarazione, da parte della Corte, "proprio" della nullità delle note -, la sentenza impugnata


andrebbe cassata per assoluto difetto di motivazione, in quanto non identificante alcuna ipotesi


di nullità; non si intendevano le ragioni del pronunciato annullamento, avendo la Banca fissato


un criterio - quanto più possibile uniforme ed esteriorizzabile, correlato al comportamento dei


propri collaboratori -, che facilitava il percorso dell organismo chiamato a configurare le note di


qualifica, che muovevano dalla proposta del capo servizio, secondo criteri uguali per tutti i


collaboratori; tale percorso era stato regolarmente seguito, con l attribuzione di punteggi


numerici, in relazione ai singoli comportamenti: ogni voce era stata corredata da un commento


esplicativo ed il colloquio con l interessato aveva fornito risposte altrettanto esaustive; il


giudizio di mediocrità - diverso da quello di insufficienza – non comportava conseguenze


economiche, in occasione della sua prima attribuzione, e prevedeva una modesta incidenza


sulla gratifica in occasione di una prima reiterazione, e comportava la perdita della gratifica


soltanto con il terzo giudizio di mediocrità; sul complessivo assetto dei colloqui era stato sentito


il teste P. - già sindacalista, e che aveva assistito il L. nel colloquio esplicativo - , che aveva


confermato gli assunti della Banca; quanto alla motivazione della sentenza impugnata, riportata


nel primo periodo del punto 1.2.2.o) - illegittimità dei criteri adottati per la redazione delle note


qualifica per il 1996 -, per le ricorrenti doveva dissentirsi dall apprezzamento della Corte


territoriale, stanti gli aspetti di discrezionalità, propri del datore di lavoro, anche in sede di


giudizio relativo alla redazione di note caratteristiche del lavoratore; il giudizio era circoscritto


alla qualità della prestazione, ma correlato anche ad eventuale comportamento scostante del


lavoratore con clienti e colleghi (rapporti interpersonali verso i colleghi e la clientela; e, in


particolare, nei confronti della clientela, doveva essere apprezzato il modo di atteggiarsi del


lavoratore); non si intravedeva, quindi, alcuna ragione di annullamento delle predette note di


qualifica, essendo state ben ponderate le specifiche componenti della prestazione del


lavoratore, che non aveva neppure dimostrato - come avrebbe dovuto - spettargli una


votazione più elevata; quanto all invito rivolto al L.- per il miglioramento della prestazione


lavorativa (quarto periodo del punto sub 1.2.2.o), la Corte territoriale era caduta in errore, ben


potendo le note di qualifica coniugarsi con un colloquio con il lavoratore, comportante





incoraggiamenti e moniti; la motivazione era, quindi, insufficiente e/o contraddittoria; b)


quanto ai non specifici accenni di ragioni di "annullabilità", sparsi nella pronunzia, essi non


fornivano fattori aggiuntivi per supportare la sentenza impugnata, perché: 1) il preteso


demansionamento appariva estraneo alla fattispecie; 2) l affermazione, secondo cui la


valutazione non sarebbe stata "ancorata a dei criteri chiari e trasparenti, ed immune da


qualsiasi censura" (quinto periodo del punto sub 1.2.2.o), non era condivisibile, perché carente


nel ragionamento e sostanzialmente apodittica (dovendo il vizio, in materia di annullamento,


essere dimostrato dalla parte "attrice", e dovendo l eventuale annullamento dell atto essere


disposto "titolatamente" dal giudice); 3) quanto alla motivazione "ad abundantiam" della


sentenza impugnata - in relazione al mutamento della metodologia di valutazione (periodi sesto


e settimo di cui sub 1.2.2.o) -, le vicende della Banca avevano comportato che soltanto nel


1997 si era pervenuti ad una calibratura diretta dei singoli collaboratori (divenuti ormai, da


poche centinaia, circa settemila dipendenti), ricevendo ognuno il voto che gli spettava, con


scarti significativi per i meno meritevoli (e così "distinti" di basso conio avevano subito


contrazioni motto consistenti); il L. aveva subito un decremento di tre livelli (ed anche il P.


aveva subito una contrazione di ben due livelli), ma con esplicitazione della situazione, con un


ampio colloquio informatore ed altrettanto utili esortazioni; il discorso proposto era, quindi,


orientato a dimostrare che un paio di livelli potevano andare persi per la semplice mutazione


dei criteri di valutazione; era inefficace la comparazione tra due diversi collaboratori, non


potendo il raffronto essere condotto tra due soggetti diversi, avendo ciascuno diritto alla


valutazione personale.


5.2.1. Le ricorrenti non spiegano, innanzi tutto, quali siano le conseguenze derivanti dalla


diversa "terminologia", usata dalla Corte territoriale nel dispositivo della sentenza impugnata -


"nullità delle note caratteristiche" -, e nella motivazione della stessa "le note caratteristiche


vanno annullate" -, poiché la qualificazione giuridica (di nullità o annullamento), usata


promiscuamente dalla Corte (in dispositivo e motivazione), intende, comunque, riferirsi alla


"invalidità" dell atto datoriale, contrario alle norme di correttezza e buona fede. E, sulla


"invalidità" di tale atto - alla quale la Corte intende sostanzialmente ed inequivocabilmente


riferirsi - v. la ritenuta "invalidità" dell atto datoriale, in tema di promozione alla qualifica


superiore, allorché contrario ai principi generali di correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375


c.c.(Cass. n. 11291/2000).


Di regola, peraltro, in relazione agli atti datoriali, contrastanti con i principi di correttezza e


buona fede, la giurisprudenza usa il termine di "illegittimità" dell atto. E, sulla "illegittimità per


abuso del comportamento della parte, in violazione dei canoni ermeneutici del principio di


buona fede, v., tra le altre, Cass. n. 11271/1997 (e, in particolare, sulla "legittimità" del


trasferimento del lavoratore secondo i principi generali di correttezza e buona fede, v. Cass. n.


11957/2003.


Il termine “illegittimità” dell’atto datoriale è mutuato anche dall’esercizio “illegittimo” della


funzione pubblica (v. Cass. Sez. Un. n.500/1999).


In tema di «note caratteristiche» v., sulla “illegittimità” delle stesse, per violazione delle


prescrizioni di lealtà e correttezza, Cass. n. 206/2001 (in particolare, nella motivazione, per il


richiamo alla “illegittimità”, in tal caso, della nota di qualifica).


E’ chiaro dunque che, quale sia stata la terminologia usata, la Corte territoriale ha inteso


riferirsi alla “invalidità/illegittimità” delle note caratteristiche, relative al L. per l’anno 1996.


5.2.2. Comunque, le ricorrenti non censurano adeguatamente la motivazione della Corte


territoriale (punto 1.2.2. o) sulla violazione dei principi di correttezza e buona fede (e, sul


rispetto dell’obbligo generale di correttezza e buona fede, in tema di “note di qualifica” del


dipendente v., pure, tra le altre Cass. n. 5289/1996). Risulta, infatti, secondo la Corte


territoriale romana, “ex actis” che la nota di qualifica, relativa al L., per l’anno 1996, era stata


adottata non per ragioni attinenti alle qualità lavorative del medesimo, essendo, tra l’altro, la


valutazione datoriale falsata dal “demansionamento” e dalle conseguenti mansioni inferiori





svolte dal L., che non era stato valutato in relazione alle mansioni corrispondenti alla qualifica a


lui spettante.


E, del resto, le stesse ricorrenti evidenziano le conseguenze negative, anche sotto il profilo


economico (sia pure non immediate), derivanti da eventuale reiterazione del giudizio di


“mediocre”, assegnato al L. per l’anno 1996, giudizio che aveva comportato per il medesimo un


decremento di ben tre livelli (da “distinto” a “mediocre”), sulle note di qualifica; e ciò, pur “a


fronte di un generale abbassamento dei giudizi espressi in relazione alla generalità dei


dipendenti”, dedotto dalle ricorrenti. La Corte territoriale evidenzia, però, che il giudizio


assegnato al L. per l anno 1996, "senza apparente motivazione , era stato l unico (ad eccezione


di altra dipendente, valutata "insufficiente", e poi licenziata).


5.2.3. In definitiva, anche il quinto ed ultimo motivo di ricorso è infondato.


6.1. Consegue il rigetto del ricorso.


6.2. Nulla per le spese del giudizio, non essendo l intimato L. costituito nel presente giudizio di


cassazione.


10


P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio di cassazione. Così deciso in


Roma il 17 febbraio 2005 (depositato il 23 marzo 2005).




 
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